SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO
Settore Penale
RASSEGNA DELLE PRONUNCE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
IN MATERIA PENALE (Maggio 2024)
al link
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO
Settore Penale
RASSEGNA DELLE PRONUNCE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
IN MATERIA PENALE (Maggio 2024)
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Ieri ultimo giorno per la disciplina pandemica, in tema di impugnazioni, più volte prorogata.
Si tratta di disposizioni contenute nel d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.
Dunque per gli appelli proposti da domani:
la richiesta di trattazione orale va formulata entro 15 dalla notifica del d.c. e non dall'udienza;
entro 15 gg. prima dell'udienza il p.g. formula le sue richieste e tutte le parti possono presentare motivi nuovi e memorie;
entro 5 gg. prima dell'udienza tutte le parti possono presentarsi memorie di replica;
il provvedimento emesso in seguito alla camera di consiglio non partecipata è depositato in cancelleria e il suo deposito equivale a lettura ai fini dell'art. 545 c.p.p..
Alcune differenze, rispetto all'attuale disciplina:
1) per come già detto, muta il termine per la richiesta di trattazione orale;
2) varia anche il termine per il deposito delle conclusioni scritte di tutte le parti e non viene prevista una scansione delle stesse. Fino ad oggi <<entro il decimo giorno precedente l'udienza, il pubblico ministero formula(va) le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della corte di appello>>, mentre i difensori delle altre parti potevano presentare le conclusioni con atto scritto, entro il quinto giorno antecedente l'udienza. Il termine per il deposito delle conclusioni di tutte le parti finisce per coincidere con quello per proporre motivi aggiunti e istanza di concordato;
3) il termine attuale per le conclusioni delle parti private diventa il termine per le memorie di replica accordato a tutte le parti;
4) non si prevede una qualche forma di comunicazione in capo alla cancelleria delle conclusioni del p.g. al difensore che quindi sarà onerato di verificarne il deposito;
5) non si indica una specifica forma di deposito dell'istanza (salvo ovviamente ricavarle da norme generali);
6) il dispositivo non viene più comunicato alle parti.
Per il ricorso per Cassazione:
a) la richiesta di trattazione orale va formulata entro 10 giorni dalla notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza (e non 25 gg. prima dell'udienza). Tuttavia tale previsione sembra destinata ad essere modificata da un d.l. approvato dal Consiglio dei Ministri il 24.06., secondo cui al comma 1-ter dell'art. 611, il primo periodo è sostituito dal seguente: «Le richieste di cui al
comma 1-bis sono irrevocabili e sono presentate alla cancelleria dal procuratore
generale o dal difensore abilitato a norma dell'articolo 613 entro il termine perentorio
di venticinque giorni liberi prima dell'udienza ovvero di quindici giorni liberi prima
dell’udienza nei procedimenti da trattare con le forme previste dall’articolo 127.» (comunicato del Governo al link);
Aggiornamento. Qui (al link) la Gazzetta Ufficiale di sabato 29 giugno dove è stato pubblicato il decreto legge n.89/2024 che, all’articolo 11, ha “ripristinato” i termini di 25 giorni prima dell’udienza innanzi la corte di cassazione.
Di seguito il testo in vigore per i prossimi sessanta giorni, salva la conversione in legge:
Art. 11.
Modifiche al codice di procedura penale per l’efficienza del procedimento penale
1. All’articolo 610, comma 5, del codice di procedura penale, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) le parole «se il ricorso sarà deciso a seguito di udienza pubblica ovvero in camera di consiglio» sono sostituite dalle seguenti: «che il ricorso sarà deciso in ca- mera di consiglio, senza la presenza delle parti, salvo il disposto dell’articolo 611»;
b) dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: «Nei procedimenti da trattare con le forme previste dall’artico- lo 127 il termine è ridotto ad almeno venti giorni prima dell’udienza.».
2. All’articolo 611 del codice di procedura penale, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1 è aggiunto, in fine, il seguente perio- do: «Nei procedimenti da trattare con le forme previste dall’articolo 127 i termini per presentare motivi nuovi e memorie sono ridotti a dieci giorni e per presentare me- morie di replica a tre giorni.»;
b) al comma 1-ter, il primo periodo è sostituito dal seguente: «Le richieste di cui al comma 1-bis sono irre- vocabili e sono presentate alla cancelleria dal procurato- re generale o dal difensore abilitato a norma dell’artico- lo 613 entro il termine perentorio di venticinque giorni liberi prima dell’udienza ovvero di quindici giorni liberi prima dell’udienza nei procedimenti da trattare con le for- me previste dall’articolo 127.»;
c) il comma 1-quinquies è abrogato.
3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano ai ricorsi proposti dopo il 30 giugno 2024.
b) entro 15 gg. prima dell'udienza il p.g. formula le sue richieste e tutte le parti possono presentare motivi nuovi e memorie (prima per le parti private il termine per proporre le sue conclusioni era pari a 5 gg. prima dell'udienza). Tuttavia tale previsione sembra destinata ad essere modificata da un d.l. approvato dal Consiglio dei Ministri il 24.06., secondo cui «nei procedimenti da trattare con le forme previste dall’articolo 127 i termini per presentare motivi nuovi e memorie sono ridotti a dieci giorni e per presentare memorie di replica a tre giorni»;
c) tutte le parti possono presentare memorie di replica fino a 5 gg. prima dell'udienza. Nondimeno, si veda sopra quanto disposto dal nuovo d.l.
Anche, per questo mezzo di impugnazione non si prevedono oneri di comunicazione per la cancelleria e non si indicano modalità specifiche di deposito dell'istanza di trattazione orale.
Si tratta evidentemente di una disciplina di sfavore della difesa, alla quale non viene assicurato il diritto di intervenire per ultima e sulla quale graveranno nuovi oneri di accertamento (anche in considerazione del fatto che il deposito in cancelleria equivale a lettura dell'eventuale motivazione contestuale).
Diciamolo sinceramente, la disciplina emergenziale Bonafede era meglio di quella ordinaria della Cartabia. Anche se poi la giurisprudenza spesso aveva fatto non poco per mortificare le garanzie accordate dalla previgente disciplina.
P.S. sulla scorta delle SS.UU. del 27.06.2024 per gli appelli depositati da oggi il termine a comparire è pari a 40 gg.
L'infaticabile legislatore, con d.lvo pubblicato sulla G.U. del 28.06 ed entrato in vigore il giorno successivo, ha riformato il sistema sanzionatorio tributario, incidendo anche sul D.L. vo 74/2000, con disposizioni entrate in vigore dal 29.06.2024 (Gazzetta ufficiale al link)
Ci siamo più volte occupati della questione su quale siano i termini a comparire in appello (20 o 40 giorni) dando atto del radicato contrasto insorto in seno alla corte regolatrice (link).
Le Sezioni Unite, investite della questione per assicurare la funzione propria della corte di legittimità, con due ordinanze di remissione, in esito alla camera di consiglio odierna, hanno statuito che <<la disciplina dell'art. 601, comma 3, cod. proc. pen. , introdotta dall'art. 34 , comma 1, lett. g) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 , che individua in quaranta giorni il termine a comparire in appello nel giudizio di appello, è applicabile agli atti d'impugnazione proposti a far data dal 1 luglio 2024>>.
Pubblichiamo le informazioni provvisorie in attesa del deposito della motivazione (informazioni provvisorie nn. 9 e 10 al link).
La terza sezione penale della Corte di cassazione ha statuito che il decreto di fissazione dell'udienza in Corte d'appello notificato tramite pec all'avvocato presso il cui studio l'imputato abbia eletto domicilio, con notifica pec effettuata sia in proprio che quale domiciliatario, non integra alcuna nullità.
E' dunque correttamente effettuata la notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza all'imputato che aveva eletto domicilio presso il difensore, tramite pec, a nulla rilevando eventuali discrasie nell'indicazione contenuta sul decreto di fissazione del luogo del domicilio.
Nel sistema in vigore di notificazione tramite pec, la notificazione degli avvisi e/o decreti nei confronti dell'imputato, che ha eletto domicilio presso il difensore, è correttamente eseguita mediante inoltro di una pec all'indirizzo di questi.
Scarica la sentenza al link
La Sesta Sezione penale ha affermato che il provvedimento emesso a norma dell’art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen., con cui il giudice monocratico, non sussistendo le condizioni per pronunziare sentenza di non luogo a procedere e non dovendosi definire il processo con rito alternativo, dispone la prosecuzione del giudizio dibattimentale ha natura di decreto e non di ordinanza, sicché non dev’essere necessariamente corredato da motivazione, non essendo questa espressamente richiesta dalla normativa processuale.
Con una nuova sentenza pronunciata su ricorso del dr. Contrada, intercettato in un procedimento in cui non era indagato, la Corte europea ha stigmatizzato il nostro diritto per l'omessa previsione di mezzi di ricorso a tutela del terzo intercettato. Costui infatti non ha la facoltà di rivolgersi a un’autorità giudiziaria per ottenere un controllo efficace della legalità e della necessità della misura e per ottenere, se del caso, una riparazione appropriata.Tenuto conto di queste lacune, la Corte ha affermato che il diritto italiano non soddisfi il requisito relativo alla «qualità della legge» e non sia in grado di limitare l’«ingerenza» a quanto «necessario in una società democratica». (sentenza CEDU al link)
Il Gip di Nola, premesso che <<nessun appiglio normativo consente al giudice dell'esecuzione, nel rideterminare la pena ex art. 442 comma 2-bis c.p.p., di «adottare i provvedimenti conseguenti», ovvero di delibare il possibile riconoscimento della sospensione condizionale della pena nei confronti del condannato, ormai destinatario di una pena infrabiennale, stante il completo silenzio del legislatore sul punto>>, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 442 comma 2-bis c.p.p. nella parte in cui non prevede che il Giudice dell'esecuzione possa concedere la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, ove la diminuzione automatica di pena per la mancata impugnazione della sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato comporti l'applicazione di una pena contenuta nei limiti di legge di cui all'art. 163 c.p. e ricorrendone gli ulteriori presupposti, per violazione degli artt. 3, 27, commi 1 e 3, 111, 117 Cost. in riferimento all'art. 6 CEDU. (ordinanza al link)
Le SS.UU., investite delle conseguenze dell'omessa o tardiva
traduzione dell'ordinanza cautelare personale, hanno statuito che <<l'ordinanza
di custodia cautelare personale emessa nei confronti di un imputato o indagato
alloglotta, ove sia già emerso che questi non conosca la lingua italiana, è
affetta, in caso di mancata traduzione, da nullità ai sensi
del combinato disposto degli artt. 143 e 292 cod. proc. pen. Ove, invece, non
sia già emerso che l'indagato o imputato alloglotta non conosca la lingua
italiana, l'ordinanza di custodia cautelare non tradotta emessa nei suoi
confronti è valida fino al momento in cui risulti la mancata conoscenza di
detta lingua, che comporta l'obbligo di traduzione del provvedimento in un
congruo termine; la mancata traduzione determina la nullità dell'intera
sequenza di atti processuali compiuti sino a quel momento, in essa compresa
l'ordinanza di custodia cautelare>>.
Tuttavia,
in entrambe le ipotesi le nullità si qualificano di ordine
generale a regime intermedio. Ne consegue che <<il soggetto
alloglotta che lamenta la violazione delle sue prerogative difensive, per
effetto della mancata traduzione del provvedimento restrittivo adottato nei
suoi confronti, non può semplicemente limitarsi a dolersi dell'omissione, ma,
in coerenza con la natura generale a regime intermedio delle nullità, che,
nella specie, vengono in rilievo, ha l'onere di indicare
l'esistenza di un interesse a ricorrere, concreto, attuale e verificabile, non
rilevando, in tal senso, la mera allegazione di un pregiudizio astratto o
potenziale (tra le altre, Sez. 2, n. 33455 del 20/04/2023, Mortellaro, Rv.
285186 - 01; Sez. 4, n. 4789 del 19/02/1992, Sità, Rv. 189947 - 01).
L'interesse a dedurre una tale patologia processuale, infatti, sussiste
soltanto se ed in quanto il soggetto alloglotta abbia allegato di avere subito,
in conseguenza dell'ordinanza non tradotta, un pregiudizio illegittimo».
Se
le ss.uu. hanno il merito di ripudiare l'orientamento che negava la ricorrenza
di alcun vizio dell'atto, in caso di omessa o tardiva traduzione, tuttavia è
criticabile l'aver onerato la parte di dimostrare un pregiudizio a seguito
della violazione del diritto alla traduzione. Se, a fronte della
lesione di un diritto, il soggetto leso viene gravato di oneri di deduzione e
probatori si finisce per alimentare il meccanismo lesivo. Ma in
ogni caso, a volere ragionare in termini di pregiudizio, nel caso di specie
pare davvero che esso sia in re ipsa. Invero la
suddetta violazione impedisce al ristretto di difendersi pienamente per
sottrarsi alla privazione della libertà: non pare si debba chiedere altro.
Peraltro l'adesione delle SS.UU. alla tesi secondo le nullità a regime intermedio possono essere utilmente invocate soltanto se si dimostri la ricorrenza di un'offesa (ulteriore rispetto alla violazione del paradigma legale) rischia di avere effetti a vasto raggio.
Insomma, si finisce per rinnegare le garanzie che si proclamano.
Per la Corte tutte le pene sostitutive NON detentive sono inappellabili, in tal modo, con riguardo alla pena pecuniaria viene superato un precedente a SS.UU. che ineriva la ammenda sostitutiva. Per i giudici di legittimità una lettura sistematica dell'art. 593 c.p.p. consente di verificare che <<il legislatore ha inteso ampliare l'area dell'inappellabilità a tutte le pene sostitutive non detentive, confinando il regime di appellabilità alle sole pene sostitutive della semilibertà sostitutiva e della detenzione domiciliare sostitutiva, che invece incidono sulla libertà personale del condannato>>.
La sentenza n. 20573/2024 al link
La Corte di appello di Lecce, sezione di staccata di Taranto, ha proceduto alla trattazione cartolare del giudizio di impugnazione, ritenendo inammissibile la richiesta di discussione orale contenuta nell'atto di appello.
A fronte di ciò la difesa ha dispiegato ricorso per cassazione, rilevando che non ricorre alcuna previsione di inammissibilità dell'istanza di trattazione orale proposta in seno all'atto di impugnazione e che, pur volendo ammettere che la modalità di presentazione utilizzata non fosse aderente al dettato normativo, s'imporrebbe una lettura costituzionalmente orientata della normativa in parola che comporterebbe l'accoglimento dell'istanza.
I Giudici di legittimità, dopo aver riportato il dato normativo ex art. 23-bis, d.l. 137/2020, conv. in I. 176/2020 (Disposizioni per la decisione dei giudizi penali di appello nel periodo di emergenza epidemiologica da COVID-19), hanno ritenuto che il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza impone che l'istanza possa essere presentata SOLTANTO a seguito della fissazione dell'udienza e quindi <<non può ritenersi validamente presentata una istanza di trattazione orale contenuta nell'atto di impugnazione>>. Peraltro la domanda di trattazione orale <<deve essere presentata ... per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi della corte d'appello>>.
Pertanto, la Corte di Cassazione, pur condividendo l'argomentazione difensiva secondo cui non è prevista alcuna causa di inammissibilità della domanda di trattazione orale formulata con l'atto di appello, hanno escluso che ricorresse alcuna nullità della sentenza, poichè tale istanza non era stata validamente formulata. Non si rinviene alcuna risposta alla deduzione difensiva secondo cui una lettura costituzionalmente orientata della normativa avrebbe dovuto condurre a ritenere legittima la richiesta di discussione orale inserita nell'atto di appello.(sentenza al link)
A fronte del mutamento del programma di trattamento per la MAP, (nel caso di specie degli aspetti risarcitori in favore della p.o.), ad opera del giudice, senza avere previamente accertato il consenso dell'accusato, si verifica una nullità generale a regime intermedio, ex art. 178, lett. c) (sentenza al link)
SOMMARIO
Il Tribunale di Padova dubita della legittimità costituzionale di tale previsione. Invero l'Autorità giudiziaria veneta ritiene che l'attuale disciplina violi il principio di uguaglianza e ragionevolezza, ex art. 3 Cost., nonché il finalismo rieducativo della pena, ex art. 27 Cost..
Al riguardo nell'ordinanza di remissione si richiama - quale tertium comparationis- la fattispecie di istigazione all'uso illecito di sostanze stupefacenti, che, sebbene a mente dell'art. 82 1 comma del medesimo DPR, sia punita con una pena più severa di quella prevista per le condotte illecite cui all'art. 73 5 co., è stata esplicitamente inserita nel catalogo dei reati per i quali l'azione penale è esercitabili nelle forme dell'art. 550 c.p.p., di talché per essa è possibile accedere alla MAP.
L'esclusione dalla MAP comprometterebbe poi le possibilità dell'accusato di riparare alla propria condotta, riducendo il pericolo di reiterazione dell'illecito e reinserendo l'imputato nel consesso sociale.
A fronte di ciò, il Tribunale ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 168 bis c.p., 550 c.p.p. e 73 5 co. DPR 309/90 per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., sebbene l'unica norma di fatto oggetto di censura sia l'art. 550 c.p.p. nella parte in cui non prevede anche l'ipotesi di lieve entità ex art. 73 DPR 309/90 tra i delitti per i quali sia esercitabile l'azione penale con il decreto di citazione diretta a giudizio.(ordinanza al link)
La Corte di cassazione è tornata a pronunciarsi sulla revisione della sentenza di patteggiamento, ribadendo che <<la revisione della sentenza
di patteggiamento, che sia stata richiesta per la sopravvenienza o la scoperta
di nuove prove, comporta una valutazione di queste ultime alla luce della regola di giudizio posta per il rito alternativo, con la conseguenza che le stesse devono
consistere in elementi tali da dimostrare la sussistenza di cause di proscioglimento
dell'interessato secondo il parametro di giudizio dell'art. 129 cod. proc. pen., sì
come applicabile nel patteggiamento (cfr., in tal senso, tra le tante,
Sez. 6, n. 5238 del 29/01/2018, Notarangelo, Rv. 272129 - 01;
Sez. 6, n. 10299 del 13/12/2013 (dep. 04/03/2014), K. Rv. 258997 - 01, ;
Sez. 4, n. 26000 del 05/03/2013, Paoli, Rv. 255890 - 01)>>. (sentenza al link)
A fronte della mancata comparizione dell'interessato nel giudizio di opposizione ex art. 99 DPR 115/2002, instaurato a seguito della revoca del beneficio del patrocinio a spese dello Stato in un giudizio di prevenzione, il Tribunale aveva dichiarato la cancellazione della causa dal ruolo e l'estinzione del giudizio,ai sensi dell'art. 181 cod.proc.civ.
Nondimeno, interposto ricorso per cassazione, i giudici di legittimità hanno annullato il decreto del Tribunale, precisando che al giudizio instaurato ex art. 99 DPR cit., se la revoca del gratuito patrocinio riguarda un affare penale, si applicano le norme del codice di procedura penale.
L'udienza del massimo consesso della cassazione, per decidere sulla questione in epigrafe, si celebrerà il prossimo 27.06. Il relatore incaricato è il consigliere Sergio Beltrani (notizia al link)
Il Tribunale di Palermo, con sentenza emessa in data 7 febbraio 2023, ha dichiarato l'imputato colpevole dei reati a lui ascritti, ritenuti avvinti dalla continuazione, e lo ha condannato alla pena sospesa di un anno e tre mesi di reclusione ed euro 200,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Palermo ha dichiarato inammissibile per tardività l'appello proposto dall'imputato avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Palermo, di cui ha ordinato l'esecuzione.
Presentato ricorso avverso tale sentenza è stata dedotta inosservanza dell'art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen.
La Corte di appello aveva erroneamente ritenuto l'appello tardivo, in quanto era stato presentato oltre il termine di quindici giorni dal deposito della sentenza impugnata; essendo, infatti, la stessa stata emessa con motivazione contestuale in data 7 febbraio 2023, il termine decorreva dalla lettura del provvedimento per tutte le parti che sono o devono considerarsi presenti in giudizio, secondo quanto disposto dall'art. 585, comma 2, lett. b), cod. proc. pen.
L'appello depositato telematicamente in data 3 marzo 2023 era stato ritenuto inammissibile, essendo il termine per impugnare integralmente decorso in data 22 febbraio 2023.
Tuttavia, il ricorrente deduce che l'art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. f), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. Riforma Cartabia) e in vigore dal 30 dicembre 2022, sancisce che «[i] termini previsti dal comma 1 sono aumentati di quindici giorni per l'impugnazione del difensore dell'imputato giudicato in assenza». Posto, pertanto, che l'imputtao è stato giudicato in primo grado in absentia, il termine per appellare la sentenza di primo grado scadeva il 9 marzo 2023 e non già il 22 febbraio 2023, come sostenuto dalla Corte di appello; l'appello era, dunque, tempestivo.
Il motivo è ritenuto fondato dalla corte regolatrice.
L'art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall'art. 33, comma 1, lett. f), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 del 2022 sancisce che «[i] termini previsti dal comma 1 sono aumentati di quindici giorni per l'impugnazione del difensore dell'imputato giudicato in assenza».
Il disposto dell'art. 585, comma 1-bis, cod. proc. pen. è, del resto, applicabile nel caso di specie, in quanto la sentenza di primo grado è stata emessa in data 7 febbraio 2023. L'art. 89, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 150 del 2022, del resto, sancisce, infatti, che «Le disposizioni degli articoli 157-ter, comma 3, 581, commi 1-ter e 1- quater, e 585, comma 1-bis, del codice di procedura penale si applicano per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore del presente decreto» ovvero al 30 dicembre 2022. Essendo stato, dunque, l'imputato giudicato in primo grado in absentia, il termine di trenta giorni per appellare la sentenza di primo grado, decorrente dalla lettura in udienza della sentenza contestuale, secondo quanto disposto dall'art. 585, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., scadeva il 9 marzo 2023 e non il 22 febbraio 2023, come erroneamente ritenuto dalla Corte di appello. L'appello proposto nell'interesse dell'imputato in data 3 marzo 2023 è, dunque, tempestivo.
Scarica la sentenza della Corte di Cassazione al link.
Della questione ci eravamo occupati qui Alcune domande sull'appello Cartabia a Filippo GIUNCHEDI.
Si era osservato:
Il nuovo termine per impugnare le sentenze rese nei confronti dell’assente è stato ampliato in favore del solo difensore. Si tratta di una svista oppure di una reale deroga al principio di cui all’art. 585 III co. c.p.p.?
La finalità di questo termine diversificato risponde alla necessità di consentire al difensore di potersi rapportare con il proprio assistito anche al fine di farsi rilasciare l’apposito mandato ad impugnare.
L’arguta domanda, ovvero se l’addenda di quindici giorni prevista per il solo difensore dell’assente prevista dal comma 1-bis dell’art. 585 c.p.p. costituisca una deroga al principio di cui al comma 3 del medesimo articolo, pone un tema che non è stato particolarmente problematizzato nei primi commenti alla integrazione effettuata dal legislatore.
A mio avviso, sarebbe erroneo applicare la disciplina prevista dal predetto comma 3 in quanto questo si riferisce alla decorrenza del termine per impugnare, mentre l’addenda prevista dal comma 1-bis attiene ai termini per proporre impugnazione. Considerato che l’assente è rappresentato dal difensore con tutte le conseguenze che ne derivano in ipotesi di difficoltà di quest’ultimo a prendere contatto con il proprio assistito – aspetto che costituisce la ratio del nuovo comma 1-bis –, in realtà la situazione che si prospetta pare quella che il legislatore non abbia considerato la possibilità per l’imputato assente di proporre autonomamente appello – questo problema non si pone per il ricorso in cassazione in ragione del tenore dell’art. 613, comma 1, c.p.p. –, concentrandosi, invece, sulla necessità per il difensore di fruire del tempo necessario per poter consultarsi con il proprio assistito in ordine all’an e al quomodo dell’impugnazione.
Ne consegue che deve ritenersi che per l’imputato assente il termine per proporre appello non fruisca della dilatazione di quindici giorni prevista dall’art. 585, comma 1-bis, c.p.p.
In questi anni ci siamo più volte occupati degli effetti estintivi, sulla pena sospesa, del patteggiamento, ai fini della concessione di un'ulteriore sospensione condizionale. Dapprima abbiamo dato conto, con un post di Marco Siragusa di un indirizzo di merito della Corte di appello di Palermo (post di Marco Siragusa al link) e più recentemente di una sentenza di legittimità che riteneva che l'effetto estintivo non "azzerasse" anche la precedente concessione del beneficio (post del 23.04.2024 al link)
Tuttavia con una sentenza ricca di spunti la prima sezione è ritornata sul tema.
Al riguardo la Corte ha annullato con rinvio una pronuncia della Corte di appello di Catania che aveva ritenuto precluso l'accesso alla nuova sospensione condizionale, giacchè sommando la pena estinta e sospesa con quella ora irrogata, si superavano i due anni di detenzione.
La Corte di legittimità ha però osservato che i giudici distrettuali <<hanno trascurato di considerare che, essendo stata la pena più risalente applicata su richiesta di parte, il decorso di cinque anni, a far data dall'irrevocabilità della sentenza (nel caso di specie intervenuta il 14 aprile 1993), ha determinato l'estinzione di quel reato ... . Si impone, pertanto, limitatamente alla sospensione condizionale della pena, l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per un nuovo giudizio sul punto>>. (sentenza al link)
La pronuncia della Corte rileva inoltre per altri due aspetti:
anzitutto nella sentenza si afferma che l' effetto estintivo si è prodotto ipso iure ed a prescindere dall'adozione di apposito provvedimento. Al riguardo segnaliamo che, più volte, la giurisprudenza amministrativa si è mostrata di diverso avviso, ritenendo che <<l'estinzione del reato ... non è automatica per il mero decorso del tempo, ma deve essere formalizzata in una pronuncia espressa del giudice dell'esecuzione penale, che è l'unico soggetto al quale l'ordinamento attribuisce il compito di verificare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la relativa declaratoria, con la conseguenza che, fino a quando non interviene tale provvedimento giurisdizionale, non può legittimamente parlarsi di "reato estinto" e il concorrente non è esonerato dalla dichiarazione dell'intervenuta condanna>> (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 02/01/2024, (ud. 30/11/2023, dep. 02/01/2024), n.19 nonchè Cons. Stato, sez. V, 12 dicembre 2018 n. 7025; Id., sez. III, 29 maggio 2017, n. 2548);
ancora, sebbene implicitamente, la Corte ha ritenuto che, ai fini della prescrizione, si continui ad applicare, anche ai reati commessi dopo l'entrata in vigore della legge Orlando, il regime della legge Cirielli, così confermando l'indirizzo cui ha esplicitamente aderito la III sezione (nostro post al link)
Da tempo ci occupiamo della vexata quaestio sul termine a comparire in appello. Chi segue questo blog sa bene che innanzi alla Corte di legittimità si sono registrati esiti assolutamente difformi, talora innazi alla stessa sezione, fino a che all'udienza del 05.04.2024 la seconda sezione, attraversata da un contrasto interno, ha rimesso con doppia ordinanza la questione alle sezioni unite.
In attesa del massimo consesso di legittimità, il tema si è riproposto innanzi alla IV sezione, che già con la sentenza n. 7104/24 si era pronunciata in favore del termine pari a 40 gg., e la sezione, all'udienza del 10.04., ha ribadito il suo orientamento (sentenza della IV al link)
Allora aggiorniamo la nostra tabella, ovviamente rappresentando che ci potrebbbero essere ulteriori pronunce sfuggite alla nostra attenzione.
Estremi sentenza
20gg |
40gg |
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Sez. IV 48056/23 |
|
X |
|
Sez. II 49644/23 |
|
X |
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Sez. V 5347/24 |
X |
|
|
Sez. III 5481/24 |
|
X |
|
Sez. II 6010/24 |
X |
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Sez. IV 7204/24 |
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X |
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Sez. II 7990/24 |
X |
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Sez. VI 12157/24 |
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X |
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Sez. II 12621/24 |
X |
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Censura inammissibile |
Sez. V 14344/24 |
X |
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Censura inammissibile |
Sez. IV 20334/24 |
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X |
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Sez. II 16364/24 |
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Ordinanza remissione a SS.UU. |
Sez. II 16365/24 |
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Ordinanza remissione a SS.UU. |