21 maggio 2021

UN DIALOGO GARANTISTA, TRA DIVIETO DI ANALOGIA E GUARANTIGIE DA COMPLETARE.

 




La Corte Costituzionale (Corte cost.28.04.2021-14.05.2021 n.98, al link), investita di una questione di legittimità costituzionale dell’art. 521 c.p.p., «nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato, allorquando sia invitato dal giudice del dibattimento ad instaurare il contraddittorio sulla riqualificazione giuridica del fatto, di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diversamente qualificato dal giudice in esito al giudizio», ha ritenuto la questione inammissibile, poiché il remittente aveva omesso di confrontarsi con gli argomenti contrari alla riqualificazione giuridica del fatto contestato. In particolare per il Giudice delle leggi l’ordinanza di remissione non ha puntualmente dimostrato che la prospettata mutatio in iure non celasse in realtà un’applicazione analogica in malam partem.

Nonostante l’esito dell’incidente di legittimità, il tema proposto e i rilievi contenuti nella sentenza meritano attenzione.

Val la pena ricostruire brevemente il caso scrutinato dal Tribunale di Torre Annunziata.

All’esito dell’istruzione dibattimentale, il Giudice campano invitava le parti a instaurare il contraddittorio in ordine ad un’eventuale riqualificazione giuridica del fatto contestato sub art. 612-bis cpv. c.p., in quello di cui all’art. 572 c.p..

Invero dalla lettura della sentenza della Corte, si coglie che il Tribunale riteneva che il requisito della convivenza, ex art. 572, possa ricorrere anche ove si riscontri soltanto un <<contesto affettivo protetto, caratterizzato come tale da legami affettivi forti e stabili, tali da rendere particolarmente difficoltoso per colui che patisce i maltrattamenti sottrarsi ad essi e particolarmente agevole per colui che li perpetua proseguire», pur prescindendosi da una convivenza comunemente intesa.

A sostegno di tale interpretazione il Giudice a quo invocava numerosa giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 7 febbraio-9 maggio 2019, n. 19922; sezione seconda penale, sentenza 23 gennaio-8 marzo 2019, n. 10222; sezione sesta penale, sentenza 18 marzo-15 luglio 2014, n. 31121; sezione quinta penale, sentenza 17 marzo-30 giugno 2010, n. 24688; sezione terza penale, sentenza 3 luglio-3 ottobre 1997, n. 8953; sezione sesta penale, sentenza 18 dicembre 1970-20 febbraio 1971, n. 1587)

A fronte dell’invito formulato dal Tribunale, l’imputato, per il tramite del difensore, chiedeva la restituzione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen., in modo da essere rimesso in termini per formulare richiesta di rito abbreviato; in subordine, ove il fatto fosse ritenuto il medesimo di quello già oggetto di contestazione, instava di essere comunque giudicato nelle forme del rito abbreviato.

Il Giudice, ritenendo il fatto storico identico a quello contestato, rilevava che l’art. 521 nella sua attuale formulazione non consentiva al prevenuto di essere ammesso al rito alternativo e tuttavia elevava a sospetto di legittimità costituzionale la disposizione codicistica.

In particolare il remittente adduceva la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., nonché dell’art. 3 della Legge fondamentale.

Riguardo ai primi due parametri costituzionali, il Giudice a quo rilevava che:

-      a seguito della modifica in iure dell’imputazione, la difesa potrebbe constatare di avere minori spazi di contraddittorio rispetto a quelli prospettatisi allorquando aveva, sulla scorta della contestazione, operato la scelta del rito;

-      la diversa qualificazione prospettata dal giudice potrebbe in concreto determinare «uno stravolgimento nella risposta sanzionatoria», fattore idoneo a condizionare in maniera determinante la scelta del rito;

-      non avrebbe alcun pregio l’obiezione secondo cui la regressione del processo, ormai giunto al suo esito, frustrerebbe le esigenze deflattive sottese ai riti alternativi. E ciò non soltanto perché un simile effetto si produce, proprio in conseguenza di alcuni precedenti della Corte costituzionale, anche nelle ipotesi in cui la restituzione del termine per accedere al rito speciale consegue a mutamenti fattuali dell’imputazione, ma soprattutto perché la logica deflattiva propria del rito abbreviato è subvalente rispetto alla tutela della pienezza del diritto di difesa e del rispetto del principio di eguaglianza;

-      parimenti infondato è il rilievo secondo cui la modifica della veste giuridica dell’imputazione costituirebbe un rischio del dibattimento, che l’imputato si addossa allorché opti per il rito ordinario. Di tale rilievo infatti hanno già fatto giustizia le sentenze della Corte che, in caso di mutamento della contestazione, hanno riconosciuto, dapprima con riferimento alle contestazioni cosiddette “patologiche” e poi anche nelle ipotesi di contestazioni “fisiologiche”, la possibilità di acceso ai riti alternativi. Ed anzi per il Tribunale campano la riqualificazione giuridica si porrebbe alla stregua della contestazione “patologica”, giacché si tratterebbe della correzione di un «errore di selezione della veste giuridica addebitabile all’accusa», che non potrebbe come tale «risolversi in un nocumento delle prerogative proprie del diritto di difesa».

Con specifico riguardo alla violazione del principio di uguaglianza, il rimettente lamentava che:

-      l’attuale formulazione dell’art. 521 dà luogo ad un’ingiustificata disparità di trattamento tra l’imputato destinatario sin dal principio di una contestazione qualificata correttamente in diritto e il prevenuto “vittima” dell’errore del pubblico ministero;

-      la disparità di trattamento è resa ancora più acuta nei casi in cui il Giudice, nel procedere alla riqualificazione giuridica del fatto, debba restituire gli atti all’organo dell’accusa per un nuovo esercizio dell’azione penale. Si pensi alle ipotesi in cui il reato riqualificato appartenga alla competenza di un giudice superiore o sia attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale. In tali evenienze infatti si consentirebbe all’imputato di optare per un rito alternativo;

-      la violazione dell’art. 3 Cost. potrebbe apprezzarsi anche lì dove il mutamento in iure  della contestazione dovesse conseguire ad una iniziativa dell’organo dell’accusa, poiché in tal caso al prevenuto sarebbe restituita la facoltà di accesso ai riti speciali.

La Corte costituzionale, per come supra rilevato, ha dichiarato la questione inammissibile, censurando i presupposti della riqualificazione giuridica operata dal Tribunale.

Infatti il Giudice delle leggi ha rilevato non soltanto che l’arresto di legittimità invocato dal Tribunale non è univoco, ma soprattutto che l’”interpretazione estensiva” della nozione di convivenza, operata dal Giudice circondariale, celi, seppur con intenti del tutto apprezzabili, un’operazione analogica, che consente di considerare convivenza, invero da intendersi alla stregua dell’ordinario significato di questa espressione, <<un rapporto affettivo dipanatosi nell’arco di qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell’abitazione dell’altro …>>.

Al riguardo la Corte ha rammentato che <<il divieto di analogia non consente di riferire la norma incriminatrice a situazioni non ascrivibili ad alcuno dei suoi possibili significati LETTERALI>>, rimarcando che <<è il testo della legge – non già la sua successiva interpretazione ad opera della giurisprudenza – che deve fornire al consociato un chiaro avvertimento circa le conseguenze sanzionatorie delle proprie condotte; sicché NON E’ TOLLERABILE che la sanzione possa colpirlo per fatti che il LINGUAGGIO COMUNE non consente di ricondurre al significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore>>.

Il Giudice delle leggi non ha neppure risparmiato di ricordare che il divieto di analogia <<costituisce un ovvio pendant dell’imperativo costituzionale, rivolto al legislatore, di formulare norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e dell’intellegibilità dei termini impiegati>>.

Sia consentito chiudere con una nota di un pratico del diritto: si è assistito ad un dialogo garantista.

La Corte costituzionale ha richiamato principi ovvi sui manuali di diritto penale, ma non davanti ad “un diritto giurisprudenziale totipotente”, secondo la fortunata espressione di Massimo Donini, e ad una legislazione spesso mal congegnata; il Tribunale, dal canto suo, ci ha ricordato che lo statuto delle garanzie, a fronte di imputazioni errate, è ancora da completare.  

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