Per la rubrica "La Riforma del Processo Penale", pubblichiamo l'intervento del docente Naike Cascini relativo alla sezione "Depositi e notifiche" della riforma. La nuova rubrica sottopone alcune domande a un giudice, un pubblico ministero, un avvocato e ad un docente universitario.
La proposte di riforma all'esame del Parlamento che troverete in questa sezione (la numero 9 Depositi e notifiche) riguardano le nuove "potenzialità" telematiche (al link la sezione dedicata del nostro blog con tutto ciò che occorre sapere) e il nuovo meccanismo del domicilio legale con tutte le conseguenze, anche in fatto di responsabilità, che ne derivano per il Difensore.
1. L’art. 2 del disegno di legge conferma la possibilità, introdotta dalla normativa emergenziale, di depositare telematicamente atti e documenti, delegando però al Ministro della giustizia la facoltà di individuare i casi di deposito telematico obbligatorio. Ritiene opportuno prevedere dei casi di deposito telematico obbligatorio?
Prima di rispondere al quesito ritengo opportune due considerazioni di metodo. La prima: tutte le riforme che fino a questo momento hanno interessato il codice di procedura penale sembrano avere quale comune denominatore l’efficienza, e questo credo sia l’aspetto più problematico perché spesso questo obiettivo è stato perseguito creando distorsioni nella struttura processuale a detrimento della tutela di diritti e garanzie che nelle forme processuali trovano il primo e più solido presidio. L’altra considerazione è rivolta, invece, alla carenza, nel linguaggio legislativo, delle opportune precisazioni di carattere tecnico dal punto di vista lessicale: si parla indistintamente di atti, documenti e notificazioni equiparando termini che, in realtà, hanno una precisa definizione codicistica e devono necessariamente essere tra loro distinti sia da un punto di vista funzionale, sia avendo riguardo al destinatario del singolo atto, documento o notificazione.
Ciò posto, se da una parte credo che il deposito telematico possa rappresentare un eccezionale momento di riforma per un processo penale che oramai non è più in grado di rispondere alle esigenze della collettività, dall’altra temo che la struttura amministrativa non sia ancora pronta. Catalogare i casi di deposito telematico obbligatorio rappresenta solo la punta dell’iceberg, in quanto prima della predisposizione di questo elenco sarebbe auspicabile costruire un meccanismo più completo, che abbia come punto di partenza la predisposizione del fascicolo penale telematico, accessibile dai soggetti che ne hanno interesse, all’interno del quale poter di volta in volta depositare i singoli atti che così sarebbero immediatamente disponibili alle parti e al giudice. A ben vedere, l’introduzione del deposito in assenza di un fascicolo telematico rischia di depotenziare l’innovazione: se da una parte sarebbe utile al mero scopo di evitare all’avvocato di recarsi in cancelleria per procedere al deposito, agevolando così tempi e modi dello stesso, e determinando l’efficienza dal punto di vista della difesa, dall’altra non esimerebbe il cancelliere dalla stampa dell’atto e dalla sua collazione nel fascicolo cartaceo. Dunque, pensare solo alla lista di atti da depositare obbligatoriamente sembra un rimedio parziale e insufficiente nell’ottica della effettiva implementazione del processo penale telematico.
Poste tali premesse, credo che non sia utile distinguere un deposito facoltativo da uno obbligatorio, in quanto sarebbe molto alto il rischio di confusione e disorientamenti.
Da ultimo, nel caso in cui si decida di seguire la linea del deposito telematico, sicuramente è imprescindibile l’allestimento di un meccanismo di risposta automatica – così come sembra nei pensieri del legislatore – idoneo a dare certificazione alla parte dell’avvenuto deposito. Solo in tal modo si appresterebbe un rimedio teso a evitare contestazioni sulla tempestività del deposito e prima ancora sul compimento stesso del medesimo, nei casi in cui l’atto non sia rinvenuto nel fascicolo per un errore della cancelleria. L’esperienza maturata sul versante del rito civile potrebbe insegnare molto e aiutare a prevenire questo tipo di problematiche.
2. Per ciò che attiene alla disciplina delle notifiche, il medesimo articolo mira a introdurre, dopo la prima notifica al prevenuto, un domicilio legale presso il difensore, salvo dei parziali temperamenti in caso di difesa di ufficio. Non si rischia di creare una vasta sacca di “ignoranza” del processo?
In molti passi della delega si percepisce la tendenza a riversare sugli avvocati le inefficienze del sistema processuale oppure a gravare la difesa di adempimenti che appesantiscono inutilmente l’incarico. Penso, alla introduzione della necessità di un mandato ad hoc per l’impugnazione (art. 7, lett. a) che è una complicazione inutile soprattutto nel caso di nomina fiduciaria.
Questo approccio si nota anche nella volontà di trasformare il difensore nel terminale dell’attività di notificazione.
In questa ottica, tuttavia, l’obiettivo dell’accelerazione del processo non è affatto bilanciato né bilanciabile con il diritto dell’imputato di conoscere “senza tramiti” le notizie sul procedimento a suo carico, onde assumere le iniziative più opportune. E non dimentichiamo neppure che la notifica personale all’imputato può essere una sorta di “paracadute” nel caso, ad esempio, di problemi nella ricezione da parte del difensore (pensiamo a un improvviso malfunzionamento della pec).
Dunque, riducendo drasticamente i casi di notifica diretta al prevenuto si sacrificano, in nome di esigenze efficientistiche, i principi costituzionali e convenzionali (6 CEDU).
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che la notizia all’interessato circa le accuse mosse a suo carico deve rivestire un carattere ufficiale e cioè provenire dagli organi pubblici adibiti alle notificazioni. La giurisprudenza di Strasburgo fa gravare, dunque, sull’autorità giudiziaria l’obbligo di compiere ogni sforzo per procurare all’accusato la reale conoscenza del procedimento.
Istituire i suddetti oneri informativi rischia, pertanto, di snaturare il ruolo del difensore, che assurgerebbe ad ausiliario dell’autorità tenuta ad effettuare le comunicazioni e le notificazioni, con riflessi di non poco conto per i casi di omessa comunicazione che non sia dovuta al fatto dell’assistito ma neppure del difensore.
Concludendo, credo che l’introduzione di un domicilio legale presso il difensore non solo rischi di creare una vasta sacca di “ignoranza” del processo, ma anche di gravare oltremodo l’attività del difensore, a prescindere dal fatto che poi questi avviserà comunque il suo assistito in adempimento all’incarico professionale.