20 agosto 2021

La condanna dell'Italia nel caso Maestri e altri e le ricadute sul processo italiano - di Marina Silvia Mori (*)




L’8 luglio scorso la Corte europea dei diritti dell’uomo pronunciava sentenza nei ricorsi Maestri e altri contro Italia, condannando lo Stato convenuto per la violazione dell’art. 6 par. 1 della Convenzione europea [1].

La vicenda riguardava le note “quote latte” e il rispetto del Regolamento CE 856/84: i sette ricorrenti erano imputati di truffa aggravata e associazione a delinquere in relazione alla creazione e alla gestione di varie società cooperative il cui scopo, secondo l’accusa, era quello di superare le quote imposte dal Regolamento senza versare i relativi contributi. 

Il processo di primo grado si concludeva con l’assoluzione della Maestri da entrambi i capi di imputazione, mentre gli altri sei ricorrenti erano assolti dall’imputazione associativa, ma condannati per il delitto di truffa.

All’esito del giudizio di secondo grado, la Corte di Appello di Torino riformava la sentenza di primo grado condannando tutti e sette gli imputati per entrambi i reati, senza procedere alla rinnovazione del dibattimento. La sentenza era confermata dalla Cassazione.

Sarebbe tuttavia un grave errore inserire la Maestri e altri c. Italia nel filone giurisprudenziale reso famoso dalla pluricitata sentenza Dan c. Moldavia [2], relativa all’obbligo di rinnovazione del dibattimento in caso di overturning senza considerarne le peculiarità (per approfondimenti su questo blog: link e link).

Solo in relazione alla ricorrente Maestri, assolta in primo grado, la Corte europea ritiene infatti sussistente la violazione dell’art. 6 par. 1 per la mancata rinnovazione dibattimentale in relazione a una nuova audizione di testimoni e consulenti.

Il principio, non nuovo nella giurisprudenza strasburghese, è che se l’overturning dipende esclusivamente da una diversa interpretazione di una questione giuridica, e i fatti sono invece incontestati, non sussiste la violazione dell’equo processo ove la Corte di Appello non proceda alla rinnovazione del dibattimento [3]. Nel caso in esame, la condanna per il reato associativo inflitta nel secondo grado di giudizio si basava sulla applicazione della giurisprudenza della Cassazione che individua nell’intento di commettere un numero indefinito di reati della stessa specie (non solo un numero indefinito di reati di specie diversa, come ritenuto dal giudice di primo grado) l’elemento soggettivo dell’associazione. La diversa interpretazione preferita dai giudici di secondo grado non rendeva, quindi, necessario il nuovo esame dei testimoni e dei consulenti su fatti già stabiliti e non contestati dalle parti.


Il vero elemento di interesse, in relazione alla sentenza Maestri, riguarda il ruolo dell'esame degli imputati e il rapporto tra l’assenza volontaria e la scelta di non rendere l’esame.

La Corte europea, infatti (par. 50) si chiede se le questioni poste all’attenzione della giurisdizione di secondo grado potessero essere esaminate senza l’apprezzamento diretto, da parte del Collegio giudicante, delle dichiarazioni degli imputati. Questo perché, in particolare, la sentenza di appello conteneva riferimenti a situazioni soggettive specifiche, sostenendo tra l’altro che gli imputati “non potessero non sapere” che l’attività delle società cooperative fosse illegale. Secondo la giurisprudenza della Corte, questo comporta una presa di posizione su fatti decisivi per stabilire la responsabilità degli imputati, che implica necessariamente la verifica delle dichiarazioni della persona sottoposta a giudizio [4]

I ricorrenti erano assistiti da difensori di fiducia, erano stati correttamente informati della celebrazione del giudizio di appello e avevano deciso di non comparire all’udienza (a parte la Maestri, che era presente): nessuna questione poteva quindi porsi in relazione al diritto di informazione sul processo. La difesa del Governo sosteneva quindi che i ricorrenti avessero consapevolmente rinunciato al diritto a partecipare al giudizio, e che, comunque, la possibilità di rendere dichiarazioni spontanee e di avere l’ultima parola prima della camera di consiglio – se i ricorrenti avessero utilizzato queste procedure – sarebbero state sufficienti per compensare la mancanza di esame in grado di appello.


La Corte europea non si accontenta delle opzioni indicate dal Governo, ed emette una sentenza che rischia, ancora una volta, di modificare sensibilmente il nostro giudizio di secondo grado, essendo evidente l’individuazione di una problematica strutturale i cui effetti vanno ben oltre la singola sentenza [5].


Per la prima volta in una sentenza che riguarda l'Italia viene esaminata la seguente questione: se alla citazione a giudizio di un imputato nel grado di appello corrisponda anche una convocazione per rendere  l’esame da parte dello stesso imputato e se la mancata comparizione sia interpretabile come esplicita volontà di non sottoporsi all'esame.


La particolarità della sentenza Maestri e altri è che, riprendendo giurisprudenza consolidata della Corte europea, conferma ancora una volta il diritto dell'imputato a non comparire e a rinunciare esplicitamente ad essere presente al giudizio a proprio carico.


Tuttavia, la rinuncia a comparire non significa di per sé rinuncia a rendere l’esame: riprendendo una recente sentenza [6] la Corte ha ricordato gli obblighi positivi che incombono sulla giurisdizione di appello, e che la rinuncia alla partecipazione all’udienza da parte del ricorrente non comporta necessariamente rinuncia a prendere la parola, anche se il ricorrente non ne ha fatto esplicita richiesta e se il difensore non si è opposto alla pronuncia della sentenza in assenza di esame. Inoltre, la Corte ha rigettato le argomentazioni del Governo sottolineando come le dichiarazioni spontanee non possano sostituire l’esame reso davanti al Collegio; con riferimenti anche a pronunce della Corte di Cassazione, la Corte europea esclude infine che l’assenza al giudizio di appello possa essere interpretata come rinuncia a rendere l’esame (e gli imputati non erano stati ulteriormente citati).


Due sono le considerazioni che seguono alla sentenza Maestri e altri.

La prima, immediata, è che viene ancora una volta evidenziata la serie di obbligazioni positive che incombono sulle giurisdizioni di secondo grado, anche per evitare che l’eventuale rinnovazione del dibattimento diventi un simulacro di processo. L'assenza è solo assenza, e non diventa carta bianca nemmeno per consentire al giudicante di inferire dalla mancata partecipazione la volontà di non rendere l’esame. Anche senza sollecitazioni difensive, la Corte d’Appello ha l’onere di garantire l’equità del giudizio, eventualmente disponendo la citazione degli imputati non comparsi per rendere l’esame, se la motivazione comprende valutazioni soggettive sugli imputati stessi.

La seconda, più sottile, offre ulteriori margini di riflessione, che vanno oltre la celebrazione del giudizio di appello. Ogni volta che in un provvedimento si fa riferimento alla volontà dell’imputato, senza che quest’ultimo sia stato direttamente sentito dal giudice, seguendo il principio espresso dalla sentenza Maestri e altri dovremmo porci il problema se non fosse necessario un esame dell’imputato stesso per consentire di inserire nella sentenza detta valutazione; se l’imputato sia stato messo in condizione di rendere l’esame; se il giudice abbia correttamente motivato in assenza di esame. Forse il “non poteva non sapere” dedotto esclusivamente dalle carte è un problema che non riguarda solo il giudizio di appello e, in generale, l’assenza non corrisponde alla volontà di non sottoporsi all’esame, secondo i parametri convenzionali.

Ne derivano molti strumenti difensivi da utilizzare, nel rispetto dell’esaurimento dei ricorsi interni.


La sentenza al link 👉🏻 Maestri and Others v. Italy (coe.int)


Note


[1] Per un primo commento dell’Osservatorio Europa dell’Unione delle Camere Penali Italiane si veda il link

[2] Per una rapida ricostruzione della giurisprudenza EDU in tema di overturning, sia consentito il rinvio a M.S. MORI, A volte ritornano: Dan contro Moldavia e il cortocircuito della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, tra principi consolidati e nuove tentazioni cartolari, Giurisprudenza Penale Web, in particolare nota 3 e ss.

[3]  Bazo González c. Spagna, n. 30643/04, § 36, 16.12.2008, Keskinen e Veljekset Keskinen Oy c. Finlandia, n. 34721/09, § 39, 5.6.2012, Leș c. Romania (dec.), n. 28841/09, §§ 1822, 13.9.2016, e Dumitrascu c. Romania, n. 29235/14, 15.9.2020).

[4] Lacadena Calero c. Spagna, 22.11.2011, n. 23002/07, par. 47: “Aux yeux de la Cour, le Tribunal suprême s’est écarté du jugement d’instance après s’être prononcé sur des éléments de fait et de droit qui lui ont permis de déterminer la culpabilité de l’accusé. A cet égard, force est de constater que, lorsque l’inférence d’un tribunal a trait à des éléments subjectifs (tel qu’en l’espèce l’existence de dol éventuel), il n’est pas possible de procéder à l’appréciation juridique du comportement de l’accusé sans avoir au préalable essayé de prouver la réalité de ce comportement, ce qui implique nécessairement la vérification de l’intention de l’accusé par rapport aux faits qui lui sont imputés.

[5] Per un dettagliato resoconto sulle sentenze “quasi pilota” e le sentenze che individuano comunque violazioni strutturali, SACCUCCI, La responsabilità internazionale dello Stato per violazioni strutturali dei diritti umani, Editoriale Scientifica 2018.  

[6] Júlíus Þór Sigurþórsson c. Islanda, n. 38797/17, § 33, 16.7.2019.



(*) Marina Silvia Mori: Avvocato del Foro di Milano e componente dell’Osservatorio Europa dell’Unione delle Camere Penali. Relatrice in numerosi convegni in materia di protezione dei diritti dell’uomo e funzionamento della Corte europea, ha patrocinato e discusso ricorsi sia in Sezione che in Grande Camera. È autrice di vari commenti a sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo.

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