Per la rubrica "La Riforma del Processo Penale", pubblichiamo l'intervento del Docente relativo alla sezione "Giudizio" della riforma.
La nuova rubrica sottopone alcune domande a un giudice, un pubblico ministero, un avvocato e ad un docente universitario.
Il piano completo dell'opera è consultabile sulla pagina dedicata di questo blog (link).
A seguire le sei domande al Docente, Lucia Parlato.
Il progetto di legge per la “DELEGA AL GOVERNO PER LA MODIFICA DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE, DEL CODICE PENALE E DELLA COLLEGATA LEGISLAZIONE SPECIALE E PER LA REVISIONE DEL REGIME SANZIONATORIO DELLE CONTRAVVENZIONI”, è all’esame, in sede referente, della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che ha anche svolto numerose audizioni inerenti il testo della riforma.1- Le pare concretamente possibile che il Giudice, sin dalla prima udienza, stili un calendario delle udienze per l’istruzione dibattimentale e per lo svolgimento della discussione?
Le finalità perseguite tramite la modifica sono certamente condivisibili, perché mirano a un riordino delle cadenze del dibattimento.
Una prognosi circa il successivo articolarsi delle udienze, nel razionalizzare lo sviluppo della vicenda giudiziaria, potrebbe giovare anche alla sua durata.
Dal punto di vista soggettivo, la novità si collocherebbe nel quadro delle informative dovute ai protagonisti privati del rito penale. Servirebbe a rendere consapevoli gli imputati ed eventualmente le persone offese sul futuro protrarsi degli oneri derivanti dal processo in corso. Questa consapevolezza, peraltro, se del caso potrebbe incoraggiare la scelta di definizioni alternative del procedimento, laddove ancora prospettabili, producendo indirettamente vantaggi deflattivi.
Il sistema – che può favorire soprattutto la speditezza di processi “sovraffollati” – in realtà fa tesoro di prassi virtuose già emerse in alcuni contesti locali e rappresenta un risultato realizzabile anche sulla scorta della disciplina predibattimentale attualmente vigente.
Una buona quota della riuscita dell’espediente è affidata ai suoi risvolti applicativi. Tra i vari fattori in gioco rilevano, da un lato, il pericolo di appesantire le prime battute della fase dibattimentale; dall’altro lato, le conseguenze pratiche e le disfunzioni che in concreto deriverebbero dal mancato inserimento – nell’ambito dell’ora ipotizzato calendario – di passaggi poi rivelatisi necessari.
2- Se l’intento della relazione illustrativa sulle richieste di prove è quello di porre il Giudice nelle condizioni di meglio decidere sulla loro ammissibilità, non era meglio rivitalizzare l’art. 468 c.p.p. in ordine alla precisazione delle circostanze su cui sentire i testi?
C’è senz’altro il rischio di creare un “doppione” rispetto al sistema di cui all’art. 468 c.p.p. La sensazione è quella di una rinuncia alle aspettative riposte dal legislatore del 1988 sul sistema delle liste testimoniali: si investe, insomma, su un restyling normativo, nella speranza che sia capace di richiamare l’attenzione dell’interprete.
Il recupero dell’istituto, noto all’esperienza passata, può essere proficuo solo nella misura in cui l’innovazione sarà, in effetti, ben “dosata”: cioè senza gravare eccessivamente sul momento iniziale del dibattimento e, al contempo, senza limitare l’incombente ad un formale rimando al contenuto delle liste.
3- Condivide l’introduzione di un pieno principio dispositivo in tema di revoca delle prova già ammesse?
Il fatto che la prova già ammessa non sia più “patrimonio” del processo, ma rimanga nella disponibilità del richiedente, senz’altro rende più snella la procedura della revoca, superando problemi applicativi che si erano affacciati con specificità anche rispetto al giudizio abbreviato.
È immaginabile, però, che la modifica possa ripercuotersi a ritroso sul piano delle richieste probatorie: le farebbe diventare probabilmente meno ponderate, “deresponsabilizzando” in una certa misura le parti processuali, nella consapevolezza di più agevoli ripensamenti.
Ed è facile, allo stesso tempo, prospettare che l’innovazione si tradurrà in una sovraesposizione del meccanismo ex art. 507 c.p.p., perché la sua applicazione sarà stimolata da quelle parti il cui placet ora non è più necessario ai fini dell’efficacia della revoca.
4- Qual è il suo giudizio sulla introduzione di un congruo termine antecedente l’udienza per il deposito di perizie e consulenze?
La modifica può incidere positivamente sulla realizzazione di un contraddittorio effettivo, anche in sede di esame dell’esperto. Ciò a patto che il termine – specie se perentorio – interessi gli apporti di tutti gli esperti, a prescindere dalla parte cui essi si riferiscano: senza assecondare, quindi, le soluzioni giurisprudenziali (Cass. 18 febbraio 2020, n. 16458) che recentemente hanno fatto molto discutere.
5- L’estensione dell’art. 190 bis c.p.p. ai casi di mutamento della persona fisica del Giudice non rischia di celebrare il de profundis per l’immediatezza?
L’art. 190 bis c.p.p. costituisce un’importante norma di raccordo, essenziale per la tenuta del sistema. È la sintesi del rapporto tra la regola del contraddittorio e le sue eccezioni. Per questo, ogni suo ritocco può creare forti ripercussioni sugli equilibri del modello accusatorio.
Il rischio di una sovversione di tali equilibri è ora sicuramente molto elevato.
Un ampliamento dell’area operativa della disposizione, infatti, può essere ammesso soltanto cum grano salis, a condizione che sia circoscritto. L’inserimento operato dal d.lgs n. 212 del 2015 all’interno dell’articolo aveva una sua giustificazione peculiare – da riconoscere nella tutela della vittima particolarmente vulnerabile – e peraltro confidava su forme avanzate di documentazione delle dichiarazioni. Mentre le modifiche ora proposte poggiano su ragioni molto diverse e di carattere più generale, dovute a un difetto della macchina giudiziaria.
Con la riforma prospettata, in buona sostanza la deroga di cui all’art. 190 bis c.p.p. – stante la sua “comodità” – diventerebbe la regola. La novità potrebbe compromettere l’assetto delle scelte del legislatore del 1988, ribaltando un intero sistema sinora ispirato al principio di immediatezza.
La modifica, come è accaduto per altre novelle introdotte negli ultimi anni, raccoglie tendenze emerse sul piano della giurisprudenza costituzionale e di legittimità (Corte cost. n. 132 del 2019 e Cass., S.U., 10 ottobre 2019, Bajrami).
Non sono state però valorizzate le indicazioni che, in senso opposto, vengono sempre più chiaramente espresse dalle Corti sovranazionali: indicazioni capaci di creare delle remore ed eventualmente, in futuro, di costringere il legislatore a nuovi ripensamenti.
In quest’ottica, ad assumere rilievo sono non soltanto le decisioni della Corte di Strasburgo – che già hanno avuto un forte impatto a livello interno quanto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello – ma anche quelle della Corte di giustizia, proprio con riferimento al mutamento del giudice dibattimentale (Corte giust. Gambino e altri, 29 luglio 2019).
Quest’ultimo richiamo dovrebbe ulteriormente dissuadere da interventi in contrasto col principio in questione, fissato sul piano codicistico dall’art. 525, comma 2, c.p.p. sulla scorta di un’ipotesi di nullità assoluta (l’unica, peraltro, ad essere ribadita anche come “speciale”).
6- Si prevede che la priorità assoluta di trattazione riguardi anche i delitti colposi di comune pericolo. E’ davvero sensato continuare ad ampliare i processi a priorità assoluta oppure ormai l’art. 132 bis d.att. c.p.p. è una sterile elencazione?
I criteri di priorità sono, fisiologicamente, emblematici della cedevolezza del sistema rispetto a scelte di politica criminale sempre più mutevoli. Sono scelte, del resto, che risultano per natura instabili, rispondenti come sono al sentire dell’opinione pubblica e al disvalore comunemente percepito, di volta in volta, in relazione a certe fattispecie.
Ampliare il catalogo, tuttavia, smentisce gli obiettivi che sono posti alla sua stessa base, vanificandoli. Un allargamento eccessivo costituisce di fatto, giocoforza, la premessa di operazioni di scrematura ulteriori, sommerse e perciò ancora meno conciliabili con il principio di obbligatorietà di cui all’art. 112 Cost.
Considerati i reati in questione, l’impressione è che la prevista priorità sia destinata a realizzarsi poi, in concreto, attraverso il ruolo dei “privati” (in particolare persona offesa e danneggiato dal reato), il cui apporto nel rito penale può risultare determinante e strumentale anche rispetto alla selezione del carico giudiziario.