21 novembre 2024

Formalità querela ai fini della sua esistenza.

 

 

Per la quinta sezione della Corte di cassazione, la querela priva di autentica, per quanto depositata da un avvocato esplicitamente delegato al deposito e che abbia firmato digitalmente al fine di procedervi, è inesistente.  

Nel caso di specie, l'avvocato, non difensore, era stato delegato al deposito e vi aveva proceduto a mezzo pec, apponendo la sua firma digitale. Tuttavia tale procedura non integra una forma di autentica, non provenendo da un difensore e pertanto la querela risultava recapitata in violazione delle regole di cui all'art. 337 comma 1, secondo cui ai fini del recapito della querela è necessaria la sottoscrizione autenticata (sentenza al link).    

20 novembre 2024

L'informatica, la modernità e la passione per la ceralacca

 


Pubblichiamo la (corretta) sentenza della Corte di Cassazione che ha annullato con rinvio una pronuncia che aveva dichiarato erroneamente la inammissibilità dell'appello per questioni informatiche.

Ci vuol poco a supporre cosa sia accaduto nel caso di specie: il solerte cancelliere, visto l'atto di appello privo di coccarda (era firmato in Cades con estensione p7m) lo aveva segnalato al giudice che, altrettanto solertemente, aveva dichiarato l'inammissibilita dell'appello.

E' dovuta intervenire la Corte di Cassazione per ricordare che:

<< ... il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Catania dichiarava inammissibile l'appello per ritenuta mancanza della sottoscrizione dell'atto, presentato telematicamente nell'interesse di Giuseppe Di Bella, avverso il provvedimento di proroga della misura di sicurezza emesso dal Magistrato di sorveglianza di Catania
2. Giuseppe Di Bella ricorre per cassazione, tramite rituale ministero difensivo, affidandosi a un unico motivo. Con tale motivo, il difensore dell'interessato denuncia la violazione di legge in relazione all'art. 24, comma 6-sexies, lett. a), d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, avuto riguardo alla ritenuta mancanza di sottoscrizione digitale dell'atto che, invece, sarebbe stata regolarmente apposta come verificabile dal nome del documento trasmesso telematicamente in formato *.pdf nativo avente il suffisso certificativo dell'estensione informatica del file quale *.p7m, legalmente sottoscritto in formato digitale mediante sistema Cades-bes come risultante dal relativo certificato rilasciato da ente legalmente riconosciuto in modo conforme alla deliberazione CNIPA 21 maggio 2009, n. 45. 
3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. 
CONSIDERATO IN DIRITTO 
1. Il ricorso è fondato, quindi, meritevole di un accoglimento.  
2. Dall'esame dell'atto impugnato emerge che l'inammissibilità è stata fondata sulla ritenuta mancanza della firma digitale "(o anche di firma autografa)", richiamati gli artt. 24, comma 6-sexies, lett. a), e 3, comma 1, d.l. n. 137 del 2020, nonché il provvedimento del 9 novembre 2020 della Direzione generale dei sistemi informativi e automatizzati. Il messaggio d'invio dell'atto di appello, trasmesso via PEC dall'Avv. Noè all'ufficio preposto alla ricezione degli atti e allegato al ricorso, indica la presenza di un allegato di tipo pdf.p7m. Tale tipo di documento individua i file nativi pdf, recanti firma digitale. L'affermazione del Tribunale di sorveglianza è smentita dalla documentazione allegata al ricorso da parte del difensore, il quale ha dimostrato non solo la natura del file (pdf nativo con sottoscrizione digitale), ma anche l'attendibilità e la validità del certificato della firma in formato Cades-bes. Come correttamente rilevato dal Procuratore generale, solo l'atto - depositato telematicamente - quando risulti privo di firma digitale può essere considerato inammissibile ai sensi dell'art. 24, comma 6-sexies lett. a), legge n. 176 del 2020, non potendosi, in omaggio al principio di tassatività, applicare la sanzione processuale prevista per tale omissione a un'ipotesi non prevista dalla legge, quale è l'atto con firma digitale non riconosciuta. Diversamente, come già affermato da questa Corte con Sez. 4, n. 43976 del 26/09/2023, Rv. 285483, al fine della verifica della sussistenza della firma digitale su un atto di impugnazione, non si richiedono accertamenti ulteriori nel caso in cui risulta che il "file" abbia estensione "pdf.p7m", posto che questa è, di per sé, probante dell'avvenuta firma digitale. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto ammissibile il ricorso, documentato da file avente detta estensione, trasmesso dal difensore a mezzo PEC). 
3. Sulla base delle precedenti considerazioni deriva l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Catania. 
P.Q.M. annulla il provvedimento impugnato con rinvio ... >>.


La sentenza sembra accordare prevalenza alla firma digitale in CAdES, ma noi abbiamo buona memoria e ricordiamo il caso del collega romano che si vide dichiarare la inammissibilità dell'appello, spedito in CAdES, che la cancelleria non era riuscita ad aprire, pregando il difensore di re-inviarlo in formato PAdES (l'invio era avvenuto tardivamente e l'impugnazione era stata dichiarata inammissibile). 
Continuiamo dunque a suggerire il PAdES per l'invio di atti con firma digitale: è più semplice da aprire; è sostanzialmente un pdf e ... reca la coccardina tanto cara ai nostalgici della ceralacca.
Va detto, infine, che l’utilizzo del portale pone al riparo dalle conseguenze qui esaminate: è il sistema che riconosce l’atto firmato digitalmente, quale che sia il formato prescelto dal depositante. 

19 novembre 2024

ESTINZIONE DEL REATO E TERMINI PER LA RIPARAZIONE DEL DANNO






La Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 35, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, nella parte in cui stabilisce che, al fine dell'estinzione del reato, le condotte riparatorie debbano essere realizzate «prima dell'udienza di comparizione», anziché «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento».

Il giudice di pace di Forli, nel sollevare la questione, aveva censurato lo sbarramento temporale che imponeva, prima dell'udienza di comparizione, l'adempimento delle condotte risarcitorie e riparatorie del danno conseguente al reato, da lui commesso, deducendo che il predetto limite temporale fosse in sé irragionevole e tale da determinare una disparità di trattamento rispetto agli imputati dei reati di competenza del Tribunale, per i quali la riparazione integrale del danno è ammessa fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 162-ter cod. pen.).

La Corte ha ritenuto fondata la censura sotto il profilo della dedotta violazione del principio di ragionevolezza, osservando, in particolare, l'incoerenza del termine finale previsto dalla disposizione censurata rispetto al peculiare ruolo di "mediatore" del giudice di pace, il quale giudica reati di ridotta gravita, espressivi di conflitti interpersonali a carattere privato e alla finalità di semplificazione, snellezza e rapidità che connota il procedimento che innanzi a lui si svolge.




18 novembre 2024

Riduzione pena sotto i due anni per mancata impugnazione: il giudice dell'esecuzione NON può sospendere la sanzione.

 

Per la prima sezione della Corte, il giudice dell'esecuzione non può riconoscere il beneficio della sospensione della pena, a seguito di rideterminazione della stessa, ai sensi dell'art. 442, comma 2 bis, e 676, comma 3 bis, difettando al riguardo una esplicita previsione di legge. Nè, ad avviso della Corte, al giudice de quo è concesso un generale potere di rivisitazione del punto inerente alla concessione del beneficio della sospensione. 

Con riguardo ad altro aspetto, la Corte ha rilevato che <<l'estinzione degli effetti penali conseguente, ai sensi dell'art. 445, comma 2, cod. proc. pen., all'utile decorso del termine di due o cinque anni (secondo che si tratti di delitto o di contravvenzione), deve intendersi limitata, con riferimento alla reiterabilità della sospensione condizionale, ai soli casi in cui sia stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, con la conseguenza che, ove sia stata applicata una sanzione detentiva, di questa occorre comunque tenere conto ai fini della valutazione, imposta dagli artt. 164, ultimo comma, e 163 cod. pen. circa la concedibilità di un secondo beneficio (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, dep. 2001, Sormani, Rv. 218529 - 01; fra le successive, Sez. 1, n. 47647 del 18/04/2019, Mkarrem El Mostafa, Rv. 277457 - 01; Sez. 6, n. 27589 del 22/03/2019, P., Rv. 276076 - 01)>>.   (sentenza al link)

Tuttavia proprio su questo aspetto si sottolinea che recentemente, (Sez. 1 Num. 15867 Anno 2024), per come segnalato, la medesima prima sezione era addivenuta alla soluzione opposta (nostro post al link).

15 novembre 2024

Correlazione tra imputazione contestata e sentenza e il mutamento del fatto nel delitto di bancarotta fraudolenta

 



In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione. (Fattispecie relativa a contestazione del delitto di bancarotta post-fallimentare qualificato dalla S.C. come bancarotta prefallimentare). (Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, dep. 13/10/2010).

Corte Suprema di Cassazione - Sezione Seconda Penale - Sentenza n. 39751 del 29 ottobre 2024 al link



14 novembre 2024

❌ULTIM'ORA❌ Nuove cause di incompatibilità (ex addenda art. 34 c.p.p.per incostituzionalità). La sentenza n. 179/2024 della Corte Costituzionale

 


Diamo notizia del deposito della sentenza n. 179/2024 udienza del 15/10/2024, depositata oggi 14/11/2024, della Corte Costituzionale (al link) e relativa all'ennesima decisione additiva della Corte Costituzionale riguardante l'art. 34 c.p.p..

Sebbene siano ormai noti i princìpi - in sintesi: esaurisce la sua imparzialità il giudice che,  nel medesimo procedimento, abbia espresso un giudizio di merito - a seguito della riforma Cartabia, la Corte Costituzionale è stata nuovamente investita della questione di legittimità costituzionale dell'art 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giudizio dibattimentale il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale che abbia fissato la data dell’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso, per la prosecuzione del giudizio.

Premesso dunque che il giudizio predibattimentale è di "merito", la Corte Costituzionale ha conseguentemente dichiarato la illegittimità della norma nella parte in cui non prevede l'incompatibilità.

Nell'occasione, la Corte Costituzionale ha esteso la regola di incostituzionalità, e dunque di incompatibilità, al giudice di appello chiamato a pronunciarsi sulla sentenza di non luogo a procedere, ove la medesima persona fisica abbia celebrato l'udienza predibattimentale.

In particolare la Corte:

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale nel caso previsto dall’art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.;

2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale nel caso previsto dall’art. 554-quater, comma 3, cod. proc. pen.

La sentenza n. 179/2024 udienza del 15/10/2024, depositata il 14/11/2024, al link.


Delitti del 570 e del 570 bis c.p.: quando sussiste il concorso formale

 




Nel caso di contestazione avente a oggetto la condotta del genitore separato che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, omettendo di versare l’assegno di mantenimento, deve ritenersi integrato esclusivamente il reato di cui all’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen., nel quale è assorbita (ex art. 15 cod. pen.) la violazione meno grave prevista dall’art. 570-bis cod. pen., in quanto, alla materia che accomuna entrambe le fattispecie (obbligo di assistenza materiale, quale proiezione del dovere di cura) solo nel primo caso si aggiunge l’elemento specializzante dello stato di bisogno, correlato alla mancanza di mezzi di sussistenza. (Sez. 6, n. 45103 del 10/10/2023; Sez. 6, n. 9065 del 08/02/2023). Si è, infatti, precisato che non può ravvisarsi il concorso formale eterogeneo, quando il fatto storico - valutato in tutti i suoi elementi costitutivi relativi alla condotta omissiva e al bene giuridico protetto dalle norme incriminatrici che vengono in rilievo - è il medesimo e non sono individuabili, sul piano naturalistico, elementi ulteriori che possano implicare la necessità dell’autonoma sussistenza del reato di cui all’art. 570-bis cod. pen., oltre a quello della omessa prestazione dei mezzi di sussistenza dei figli minori in violazione degli obblighi di assistenza imposti al genitore con il provvedimento del giudice.

Corte Suprema di Cassazione - Sezione Prima Penale - Sentenza n. 39715 del 29 ottobre 2024 al link



13 novembre 2024

Sostituzione avvocato per abbandono difesa, l'Autorità giudiziaria non deve disporre alcuna notifica all'interessato.

 

La seconda sezione della Corte di legittimità, in un caso di revoca del difensore di fiducia per abandono della difesa, ha affermato che:

<<la normativa vigente non prevede che, in caso di nomina di nuovo difensore di ufficio a seguito di revoca del precedente difensore di fiducia, l'autorità giudiziaria debba procedere a notificare all'imputato tale deliberazione con conseguente insussistenza della nullità invocata dalla difesa in virtù del principio di tassatività delle nullità di cui all'art. 177 cod. proc. pen.>> (sentenza al link).

Appare paradossale che una norma volta ad assicurare l'effettività della difesa, prevedendo l'incisiva misura di una revoca ex officio del difensore di fiducia, venga interpretata nel senso che l'imputato non debba essere reso edotto della sostituzione, al fine di potersi attivare per nominare un nuovo avvocato. Nè pare che il richiamo, operato nella sentenza de qua, ad un sostanziale disinteresse dell'accusata verso il processo sposti alcunchè al riguardo.  

12 novembre 2024

Non è impugnabile l'ordinanza che decide sulla richiesta di proroga del termine delle indagini preliminari





La Corte ha ritenuto che l'ordinanza che decide sulla richiesta di proroga del termine per la conclusione delle indagini preliminari non è impugnabile, neppure attraverso il ricorso per cassazione, trattandosi di un provvedimento che non ha contenuto di sentenza, non incide sulla libertà personale, non conclude il procedimento né una sua fase decisoria. (sentenza al link)

Nel caso di specie peraltro l'ordinanza era stata resa senza fissare la prescritta udienza, ma ciò tuttavia non integra alcuna abnormità idoena a consentire il ricorso, come già statuito dalla precedente giurisprudenza (Sez. 3, Ordinanza n. 18540 del 25/03/2010, Summa, Rv. 247154 - 01; da ultimo Sez. 4, n. 21161 del 02/03/2023, Ammendola, non massimata). 

11 novembre 2024

Per le Sezioni Unite si può rispondere a TITOLO DIVERSO del medesimo fatto di spaccio.


 

In tema di concorso di persone nel reato di cessione di sostanze stupefacenti, le sezioni unite della Corte confermano la possibilità di rispondere a diverso titolo, seppur a fronte del medesimo fatto storico.     Pertanto, in presenza dei diversi presupposti, il medesimo fatto può configurare nei confronti di un concorrente, il reato di cui all'art. 73, comma 1 ovvero comma 4, del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 e nei confronti di altro concorrente il reato di cui all'art. 73, comma 5, del medesimo D.P.R.

Tuttavia, i giudici nomofilattici hanno precisato che tale conclusione non mette in discussione la persistente validità, in termini sistematici generali, della concezione unitaria del reato concorsuale, in quanto le norme di cui al primo e al quarto comma, da un lato, e quella di cui al quinto comma dell'art. 73, dall'altro, si pongono tra loro in rapporto di specialità ai sensi dell'art. 15 c.p., nel senso che le prime due hanno carattere di norma generale e la terza di norma speciale.

Coerentemente nella sentenza si osserva che <<qualora il medesimo fatto, contestato a diversi imputati in concorso tra loro, contenga elementi tali da fare ritenere integrata solo per taluni la fattispecie di cui all'art. 73 comma 5, T.U. stup. e per altri quella di cui all'art. 73, comma 1, T.U. stup., si versa al di fuori di un'ipotesi di concorso nel medesimo reato, essendosi in presenza di due reati diversi legati tra loro da un rapporto di specialità nei termini appena ricordati>> (sentenza al link).

08 novembre 2024

Disciplina della continuazione e reati separatamente giudicati: criteri e computo

 



In sede di applicazione della disciplina del reato continuato in ordine a reati separatamente giudicati con sentenze irrevocabili, il giudice dell'esecuzione è vincolato, nell'individuazione della violazione di maggiore gravità, a fare riferimento a quella punita con la pena più grave inflitta in concreto dal giudice della cognizione, la cui specie o misura non possono essere in nessun caso modificate, in senso peggiorativo o migliorativo, potendo egli operare soltanto una diminuzione delle pene irrogate per i reati satellite (Sez. 1, n. 38331 del 05/06/2014). Inoltre, è stato chiarito che il riconoscimento in sede esecutiva della continuazione tra i reati oggetto di condanne emesse all’esito di distinti giudizi abbreviati comporta, previa individuazione del reato più grave, la determinazione della pena base nella sua entità precedente all’applicazione della diminuente per il rito abbreviato, l’applicazione dell’aumento per continuazione su detta pena base e, infine, il computo sull’intero in tal modo ottenuto della diminuente per il rito abbreviato (Sez. 1, n. 37168 del 19/07/2019).

07 novembre 2024

Sovraffollamento carcerario e domanda risarcitoria: condizioni e oneri allegativi

 





In tema di reclamo ai sensi degli artt. 35- ter, ord. pen., la natura essenzialmente compensativa, più che risarcitoria in senso stretto, dell'azione, finalizzata ad ottenere una riparazione effettiva delle violazioni dell'art. 3 CEDU, derivanti dal sovraffollamento, esclude che la domanda debba essere corredata dalla indicazione precisa e completa degli elementi che si pongono a fondamento della stessa; ne consegue che ai fini dell'ammissibilità del reclamo è sufficiente l'indicazione dei periodi di detenzione, degli istituti di pena e delle specifiche condizioni detentive, in relazione ai quali l'interessato deduce un trattamento penitenziario subito in violazione dell'art. 3 Cedu (tra le molte, Sez. I n. 876 del 16.07.2015) .

Corte Suprema di Cassazione – Sezione Prima Penale – Sentenza n. 37524 dell’11 ottobre 2024

06 novembre 2024

Sequestro conservativo, conversione in pignoramento e competenza

 



In tema di sequestro conservativo disposto ai sensi dell'art. 316 cod. proc. pen., il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, o di applicazione pena su richiesta delle parti, che contenga statuizioni già esecutive in ordine al credito garantito dalla misura cautelare, determina l'automatica conversione dello stesso in pignoramento, sicché la competenza a giudicare domande di terzi intese a contestare il vincolo imposto sul bene è funzionalmente devoluta al giudice civile, dinnanzi al quale la domanda va introdotta nelle forme dell'opposizione di terzo al pignoramento (Sez. 1, n. 34251 del 22/09/2020). È stato precisato che la conversione in pignoramento presuppone che la pronuncia costituisca un titolo esecutivo, per avere accertato un credito certo, liquido ed esigibile, sicché, nel caso di condanna generica, la predetta conversione opera solo in seguito al passaggio in giudicato della sentenza del giudice civile che abbia proceduto alla liquidazione del danno (Sez. 1, n. 6751 del 25/10/2022, dep. 17/02/2023).

05 novembre 2024

Misure alternative per tossicodipendenti: conta l'entità della pena (tra cumulo e scissione virtuale)

 





La possibilità che i condannati tossicodipendenti o alcoldipendenti che intendano sottoporsi a un programma di recupero curativo beneficino dell'affidamento in prova terapeutico di cui all'art. 94 T.U. stup. dipende esclusivamente dalla misura della pena detentiva irrogata o dalla frazione sanzionatoria che il condannato deve espiare, che devono essere contenute nel limite di quattro anni ovvero di sei anni, se relativa a un titolo esecutivo comprendente un titolo di reato ostativo. Pertanto, a differenza di quanto stabilito a proposito di altre misure alternative alla detenzione, nelle ipotesi di affidamento in prova terapeutico ex art. 94 T.U. stup., il criterio stabilito dal legislatore per valutare la possibilità di effettuare la scissione virtuale del cumulo è rappresentato esclusivamente dall'inclusione nel titolo esecutivo di uno dei reati previsti dall'art. 4-bis Ord. pen. In altri termini, il combinato disposto degli artt. 94 T.U. stup. e a-bis Ord. pen., per il riferimento all'insieme dei reati compresi nel titolo esecutivo, comporta che tali reati assumano un rilievo unitario, concorrendo indistintamente alla formazione del cumulo eseguibile, non consentendo l'applicazione del principio della scissione virtuale.

04 novembre 2024

Legge Rognoni La Torre e variazioni patrimoniali: letture costituzionalmente orientate e (prossima) decisione delle sezioni unite


 

Le variazioni patrimoniali che riguardano i soggetti condannati per i delitti previsti dall'art. 51 comma 3 bis c.p.p. sono soggette a segnalazione allorché ammontino ad importi superiori ad euro 10.329,1 4.

Già fin passato il Tribunale di Trapani aveva sollevato incidente di legittimità costituzionale (questione dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza) e il Giudice delle leggi aveva suggerito letture costituzionalmente orientate.

La questione torna ora di attualità, con riferimento al principio di offensività, per l'ipotesi in cui la variazione patrimoniale sia conseguenza di un lascito ereditario. Su di essa si pronunceranno le sezioni unite il prossimo 28 novembre.

La questione:

Se l'obbligo di comunicazione delle variazioni patrimoniali previsto dall'art. 30 della legge 13 settembre 1982, n. 646 sia configurabile, con conseguente rilevanza penale della sua violazione, nel caso di un'acquisizione proveniente da successione ereditaria. 

Ricorrente: VITAGLIANO P.

Relatore: R. Magi

Data udienza: 28 novembre 2024

Riferimenti normativi: Cost., art. 25; legge 13 settembre 1982, artt. 30, 31.

31 ottobre 2024

Anche per le intercettazioni col difensore occorre la prova di resistenza. Un errore prospettico della Corte.


Per la Corte di cassazione, nel caso in cui si lamenti l'inutilizzabilità delle captazioni per violazione dell'art. 103 commi 5 e 7 cod. proc. pen., il ricorrente è tenuto ad indicare la rilevanza del dato probatorio (prova di resistenza). In ogni caso, posto che il divieto captativo attiene alla tutela delle garanzie difensive in quanto tali, le conversazioni e comunicazioni inutilizzabili non possono che essere individuate ex post. (sentenza al link)

Tuttavia, la lettura dell'art. 103 c.p.p. che emerge dal principio appena riportato non persuade. Infatti, la violazione del diritto alla riservatezza del rapporto assistito difensore è una violazione del diritto di difesa e quindi dei canoni del giusto processo. Una tale lesione non può essere rilevante nella misura in cui superi una qualche prova di resistenza.    


30 ottobre 2024

L'operatore di Poste Italiane è ancora pubblico ufficiale? La questione alle sezioni unite

 






La sesta sezione penale, con l'ordinanza 31605/2024 al link dubita se, nell'ambito delle attività di "bancoposta" svolte da Poste Italiane s.p.a., la "raccolta del risparmio postale", ossia la raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi effettuata per conto della Cassa depositi e prestiti, abbia natura pubblicistica e, in caso positivo, se l'operatore di Poste Italiane s.p.a. addetto alla vendita e gestione di tali prodotti rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.


La questione sarà decisa dal e sezioni unite all'udienza del 12 dicembre 2024

Riferimenti normativi: Cod. pen., artt. 357, 358; d.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, art. 2; d.lgs. 30 luglio 1999, n. 284, art. 2.


29 ottobre 2024

Se la sentenza di non doversi procedere pronunciata ai sensi dell'art. 420-quater cod. proc. pen. possa essere impugnata con ricorso per cassazione anche prima della scadenza del termine previsto dall'art. 159, ultimo comma, cod. pen.

 




Ricorrente: A. O. Relatore: A. Scarcella Data udienza: 26 settembre 2024

Riferimenti normativi: Cost., art. 111, comma settimo; cod. proc. pen., artt. 420-quater, 568, comma 2, 606, comma 1; cod. pen., art. 159.

Ordinanza di rimessione: 23056/2024 della terza sezione penale al link

soluzione

Affermativa. Il provvedimento è ricorribile per cassazione ad opera delle parti per tutti i motivi elencati nell'art. 606, comma 1, cod. proc. pen.

28 ottobre 2024

In morte di un inutile formalismo - Impugnazione ed elezione di domicilio: l’informazione provvisoria delle Sezioni Unite






CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
SEZIONI UNITE PENALI
INFORMAZIONE PROVVISORIA

 

Questione controversa:
Se ai fini della perdurante applicazione della disciplina contenuta nell'art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. - abrogata dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024 - si debba avere riguardo alla data della sentenza impugnata ovvero alla data di presentazione dell'impugnazione.
Se la previsione, a pena di inammissibilità, del deposito, insieme con l'atto di impugnazione delle parti private e deidifensori, deila dichiarazione oelezione di domicilio aifini della notificazione del decreto dicitazione a giudizio (art. 581, comma 1-ter, cod. pen.), debba essere interpretata nelsenso che, ai fini indicati, sia sufficiente la sola presenza in atti della dichiarazione o elezione di domicilio, benché non richiamata nell'atto di impugnazione od allegata al medesimo.

 

Soluzione adottata:
La disciplina contenuta nell'art. 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. - abrogata dalla legge 9 agosto 2024, n. 114, in vigore dal 25 agosto 2024 - continua ad applicarsi alle impugnazioni proposte sino al 24 agosto 2024.
La previsione ai sensi dell'art, 581, comma 1-ter, cod. proc. pen. deve essere interpretata nel senso che è sufficiente che l'impugnazione contenga il richiamo espresso e specifico ad una precedente dichiarazione o elezione di domicilio e alla sua collocazione nel fascicolo processuale, tale da consentire I'immediata e inequivoca individuazione del luogo in cui eseguire la notificazione.
Riferimenti normativi:
Cod. proc. pen., artt. 581, 164; d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150; legge 9 agosto 2024, n. 114.

25 ottobre 2024

Legittima la revoca, in executivis, della sospensione condizionale anche se il giudice d'appello conoscesse della causa ostativa

Le Sezioni Unite, richiamando l'effetto devolutivo dell'impugnazione, hanno affermato il seguente principio di diritto: <<è legittima la revoca, in sede esecutiva, della sospensione condizionale della pena disposta in violazione dell'articolo 164, quarto comma, cod. pen. in presenza di una causa ostativa ignota al giudice di primo grado e nota a quello d'appello, a cui il punto non sia stato devoluto con l'impugnazione>>. (sentenza al link)

Nel caso di specie il 20 luglio 2015 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria aveva concesso il beneficio della sospensione condizionale in assenza di un certificato del casellario giudiziale aggiornato, così non avvedendosi di stare incorrendo in una violazione di legge, poiché l'imputato aveva in precedenza riportato ben cinque sentenze di condanna a pena detentiva per delitto, ottenendo peraltro la sospensione condizionale già in due occasioni.

Il certificato del casellario giudiziale aggiornato era invece agli atti del fascicolo della Corte di appello, la quale il 21 luglio 2017 riformava, avuto riguardo ad altri aspetti, la sentenza di prime cure. Il giudice d'appello non era investito da alcuna censura riguardo alla concessione della sospensione condizionale. 

Con ordinanza del 3 maggio 2023, la Corte di appello di Reggio Calabria, nell'esercizio delle funzioni di giudice dell'esecuzione, disponeva la revoca della sospensione condizionale della pena applicata.

La difesa dell'imputato interponeva ricorso, adducendo che il giudice di appello ha il potere di revocare la statuizione di sospensione condizionale della pena, adottata dal giudice di primo grado, quando, sulla base degli elementi emergenti dagli atti, ritenga che il beneficio sia stato concesso in violazione di legge. Né occorre- ad avviso del ricorrente- affinché il potere di revoca possa legittimamente essere esercitato, che sia stata proposta impugnazione sul punto o che l'esercizio del potere di revoca sia stato sollecitato; e ciò perché il giudice di appello ha il dovere di verificare la correttezza del provvedimento concessorio del giudice di primo grado.

Doveva dunque, secondo l'imputato, ritenersi intervenuta una valutazione, per quanto implicita, del giudice della cognizione che avrebbe impedito un nuovo scrutinio del giudice dell'esecuzione. 

Le Sezioni Unite hanno tuttavia disatteso la censura, enunciando il principio di diritto sopra riportato. 

Tuttavia, non può sottacersi che nella vicenda si appalesano errori dell'amministrazione della giustizia che hanno condotto a revocare un beneficio contenuto pur sempre in un giudicato ad anni di distanza.

Infatti, seppur l'errore del Giudice risalisse al 2015, la revoca del beneficio interveniva in executivis soltanto nel 2023. A fronte del trascorrere del tempo, davvero il cittadino condannato non può in qualche modo fare affidamento su una situazione consolidata ?  Davvero non devono prevedersi forme compensative ?  



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