03 maggio 2021

Il fascino decadente del patteggiamento e i temi irrisolti della riforma all'esame del Parlamento - di Daniele Livreri


Premetto che mi atterrò alla lezione tralaticia secondo cui il nostro processo accusatorio può salvarsi soltanto se una significativa maggioranza dei procedimenti si risolva ante iudicium; lezione cui fino a qualche tempo fa credevo senza troppi interrogativi. 

Ritengo però che se così è, il legislatore ha una visione del rito alternativo tutta sbilanciata sul quantum di pena, sfuggendogli che negli anni continue novelle e la stessa giurisprudenza, hanno reso quella modalità di definizione del giudizio poco appetibile.

Prendiamo ad esempio il patteggiamento, per il quale devo correggere subito una imprecisione: il legislatore ha una visione sbilanciata sulla pena principale. 

Infatti già con l'introduzione, nel 2003, del c.d. patteggiamento allargato, la comminazione delle pene accessorie è esclusa soltanto per pene concordate non superiori agli anni due. Nel 2019 si è assistito ad un’ulteriore erosione del beneficio, giacché le sanzioni accessorie  sono applicabili ai patteggiamenti per i delitti contro la pubblica amministrazione, di cui al comma 1 ter dell'art. 445 c.p.p., a prescindere dal quantum di pena negoziato. Ci si riferisce segnatamente all'interdizione dai pubblici uffici e alla capacità di contrarre con la pubblica amministrazione.

Né mi pare che questo aspetto, nell'ottica deflattiva, sia sufficientemente riequilibrato dalla circostanza che l'istante possa subordinare l'efficacia della sua richiesta all'esclusione delle sanzione accessorie o alla loro sospensione. Si tratta infatti comunque di un ostacolo al meccanismo deflattivo. A maggior ragione che già nel 2015 si era introdotta, per taluno di questi delitti, la condizione di ammissibilità della integrale restituzione del prezzo o del profitto del reato, coevamente a quanto avvenuto per i debiti tributari.

Deve poi ulteriormente considerarsi che l'accesso al patteggiamento per i delitti contro la pubblica amministrazione è da cogliersi sulla scorta dell'art. 4 bis dell'ordinamento penitenziario, a mente del quale, non è ammessa la sospensione dell'ordine di esecuzione della pena detentiva.

E' evidente che l'accesso al rito per questo genere di reati resta confinato all'area della disperazione processuale: chi ha qualche argomento spendibile ricorrerà al dibattimento o al più al giudizio abbreviato.

Non si tratta certamente dell'unico caso, in cui la complessiva disciplina delle conseguenze del patteggiamento inducono ad accostarsi a questo rito con molta prudenza:

si pensi al combinato disposto ex artt. 445 comma I bis e 653 I bis c.p.p. in forza dei quali la sentenza a pena concordata ha efficacia di giudicato nel procedimento per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità, per come previsto a seguito della legge 97/2001. 

Questo meccanismo di fatto è stato trasposto anche ai giudizi disciplinari innanzi ai datori di lavoro privati. Infatti, a mente della giurisprudenza della sezione lavoro  della Suprema corte, seppure la sentenza penale di applicazione della pena non ha valore di giudicato, essa comunque <<costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione>> (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile Sentenza 3 marzo 2020, n. 5897 che richiama Cass. n. 30328/2017). Di talchè <<nell'ottica descritta ed in applicazione del ricordato insegnamento, devono ritenersi dimostrati i fatti storici accertati con la sentenza penale di cui all'articolo 444 c.p.p., e la loro idoneita' ad acquisire rilevanza in sede disciplinare ...>> (ibidem).  

Ci sembra agevole rilevare che il risvolto disciplinare accordato alla sentenza di patteggiamento è tutt'altro che incoraggiante al fine dell’accesso al rito.

Non sembra neppure trascurabile l'effetto del patteggiamento per tutti coloro che intendano partecipare ad un'attività di impresa interessata ad una qualche commessa pubblica. Infatti, le cause di esclusione, ex art. 80 della legge sugliappalti, riguardano non soltanto le ipotesi di sentenza di applicazione pena (o di decreto penale di condanna) per determinati reati, ma anche le ipotesi di "colpevolezza per gravi illeciti professionali", in cui ben potrebbe rientrare una sentenza di patteggiamento per reati diversi da quelle specificamente indicati dalla norma.   

Merita ancora riflettersi sulla circostanza che la giurisprudenza di legittimità ormai dà pressoché per scontato che lì dove l'art. 31 IX co. del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 fa riferimento alla sentenza di condanna, cui consegue l'ordine di demolizione delle medesime opere abusive, in forza del meccanismo equiparativo di cui all'art. 445 c.p.p., l'ingiunzione demolitiva è dovuta anche in caso di sentenza di patteggiamento, trattandosi di sanzione amministrativa (Cassazione penale sez. III, ud. 19/09/1997, dep. 13/10/1997, n.2896), come del resto i provvedimenti di revoca o sospensione della patente per i reati richiamati dall'art.222 C.d.S.      

Non pare ozioso rivelare che in una delle sentenze in cui si verteva sul riflesso che l'estinzione del reato ex art. 445 cod. proc. pen. poteva avere sull'ordine di demolizione, i Giudici nomofilattici hanno precisato che gli aspetti premiali che "connotano la ratio sottesa al regime del procedimento speciale " sono di "carattere eminentemente processuale" (Cass. Sez. III n. 9948 ud. 20 gen 2016 - deposito del 10 marzo 2016).

La superiore sentenza lascia emergere un tema nodale, con cui confrontarsi in sede di prospettiva di riforma del processo, con obiettivi seriamente deflattivi: una riforma processuale con qualche chance di successo deve sciogliere preliminarmente l’interrogativo se l'insufficiente ricorso ai riti alternativi più che la conseguenza della vituperata intenzione di protrarre per anni il processo in vista della prescrizione, non sia dovuto, almeno in parte, alla circoscrizione dei benefici premiali esclusivamente ad aspetti processual penalistici, in un ordinamento poi in cui la distinzione tra sanzione amministrativa e penale non è affatto limpida.

Se così fosse, è agevole constatare che anche su questo tema la riforma Bonafede, al vaglio del Parlamento, nell'introdurre un rito negoziale “super allargato” ad 8 anni di pena, rischia di creare soltanto false illusioni, ammesso che realmente, dopo l’insuccesso del patteggiamento allargato a cinque anni, qualcuno si illuda. Ma su questo si rimanda alle pregevoli considerazioni di quanti per la rubrica il “Processo il verrà” (link) sono intervenuti nel nostro blog.

 

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