Per la rubrica "La Riforma del Processo Penale", ora nella partizione "Il processo che verrà" del nostro blog, ospitiamo l'intervento sul progetto di riforma del giudizio monocratico con due domande al Docente, Luigi Ludovici.
Il piano completo dell'opera è consultabile sulla pagina dedicata di questo blog (link). Il progetto di legge per la “DELEGA AL GOVERNO PER LA MODIFICA DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE, DEL CODICE PENALE E DELLA COLLEGATA LEGISLAZIONE SPECIALE E PER LA REVISIONE DEL REGIME SANZIONATORIO DELLE CONTRAVVENZIONI”, è all’esame, in sede referente, della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che ha anche svolto numerose audizioni inerenti il testo della riforma.
1) La riforma intende introdurre un’udienza filtro per i procedimenti a citazione diretta, in cui il Giudice sarà chiamato, tra le altre cose, a valutare se sussiste una ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria. Le pare una riforma cui potrebbe conseguire un reale effetto deflattivo dei giudizi, oppure si rischia di inserire un passaggio procedurale che dilaterà i tempi processuali?
La riforma prospettata con riferimento ai casi di citazione diretta a giudizio propugna una sostanziale abolizione della categoria e la contestuale introduzione di una ipotesi speciale di rito monocratico “a procedura rafforzata” connotato da un preliminare controllo giurisdizionale sulle scelte compiute dall’organo dell’accusa al termine delle indagini preliminari. Si vuole in sostanza frapporre, anche in questo caso, un diaframma tra le indagini preliminari e l’effettiva celebrazione del giudizio dibattimentale che, da un punto di vista strutturale, riproduce il meccanismo proprio dell’udienza preliminare. Nello stesso tempo, si tratta però di una “udienza preliminare” assai atipica. E questo non tanto perché il rinvio a giudizio è già stato disposto o perché l’organo competente a sindacare preliminarmente le determinazioni assunte dal p.m. non è, come di consueto, il GUP ma il Tribunale, sia pure a composizione monocratica. Queste deviazioni dal modello si limitano infatti a scalfire soltanto la superficie dell’istituto senza cambiarne la sostanza. Ma la novella contiene anche un ulteriore elemento di novità che, a mio avviso, assume al contrario una portata dirompente rispetto alle coordinate generali del sistema. Mi riferisco naturalmente al fatto che il Tribunale è tenuto ad emettere sentenza di non luogo a procedere anche quando accerti che gli elementi acquisiti, se confermati in giudizio, consentano una ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria. Rispetto all’udienza preliminare ordinaria, il filtro che si vuole così introdurre vede calibrati i suoi esiti rispetto ad una regola di giudizio che ha però ad oggetto non – come nel rito ordinario – l’opportunità dell’azione e quindi la non superfluità del vaglio dibattimentale ma l’esito stesso del processo: e in un sistema ove la responsabilità dell’imputato può essere affermata soltanto ove la prova della colpevolezza emerga oltre ogni ragionevole dubbio, appare difficile sostenere che la ragionevolezza di cui parla la novella non possa essere che quella di cui all’art. 533 c.p.p. Venendo quindi alla domanda, credo che, se così stanno le cose, l’inedito meccanismo processuale che si intende inoculare nel sistema si candidi, se correttamente ed effettivamente applicato, quale importante strumento deflattivo se non altro rispetto al filtro a maglie ben più larghe attualmente offerto – ove prevista - dall’udienza preliminare. Per converso, sembra però doveroso rilevare che, in un’ottica più generale, non si avrebbe, rispetto ad oggi, un surplus di deflazione così significativo visto che, se effettivamente vi è la convinzione che gli atti di indagine consentano una sentenza ex art. 530 c. 2 c.p.p., è lecito ipotizzare che l’imputato decida comunque di percorrere la strada del rito abbreviato. Ma se così stanno le cose è allora evidente che, quantomeno nei casi di citazione diretta, il meccanismo in esame finisce per risolversi per lo più, in un elemento di ulteriore aggravio della procedura, con conseguente dilatazione dei tempi processuali. Sullo sfondo di questo scenario si stagliano poi le non poche riserve circa l’effettiva compatibilità di un siffatto congegno con il nostro sistema processuale, come è noto tradizionalmente refrattario - per precisi vincoli sistematici e costituzionali - a qualsiasi forma di preclusione del vaglio dibattimentale che si voglia fondata su una valutazione prognostica di fondatezza o meno dell’imputazione frutto di una valutazione dei risultati delle indagini.
2) L’articolo 12 del disegno di legge prevede dei termini entro cui concludere i giudizi. Per quello innanzi al Tribunale monocratico la celebrazione del processo dovrebbe avvenire, senza distinzione alcuna, entro un anno, col rischio di sanzioni disciplinari ove i termini non siano rispettati per negligenza inescusabile. Quale il suo giudizio al riguardo?
L’idea di prevedere dei termini di natura strettamente processuale entro cui i giudizi devono essere celebrati e portati a compimento circola da tempo ed oggi assume carattere sempre più centrale a fronte del profondo ridimensionamento che negli ultimi anni ha subito l’istituto della prescrizione. Come insegnano i Maestri, il processo stesso è una pena e pertanto il suo dilatarsi potenzialmente all’infinito è uno dei principali mali da combattere in ogni Società civile. Detto questo, l’intervento prospettato non convince, a mio avviso, almeno per due ordini di ragioni. Innanzitutto, bisogna operare una scelta di campo: se si vogliono introdurre dei termini questi non possono che essere perentori perché soltanto così si offre all’imputato – ma anche alla persona offesa ed alle parti eventuali – la garanzia di una sentenza che sia giusta anche nel quando. Il disegno di legge non fa invece nulla di tutto questo prevedendo quale unica conseguenza dell’inosservanza dei termini previsti la possibilità di comminare una sanzione disciplinare nella eventualità che il magistrato non abbia adottato le misure organizzative ritenute necessarie per rispettarli, sempre peraltro che sia a lui imputabile una negligenza particolarmente qualificata (id est, negligenza inescusabile). Insomma, siamo in presenza di obblighi, quello di rispettare i termini e quello di adottare le misure organizzative all’uopo necessarie, che in entrambi i casi sono, in definitiva, privi di sanzione e pertanto sforniti di qualsivoglia portata cogente. Sotto altro profilo, devo anche dire però che non mi convince affatto l’idea di prevedere termini configurati in maniera così rigida e generalizzata. Al contrario, sarebbe il caso quantomeno di associare ai termini di durata dei meccanismi tali per cui, al verificarsi di specifiche fattispecie, sia consentito dar luogo ad una proroga e/o ad una sospensione degli stessi: il che permetterebbe di assicurare che ogni processo abbia il Suo tempo, calibrato cioè non solo in astratto ma anche sulla base delle specificità della singola vicenda trattata nonchè degli imprevisti che si possono medio tempore verificare e tali da giustificare una parziale dilatazione dei termini ordinari.
(*) Luigi Ludovici: è Professore Associato di diritto processuale penale presso l’Università degli Studi “Guglielmo Marconi”, Dipartimento di scienze giuridiche e politiche. Avvocato del Foro di Roma, dal 2016 è ammesso al patrocinio davanti alla Corte di Cassazione e alle altre Giurisdizioni superiori. Nel 2011 ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in diritto e procedura penale presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” mentre nel 2013 ha conseguito l’abilitazione scientifica nazionale per l’esercizio delle funzioni di professore di seconda fascia nel settore concorsuale 12/G2 – diritto processuale penale. Dal 2011 al 2014 è stato ricercatore di diritto processuale penale sempre presso l’Università degli Studi “Guglielmo Marconi” ove, attualmente, è anche Docente incaricato di Procedura penale presso la Scuola Specialistica per le professioni legali istituita presso la medesima Università. Autore di articoli, note a sentenza, voci enciclopediche e altri contributi in opere collettanee, ha pubblicato la monografia “La disciplina delle contestazioni a catena”, edita da Cedam, nella collana «Problemi attuali della giustizia penale».