02 maggio 2021

La Riforma del Processo penale - 2.4 la riforma dei riti speciali (abbreviato e applicazione della pena) - Le risposte del Docente, Caterina Scaccianoce (*)

Per la rubrica "La Riforma del Processo Penale", ora nella partizione "Il processo che verrà" del nostro blog, ospitiamo l'intervento sul progetto di riforma dell'udienza preliminare con 4 domande al Docente, Caterina Scaccianoce
Il piano completo dell'opera è consultabile sulla pagina dedicata di questo blog (link). 

Il progetto di legge per la “DELEGA AL GOVERNO PER LA MODIFICA DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE, DEL CODICE PENALE E DELLA COLLEGATA LEGISLAZIONE SPECIALE E PER LA REVISIONE DEL REGIME SANZIONATORIO DELLE CONTRAVVENZIONI”, è all’esame, in sede referente, della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che ha anche svolto numerose audizioni inerenti il testo della riforma.


1-Il progetto di legge prevede un nuovo patteggiamento allargato fino ad otto anni di pena, ma escluso per numerosi reati, qual è la sua opinione al riguardo? 
Trovo che sia l’ennesimo tentativo del legislatore di rendere maggiormente appetibile il rito del patteggiamento, che, soprattutto nella forma allargata, non ha condotto ai risultati sperati. Tuttavia, la manovra legislativa non mi pare adeguata allo scopo, non avendo fatto leva sul corredo degli incentivi premiali: appare ragionevole presumere che l’imputato preferirà optare per il concorrente giudizio abbreviato. Visti i dati scoraggianti degli ultimi anni, forse, i tempi sono maturi per pensare a un rito ibrido, metà patteggiamento e metà abbreviato, auspicandone un maggiore impatto sul piano della deflazione. Quanto alle preclusioni, già positivizzate a partire dal 2003, è noto che la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla loro legittimità, le ha considerate opzioni non arbitrarie e ragionevoli nell’ottica di riequilibrio rispetto alla scelta di dilatare il perimetro della giustizia negoziata. Far prevalere alle esigenze di economia processuale la necessità di un vaglio completo del fondamento dell’accusa, restituendo al giudice le leve del comando sanzionatorio su materie che destano particolare allarme sociale, lo trovo un compromesso equilibrato, purché i criteri posti a base della individuazione delle fattispecie escluse siano uniformi e rispondano alla medesima ratio. Oggi, come si sa, si tende ad attingere a un catalogo ormai affollato di ipotesi delittuose sempre più variegate ed eterogenee, alle quali si aggiungono le nuove esclusioni proposte dal legislatore.


2-Per il nuovo patteggiamento, stante la sensibile soglia di pena, non è forse necessario prevedere nuovi e più stringenti oneri motivazionali?
In istituti di giustizia negoziata, come il patteggiamento, si intrecciano diversi temi cruciali, dalla funzione cognitiva del processo alla tensione tra garanzie individuali e speditezza del processo, dalla tutela della vittima alle finalità della pena. L’opportunità di prevedere nuovi e più stringenti oneri motivazionali per il nuovo super-patteggiamento investe la dimensione cognitiva del rito. La motivazione del giudice, infatti, rispecchia i limiti del controllo condotto dal giudice sullo stato degli atti. Ampliare gli oneri motivazionali implicherebbe, in primis, l’irrobustimento della base cognitiva, potenziando il controllo ed estendendolo alla prova della colpevolezza, sì da ricucire il legame che collega quest’ultima alla pena; ed ancora la conseguente possibilità di ricorrere per cassazione per vizio di motivazione, oggi preclusa grazie alla “riforma Orlando”. Sicché, per tale via, si dovrebbe riscrivere, introducendovi un forma, sia pure non piena, di accertamento sulla responsabilità, la struttura del rito, che, al momento, fondato su logiche negoziali, è un procedimento anti-cognitivo, quindi, senza giudizio, nel quale il giudice, pure rivestendo un ruolo tutt’altro che marginale, deve pronunciarsi sull’accordo tra pubblico ministero e imputato sul merito dell’imputazione, dopo avere escluso la possibilità di prosciogliere ai sensi dell’art. 129 c.p.p.; il che non implica alcun controllo positivo sulla fondatezza della ipotesi accusatoria al di là di ogni ragionevole dubbio, bensì un controllo sull’assenza di cause di non punibilità. Elevare a otto anni la soglia di pena richiederebbe, per ragioni di giustizia sostanziale, un controllo più penetrante, quanto meno che impedisca l’applicazione della pena in presenza di un quadro probatorio incerto. Come debba comportarsi il giudice di fronte all’eventuale situazione di incertezza o contraddittorietà della prova è, infatti, una questione a tutt’oggi aperta. Ma può ben sperarsi se si pensa che il parlamento è chiamato ad attuare la Direttiva 2016/343 UE sulla presunzione di innocenza, ove all’art. 6, si precisa come l’onere probatorio circa la colpevolezza di indagati e imputati incomba sulla pubblica accusa, e come ogni dubbio in merito alla colpevolezza sia valutato in favore dell’indagato o imputato, anche quando il giudice valuta se la persona in questione debba essere assolta. Al futuro legislatore, quindi, il compito di estendere l’operatività della regola in dubio pro reo al patteggiamento, stabilendo quale sia, tra il rigetto del pactum e il proscioglimento, la decisione da emettere in presenza di una ipotesi accusatoria incerta o contraddittoria.

3-La riforma tralascia il patteggiamento sulla qualificazione giuridica del fatto, che potrebbe avere efficacia deflattiva, e restituisce una polverizzazione del patteggiamento. Cosa ne pensa? 
Patteggiare non solo la pena ma anche i reati risponde a una logica che non collima con molti dei nostri principi costituzionali posti a presidio dell’uguaglianza dei cittadini e dell’indipendenza del pubblico ministero. Sicché è inimmaginabile una riforma in tal senso. Il giudice ha, infatti, il compito di controllare la corretta definizione giuridica del fatto, e, se in base alle risultanze degli atti di indagine non vi ravvisi una corrispondenza, deve rigettare la proposta, a fortiori quando la medesima qualificazione del fatto è oggetto di accordo nei termini di una concordata derubricazione. La scelta del legislatore di non intervenire sul punto effettivamente ci consegna una normativa che prevede modelli di patteggiamento differenti a seconda della fattispecie di reato per cui si procede: oltre ai patteggiamenti c.d. allargato e super allargato, vi sono quelli per così dire condizionati, che si applicano per alcune fattispecie di reato contro la pubblica amministrazione e in materia tributaria, prevedendosi discutibili limiti di accesso al rito: l’ammissibilità è subordinata rispettivamente al risarcimento del danno e al pagamento del debito tributario. Ciò comporta una evidente compressione del diritto di difesa che, peraltro, è stata all’origine di ripetuti interventi correttivi da parte della giurisprudenza, non solo di legittimità, che mostrano un chiaro segnale della necessità di una disciplina quanto più possibile uniforme.

4-Non le pare che la riforma qualifichi il giudizio abbreviato condizionato nel metodo ordinario di accertamento del fatto, prevedendo che l’attuale giudizio di compatibilità non venga più rapportato alle finalità di economia processuale proprie del giudizio abbreviato, ma con i tempi di svolgimento del giudizio dibattimentale?
Anche questa modifica può leggersi come l’ennesimo tentativo del legislatore di rimuovere ogni ostacolo, di tipo procedurale, alla celebrazione del rito abbreviato, operando sui criteri di ammissibilità della forma condizionata, quindi, sui margini di discrezionalità del giudice. Si propone quindi che questi debba verificare la compatibilità dell’integrazione probatoria non più con le finalità di economia processuale proprie del rito ma con i tempi di svolgimento del dibattimento, fermo restando il presupposto della necessità ai fini della decisione: l’integrazione, infatti, deve aggiungere volume alla prova e non sostituire gli elementi di prova già esistenti. Lo scopo, dunque, è quello di allargare le maglie, sebbene potrebbe obiettarsi come il giudice più idoneo a compiere il predetto vaglio sembri essere il giudice del dibattimento, il quale è senz’altro più interessato a celebrare il rito semplificato, diversamente dal giudice dell’udienza preliminare, che potrà sempre contare sulla più comoda alternativa decisoria del rinvio a giudizio. Il rischio, per contro, è di rendere sempre meno semplificato il rito. Ad ogni modo, sono dell’opinione che per potenziare il giudizio abbreviato si dovrebbe insistere, ma con più coraggio, sulla leva sanzionatoria, aumentando e diversificando la premialità per classi di reato, inclusi quelli puniti con l’ergastolo.

(*) Caterina Scaccianoce: Abilitata alle funzioni di professore di II^ fascia nel SSD 12 G2- IUS 16 – Diritto processuale penale (tornate 2012 e 2016).
Ricercatrice a tempo determinato di tipo B di Diritto processuale penale presso l’Università di Palermo, Dipartimento di Giurisprudenza (2019).
Dottore di ricerca in Procedura penale (2001).
Assegnista di Diritto processuale penale (2005-2009).
Abilitata all’esercizio della professione di avvocato (1998).
Docente di Diritto dell’esecuzione penale e diritto penitenziario, Sistema penale e tutela della vulnerabilità nel corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza dell’Università di Palermo (canale di Trapani).
Docente di Diritto processuale penale presso la Scuola di Specializzazione delle Professioni Legali dell’Università di Palermo
Ha partecipato a diversi convegni e seminari di carattere scientifico.
Fra gli argomenti trattati su temi di procedura penale nazionale ed europea possono menzionarsi: ruolo e funzioni del pubblico ministero, l’inazione, riforma in peius della sentenza di proscioglimento, rinnovazione della prova in appello, condizioni di detenzione e cooperazione giudiziaria, tenuità del fatto, indagini digitali, contraddittorio tecnico, retroattività della lex mitior.

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