09 agosto 2021

Discontinuità tra i progetti di riforma Bonafede e Cartabia: gli aspetti processuali - di Daniele Livreri

Prosegue sul nostro blog il dibattito sulla Riforma Cartabia. Dopo gli interventi dei professori Giorgio Spangher (link), Bartolomeo Romano (link), Paolo Ferrua (link) e il confronto tra Cataldo Intrieri (link) e Marco Siragusa (link), oggi pubblichiamo l'intervento di Daniele Livreri, già edito su Il Dubbio dell'8 agosto 2021 (link), al quale va il nostro ringraziamento per la concessione della pubblicazione anche sul nostro blog. 



Per una valutazione completa della c.d. riforma Cartabia si dovranno senz’altro attendere le concrete declinazioni delle deleghe conferite all’esecutivo. Tuttavia alcune differenze di fondo con il c.d. progetto Bonafede si possono vedere sin d’ora.

Anzitutto può rilevarsi che la riforma c.d. Bonafede pretendeva di assicurare il rispetto dei tempi di durata del processo e delle indagini attraverso sanzioni disciplinari, lì dove però la violazione dei termini previsti configurasse una negligenza inescusabile. Si trattava all’evidenza di un mero flatus vocis: al di là delle difficoltà di qualificare come inescusabile la negligenza, le sorti del meccanismo previsto dall’art. 124 c.p.p. sembrano dimostrare che affidare il rispetto di norme processuali alla prospettiva di sanzioni disciplinari non funziona e comunque non ha gran rilievo per il prevenuto.

Il progetto Cartabia mira invece ad assicurare il rispetto dei termini attraverso rimedi endoprocessuali. Al riguardo ci si riferisce non soltanto al noto meccanismo dell’improcedibilità, ma anche alla previsione, a fronte della stasi del procedimento dopo che sono spirati i termini delle indagini, di un intervento, la cui definizione è delegata al Governo, del giudice per le indagini preliminari.

Sul tema merita una riflessione la tesi, autorevolmente sostenuta, secondo cui si sarebbero potuti configurare rimedi diversi dalle sanzioni disciplinari, ma pur sempre esoprocessuali, come quelli indennitari. Francamente non pare che in tal senso la legge Pinto abbia dato grande prova di sé. Ed inoltre meccanismi di tal fatta rischiano di far permanere l’interessato in un nuovo circuito giudiziario. Neppure l’ipotesi di una riduzione di pena in favore del condannato, trattenuto a giudizio oltre i termini previsti, sembra convincente, perché varrebbe per il solo condannato, penalizzando paradossalmente l’assolto.

Sullo specifico tema poi dell’improcedibilità, pare opportuno procedere a dei brevi rilievi:

1     - in linea di principio la previsione di termini di durata del processo e quindi la certezza sui tempi dello stesso, prescindendo dalla prescrizione sostanziale, a parere di chi scrive è condivisibile, perché si può rimanere assoggettati ad una pubblica potestà per tempi limitati e predeterminati. In tal senso sembra apprezzabile che l’istituto riguardi impugnazioni per reati commessi dall’ 01.01.2020, cioè da quando è entrata in vigore la riforma che abolisce la prescrizione dopo il primo grado di giudizio;

2     - piuttosto non persuade la concreta declinazione dell’istituto. Far operare i termini processuali dell’improcedibilità a seconda della contestazione di un reato piuttosto che di un altro finisce per moltiplicare irrazionalmente i multipli binari del processo italico. E tutto ciò al netto di ogni problematica in ordine all’eventuale riqualificazione della contestazione. In secondo luogo sono previsti tali meccanismi di proroga dei termini e tali deroghe alla regola dell’improcedibilità che si rischia di frustrare l’intento della riforma;

3    -  con riguardo alla paventata “strage dei processi” lamentata da taluni, a quanto già illustrato, deve aggiungersi che la rinnovazione dibattimentale in appello non rientra nel conteggio dei termini affinché scatti l’improcedibilità;

Ma proseguiamo nelle accennate differenze progettuali.

La c.d. riforma Bonafede cercava di assicurare la celerità del giudizio, prevedendo che le notifiche, successive alla prima, si effettuassero presso il difensore del prevenuto. In sintesi si introduceva un domicilio legale, prescindendo dal tema dell’assenza.

Diversamente il progetto c.d. Cartabia ben coglie la stretta connessione tra i due temi, prevedendo che l’imputato conservi il diritto alle notifiche con cui si introduce il giudizio, anche d’appello. Il tutto in un contesto in cui il Governo è chiamato ad ampliare la possibilità di rimedi successivi a favore dell'imputato e del condannato giudicato in assenza senza avere avuto effettiva conoscenza della celebrazione del processo. Tuttavia sul punto mi pare che il progetto dell’attuale ministro erri nel prevedere l’abrogazione della notifica dell’estratto della sentenza in favore dell’assente, giudicato con il giudizio abbreviato. Quel meccanismo, proprio per evitare di travolgere l’intero processo, andava confermato ed esteso anche al giudizio ordinario.  

In tema di dibattimento, il c.d. progetto Cartabia, delegando il Governo, seppur con dei limiti, a riformare la disciplina sulla riassunzione della prova dichiarativa in caso di mutamento del giudice, può aprire importanti spiragli per rimediare a SS.UU. Bajrami, che ha trasformato le trascrizioni da un mero strumento di ausilio alla memoria del giudice del dibattimento ad un mezzo di valenza euristica per il giudice che non ha mai partecipato all’assunzione della prova.

Merita infine segnalarsi che, in tema di giudizi di impugnazione, il nuovo progetto respinge il tentativo di restringere l’area della collegialità e tuttavia si assiste ad un regresso in tema di oralità e pubblicità del giudizio di impugnazione, poiché la trattazione scritta diventa il modello processuale del gravame, salvo diversa richiesta dell’interessato.

In sintesi, seppur tra luci ed ombre, pare a chi scrive che il progetto approvato dalla Camera dei deputati marchi una discontinuità su alcuni punti di rilievo con la proposta antecedente.

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