29 maggio 2021

La Riforma del Processo penale - 4. la riforma del Giudizio: tutte le risposte


Da qualche settimana ci stiamo occupando della riforma del processo penale attualmente all'esame della commissione c.d. Cartabia e del Parlamento.

Lo stiamo facendo per sezioni e con il metodo dell'intervista, con poche domande rivolte a un giudice, un pubblico ministero, un avvocato e un docente universitario.

Abbiamo pubblicato i contributi secondo l'ordine di ricezione, in maniera casuale. Il piano completo dell'opera è consultabile al → link.

Terminate le varie sezioni pubblicheremo le risposte di tutti i professionisti del processo in un unico contributo.

Proseguiamo oggi con la sezione Il Giudizio, per il quale abbiamo rivolto le nostre domande a Daniela Vascellaro (giudice), Antonio Nicastro (pm), Fabrizio Galluzzo (avvocato) e Lucia Parlato (docente).




1- Le pare concretamente possibile che il Giudice, sin dalla prima udienza, stili un calendario delle udienze per l’istruzione dibattimentale e per lo svolgimento della discussione?

La risposta del giudice: Non mi pare concretamente praticabile, almeno per ciò che concerne il ruolo monocratico, se non per i processi più delicati per gravità della imputazione e/o per numero degli imputati, atteso che il numero delle sopravvenienze e le esigenze di speditezza legati ai processi con detenuti impediscono di fare programmazioni di lunga durata; occorre poi tenere conto del fatto che spesso le udienze vanno ‘a vuoto’ a causa della assenza, giustificata o meno, dei testimoni, nonché dei legittimi impedimenti delle parti e dei loro difensori, tutte evenienze che imporrebbero una riprogrammazione del calendario.
La risposta del pm: La previsione che il Giudice, sin dalla prima udienza, provveda a calendarizzare l’attività processuale è una prospettiva da coltivare, in quanto  consente, in astratto, una programmazione  dell’attività funzionale alla effettiva consapevole partecipazione delle parti all’’udienza, evitando il dispendio di energie processuali, ed al contempo finalizzando la preparazione della singola fase all’attività in concreto svolta.  Si intravede il vantaggio di evitare la presenza in aula di soggetti il cui contributo processuale non potrà di fatto  essere assunto (si pensi a testi e consulenti citati inutilmente); il Giudice avrà inoltre il vantaggio di calibrare meglio il suo ruolo in base al carico dell’udienza. In concreto è una prospettiva  che deve necessariamente fare i conti con mille difficoltà legate alla oggettiva imprevedibilità della dinamica processuale; è noto infatti che i tempi del processo e la cadenza delle udienze sono legate a numerose  variabili difficilmente inquadrabili in uno schema rigido. Occorre quindi coniugare  programmazione e flessibilità, concetti difficilmente ingabbiabili in una rigida norma di legge.
La risposta dell'avvocatoSi tratta di una previsione che, se effettivamente applicata, consentirebbe di conciliare aspetti variegati quali la ragionevole durata del processo, una migliore conoscenza da parte del giudice degli atti del processo e la possibilità per la difesa di organizzare la strategia conoscendo già nel dettaglio i tempi del processo. Mi piace affermare, contrariamente a quello che si è fatto credere all’opinione pubblica, che gli avvocati vogliono “fare i processi” e non fare “melina” per ottenere la prescrizione. Nella prassi già alcuni giudici operano una calendarizzazione, soprattutto nei processi che prevedono un’istruttoria articolata, quanto meno per blocchi di udienze.
La risposta del docente: Le finalità perseguite tramite la modifica sono certamente condivisibili, perché mirano a un riordino delle cadenze del dibattimento. 
Una prognosi circa il successivo articolarsi delle udienze, nel razionalizzare lo sviluppo della vicenda giudiziaria, potrebbe giovare anche alla sua durata. 
Dal punto di vista soggettivo, la novità si collocherebbe nel quadro delle informative dovute ai protagonisti privati del rito penale. Servirebbe a rendere consapevoli gli imputati ed eventualmente le persone offese sul futuro protrarsi degli oneri derivanti dal processo in corso. Questa consapevolezza, peraltro, se del caso potrebbe incoraggiare la scelta di definizioni alternative del procedimento, laddove ancora prospettabili, producendo indirettamente vantaggi deflattivi.
Il sistema – che può favorire soprattutto la speditezza di processi “sovraffollati” – in realtà fa tesoro di prassi virtuose già emerse in alcuni contesti locali e rappresenta un risultato realizzabile anche sulla scorta della disciplina predibattimentale attualmente vigente. 
Una buona quota della riuscita dell’espediente è affidata ai suoi risvolti applicativi. Tra i vari fattori in gioco rilevano, da un lato, il pericolo di appesantire le prime battute della fase dibattimentale; dall’altro lato, le conseguenze pratiche e le disfunzioni che in concreto deriverebbero dal mancato inserimento – nell’ambito dell’ora ipotizzato calendario – di passaggi poi rivelatisi necessari. 

2- Se l’intento della relazione illustrativa sulle richieste di prove è quello di porre il Giudice nelle condizioni di meglio decidere sulla loro ammissibilità, non era meglio rivitalizzare l’art. 468 c.p.p. in ordine alla precisazione delle circostanze su cui sentire i testi?

La risposta del giudice: Sì lo condivido.
La risposta del pm: Il ruolo del 468 c.p.p  è assolutamente da rivitalizzare, in quanto consente il valido contraddittorio sui temi di prova, che non può essere  relegato a  formule di stile troppo ampie e generiche. L’indicazione specifica delle circostanze è un onere a cui la parte non si può e deve sottrarre al fine di consentire un’articolata dialettica processuale su ogni argomento di prova. Ridurre  il contraddittorio sulla prova ad una esposizione introduttiva, rischia di soffocare il diritto alla controprova in una fase in cui l’ammissione di prove a confutazione potrebbe di essere tardiva o comunque non in grado di spiegare al meglio i suoi effetti. Al contempo sarà dovere del Giudice  vigilare a che l’esame  testimoniale si snodi esclusivamente all’interno del perimetro tracciato con l’indicazione delle circostanze, evitando inutili e pericolose divagazioni narratorie.
La risposta dell'avvocatoCredo che l’intento del legislatore fosse comunque lo stesso: evitare che il giudice recepisca passivamente le richieste istruttorie, come accade quasi sempre laddove le liste testimoniali sono quantitativamente contenute, senza verificare la rilevanza delle prove da assumere o eventuali duplicazioni. Prassi che comporta poi la necessità di intervenire successivamente nel corso del processo, con la necessità di procedere al meccanismo di rinuncia ed accettazione delle altre parti.
La risposta del docente: C’è senz’altro il rischio di creare un “doppione” rispetto al sistema di cui all’art. 468 c.p.p. La sensazione è quella di una rinuncia alle aspettative riposte dal legislatore del 1988 sul sistema delle liste testimoniali: si investe, insomma, su un restyling normativo, nella speranza che sia capace di richiamare l’attenzione dell’interprete.
Il recupero dell’istituto, noto all’esperienza passata, può essere proficuo solo nella misura in cui l’innovazione sarà, in effetti, ben “dosata”: cioè senza gravare eccessivamente sul momento iniziale del dibattimento e, al contempo, senza limitare l’incombente ad un formale rimando al contenuto delle liste. 

3- Condivide l’introduzione di un pieno principio dispositivo in tema di revoca delle prova già ammesse? 

La risposta del giudice: Sì lo condivido.
La risposta del pm: Sì condivido l’assunto in quanto consente di calibrare il  diritto alla prova  allo sviluppo della vicenda processuale, evitando inutili lungaggini a discapito della celerità del dibattimento. Chiaramente con onere di motivazione specifica sul punto.
La risposta dell'avvocatoNo, in quanto, dal punto di vista del difensore, per esempio, l’eventuale rinuncia da parte del pubblico ministero all’assunzione di testimonianze che sia emerso che possano portare all’acquisizione di elementi di prova utili all’imputato, comporterebbe l’impossibilità per la difesa, che non abbia inserito il teste nella propria lista, di avvalersi di quella testimonianza, salva una pronuncia del giudice ex art. 507 c.p.p. 
Resta il fatto che talora, indubbiamente, il “capriccio” di una delle parti ostacola la possibile revoca di una prova divenuta oggettivamente superflua, con l’appesantimento processuale che ne deriva. 
Ma a ciò si può rimediare, come detto sopra, con un’attenta valutazione della prova nella fase dell’ammissione.
La risposta del docente: Il fatto che la prova già ammessa non sia più “patrimonio” del processo, ma rimanga nella disponibilità del richiedente, senz’altro rende più snella la procedura della revoca, superando problemi applicativi che si erano affacciati con specificità anche rispetto al giudizio abbreviato. 
È immaginabile, però, che la modifica possa ripercuotersi a ritroso sul piano delle richieste probatorie: le farebbe diventare probabilmente meno ponderate, “deresponsabilizzando” in una certa misura le parti processuali, nella consapevolezza di più agevoli ripensamenti.
Ed è facile, allo stesso tempo, prospettare che l’innovazione si tradurrà in una sovraesposizione del meccanismo ex art. 507 c.p.p., perché la sua applicazione sarà stimolata da quelle parti il cui placet ora non è più necessario ai fini dell’efficacia della revoca. 

4- Qual è il suo giudizio sulla introduzione di un congruo termine antecedente l’udienza per il deposito di perizie e consulenze?

La risposta del giudice: Potrebbe essere utile per dare modo alle parti di instaurare un effettivo contraddittorio in sede di esame del perito e del CT.
La risposta del pm: Esprimo un giudizio assolutamente positivo in quanto consente alla parti una consapevole, effettiva conoscenza dei temi di prova introdotti da controparte, con recupero di un contraddittorio strutturato ed efficace.
La risposta dell'avvocatoValuto positivamente la novella, purché i termini siano poi perentori per tutte le parti. Contribuirebbe ad una effettiva parità ed alla corretta preparazione delle parti.
La risposta del docente: La modifica può incidere positivamente sulla realizzazione di un contraddittorio effettivo, anche in sede di esame dell’esperto. Ciò a patto che il termine – specie se perentorio – interessi gli apporti di tutti gli esperti, a prescindere dalla parte cui essi si riferiscano: senza assecondare, quindi, le soluzioni giurisprudenziali (Cass. 18 febbraio 2020, n. 16458) che recentemente hanno fatto molto discutere. 

5- L’estensione dell’art. 190 bis c.p.p. ai casi di mutamento della persona fisica del Giudice non rischia di celebrare il de profundis per l’immediatezza?

La risposta del giudice: Stante le carenze di organico e la durata non breve dei processi, vedo l’estensione dell’art. 190 bis c.p.p. una soluzione pratica inevitabile per ‘salvare’ il processo.
La risposta del pm: Uno dei grossi problemi del processo penale è quello della rinnovazione mediante lettura, tutte le volte in cui muti la persona fisica del Giudice. Si assiste a sfilate di testimoni chiamati a confermare quanto in precedenza dichiarato. Effettivamente l’estensione generalizzata dell’applicazione dell’art. 190 bis c.p.p. reca un grosso vulnus al principio dell’immediatezza, già compresso in alcune situazioni processuali (si pensi all’audizione teste in incidente probatorio) a cui si può porre rimedio prevedendo una rinnovazione  effettiva mediante la  riproposizione al teste di  argomenti non affrontati nel precedente esame, evitando (e caso mai sanzionando) richiese di  riaudizioni meramente confermative del precedente esame.
La risposta dell'avvocatoAssolutamente. Il principio di immediatezza è già stato progressivamente eroso mediante svariati interventi giurisprudenziali e legislativi. Chi frequenta le aule di tribunale sa perfettamente che nei giudizi dinanzi al tribunale collegiale, si assiste ad un continuo tourbillon di giudici, con la conseguenza che l’immediatezza coinvolge spesso non più di un giudice del collegio….Applicare la norma di cui all’art. 190 bis c.p.p., concepito come noto per finalità eterogenee, nell’ipotesi del mutamento della persona del giudice, significherebbe trasformare anche il processo di primo grado in un giudizio sostanzialmente cartolare. Si parla tanto di processi da remoto: io da anni avanzo la “proposta scandalosa” di riprendere con videoregistrazione le testimonianze rese in aula, anziché registrarne solo l’audio per poi trascriverlo. Il giudice che subentra ben potrebbe riguardare la testimonianza, così cogliendo tono della voce, atteggiamento corporeo e quant’altro utile per “pesare” parole che, sulla carta, assumono ben altra valenza. I costi sarebbero pressoché equivalenti a quelli delle attuali registrazioni e l’economia processuale (in aula) sarebbe salva. Posso essere malizioso? Temo che non troveremmo la disponibilità a dedicare il tempo necessario a riguardare la registrazione…
La risposta del docente: L’art. 190 bis c.p.p. costituisce un’importante norma di raccordo, essenziale per la tenuta del sistema. È la sintesi del rapporto tra la regola del contraddittorio e le sue eccezioni. Per questo, ogni suo ritocco può creare forti ripercussioni sugli equilibri del modello accusatorio. 
Il rischio di una sovversione di tali equilibri è ora sicuramente molto elevato. 
Un ampliamento dell’area operativa della disposizione, infatti, può essere ammesso soltanto cum grano salis, a condizione che sia circoscritto. L’inserimento operato dal d.lgs n. 212 del 2015 all’interno dell’articolo aveva una sua giustificazione peculiare – da riconoscere nella tutela della vittima particolarmente vulnerabile – e peraltro confidava su forme avanzate di documentazione delle dichiarazioni. Mentre le modifiche ora proposte poggiano su ragioni molto diverse e di carattere più generale, dovute a un difetto della macchina giudiziaria. 
Con la riforma prospettata, in buona sostanza la deroga di cui all’art. 190 bis c.p.p. – stante la sua “comodità” – diventerebbe la regola. La novità potrebbe compromettere l’assetto delle scelte del legislatore del 1988, ribaltando un intero sistema sinora ispirato al principio di immediatezza. 
La modifica, come è accaduto per altre novelle introdotte negli ultimi anni, raccoglie tendenze emerse sul piano della giurisprudenza costituzionale e di legittimità (Corte cost. n. 132 del 2019 e Cass., S.U., 10 ottobre 2019, Bajrami). 
Non sono state però valorizzate le indicazioni che, in senso opposto, vengono sempre più chiaramente espresse dalle Corti sovranazionali: indicazioni capaci di creare delle remore ed eventualmente, in futuro, di costringere il legislatore a nuovi ripensamenti. 
In quest’ottica, ad assumere rilievo sono non soltanto le decisioni della Corte di Strasburgo – che già hanno avuto un forte impatto a livello interno quanto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello – ma anche quelle della Corte di giustizia, proprio con riferimento al mutamento del giudice dibattimentale (Corte giust. Gambino e altri, 29 luglio 2019). 
Quest’ultimo richiamo dovrebbe ulteriormente dissuadere da interventi in contrasto col principio in questione, fissato sul piano codicistico dall’art. 525, comma 2, c.p.p. sulla scorta di un’ipotesi di nullità assoluta (l’unica, peraltro, ad essere ribadita anche come “speciale”). 

6- Si prevede che la priorità assoluta di trattazione riguardi anche i delitti colposi di comune pericolo. E’ davvero sensato continuare ad ampliare i processi a priorità assoluta oppure ormai l’art. 132 bis d.att. c.p.p. è una sterile elencazione?

La risposta del giudice: In effetti non sempre un processo c.d. a priorità assoluta merita una trattazione prioritaria (faccio riferimento a un processo in cui sia contestata la recidiva ex art. 99 quarto comma c.p. che comporta una dilatazione dei termini di prescrizione del reato o a processi in cui non si sia costituita la parte civile). Penso quindi che la trattazione prioritaria va considerata caso per caso e rimessa pertanto al prudente apprezzamento del giudice più che a una norma di legge.
La risposta del pm: Si, il sistema delle priorità, così ampio e generalizzato, rischia di ridursi ad un elenco sterile e privo di concreta efficacia. E' innegabile tuttavia che  alcuni processi meritano una trattazione prioritaria rispetto ad altri, ma ciò non può essere affidato soltanto al titolo del reato contestato, bensì ad una attenta disamina della sottesa vicenda processuale, che abbia come riferimento il grado  dell’offesa al bene giuridico protetto.
La risposta dell'avvocatoQuesti allargamenti derivano dall’eccessiva voglia del legislatore di turno di assecondare le pulsioni dell’opinione pubblica. Ma, come dice lei, l’indiscriminato ampliamento del catalogo comporterà la sostanziale elusione della ratio sottesa alla norma.
La risposta del docente: I criteri di priorità sono, fisiologicamente, emblematici della cedevolezza del sistema rispetto a scelte di politica criminale sempre più mutevoli. Sono scelte, del resto, che risultano per natura instabili, rispondenti come sono al sentire dell’opinione pubblica e al disvalore comunemente percepito, di volta in volta, in relazione a certe fattispecie. 
Ampliare il catalogo, tuttavia, smentisce gli obiettivi che sono posti alla sua stessa base, vanificandoli. Un allargamento eccessivo costituisce di fatto, giocoforza, la premessa di operazioni di scrematura ulteriori, sommerse e perciò ancora meno conciliabili con il principio di obbligatorietà di cui all’art. 112 Cost.
Considerati i reati in questione, l’impressione è che la prevista priorità sia destinata a realizzarsi poi, in concreto, attraverso il ruolo dei “privati” (in particolare persona offesa e danneggiato dal reato), il cui apporto nel rito penale può risultare determinante e strumentale anche rispetto alla selezione del carico giudiziario. 








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