16 maggio 2024
Saluto romano e principio di offensività: il commento di Mari Miceli alla sentenza delle sezioni unite
15 maggio 2024
L’assunzione di incarichi in violazione del dovere di competenza professionale
14 maggio 2024
Per la V sezione la riforma Cartabia ha limitato il potere di appello anche della parte civile.
Avverso tale declaratoria di inammissibilità interponeva ricorso la parte civile, deducendo che <<l'unica disposizione che il legislatore detta in modo specifico con riferimento all'impugnazione agli effetti civili (ivi compreso l'appello) della predetta parte contro le sentenze di proscioglimento è quella di cui all'art. 576 cod. proc. pen. il cui dettato non è stato modificato dal d.lgs n. 150 del 2022>>, aggiungendo che <<le limitazioni di cui al comma 3 dell'art. 593 cod. proc. pen. sarebbero dunque riferibili, come si evincerebbe dalla lettura dell'intero articolo, solo all'imputato e al pubblico ministero anche perché, ove il legislatore avesse voluto estendere ed equiparare l'inappellabilità agli effetti penali delle sentenze di proscioglimento a quella per i soli effetti civili, lo avrebbe dovuto affermare espressamente>>.
La Corte di legittimità ha diversamente opinato, considerando irragionevole ascrivere alla parte civile un potere di appello più esteso di quello del pubblico ministero e financo della parte civile che, valendosi dei poteri di cui all'art. 21 d.lgs. n. 274 del 2000, abbia introdotto una pretesa non dipendente dall'iniziativa della pubblica accusa. Peraltro l'art. 576 disciplina un generico potere di impugnazione della suddetta parte eventuale, mancando invece una specifica disposizione che ne regolamenti l'appello. (sentenza al link)
13 maggio 2024
❌Incostituzionale il delitto di rapina nella parte in cui non prevede una diminuente per il fatto di lieve entità❌
Con apposito comunicato la Corte costituzionale ha reso noto di avere dichiarato incostituzionali il primo e il secondo comma dell'art. 628 c.p. (rapina propria e rapina impropria) nella parte in cui non prevedono che la pena da essi comminata sia diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.
Al rigaurdo la Corte ha osservato che in simili fattispecie il minimo edittale di pena detentiva per la rapina, dal legislatore innalzato alla misura di cinque anni di reclusione, può costringere il giudice a irrogare una sanzione in concreto sproporzionata, sicché gli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione esigono l’introduzione di una diminuente ad effetto comune, fino ad un terzo, quale “valvola di sicurezza” per i fatti di lieve entità.
La Relazione del Massimario sul contrasto in tema di ampiezza del diritto di difesa del terzo.
Nella relazione che alleghiamo, l'Ufficio del Massimario ricostruisce i diversi arresti giurisprudenziali in ordine alla legittimazione del terzo a contestare i presupposti per l'applicazione della misura di prevenzione al proposto.
Secondo l'indirizzo maggioritario «in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest'ultimo può rivendicare esclusivamente l'effettiva titolarità e la proprietà dei beni sottoposti a vincolo, assolvendo al relativo onere di allegazione, ma non è legittimato a contestare i presupposti per l'applicazione della misura, quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso, che solo il proposto può avere interesse a far valere» (così Cass. VI n. 48761/23).
Per l'arresto minoritario invece «in tema di confisca di prevenzione, il terzo che rivendica l'effettiva titolarità e la proprietà dei beni oggetto di vincolo è legittimato ed ha interesse non solo a contestare la fittizietà dell'intestazione, ma anche a far valere l'insussistenza dei presupposti per l'applicazione della misura nei confronti del proposto» (così Cass. V n. 12374 del 14/12/2017).
La relazione poi ricostruisce un’esegesi intermedia, costituita da altre pronunce a mente delle quali il terzo intestatario è legittimato a interloquire anche sulla perimetrazione temporale della pericolosità sociale (Cass. I n. 19094/2020), avendo interesse a che il bene oggetto della istanza di prevenzione si collochi fuori dalla stessa, piuttosto che sulla sproporzione valoriale tra capacità finanziarie e investimenti del proposto (cfr. Cass. II n. 25529/22). (Relazione Massimario al link)
10 maggio 2024
Anche dopo la Cartabia, l'ordine di demolizione resta compatibile col patteggiamento. Cassazione dixit.
In un precedente post ci eravamo interrogati se, successivamente alla riforma c.d. Cartabia, il giudice potesse irrogare con la sentenza di patteggiamento l'ordine di demolizione.
Al riguardo avevamo evidenziato che:
- ante riforma il patteggiamento equivaleva ad una pronuncia di condanna, salvo diversa previsione (cfr. previgente art. 445 c.p.p.);
- il T.U. edilizia prevede che in caso di condanna il Giudice ordini la demolizione delle opere abusive;
- la giurisprudenza ha reiteratamente richiamato la predetta equivalenza per affermare la compatibilità tra l’ordine di demolizione e la sentenza di applicazione pena. Al riguardo Cassazione penale 6128/2016 ha affermato che:
<<Ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, comma 9, (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), per le opere abusive di cui alla citata norma il giudice, con la sentenza di condanna, ordina la demolizione delle opere stesse, se ancora non sia stata altrimenti eseguita.
Siccome l'art. 445 c.p.p., comma 1 bis, equipara la sentenza emessa a seguito di "patteggiamento" alla sentenza di condanna, l'ordine di demolizione di un manufatto abusivo di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, comma 9, va disposto anche in caso di applicazione della pena concordata dalle parti>>.
Tuttavia, successivamente alla riforma dell'art. 445 c.p.p. tale scenario poteva essere messo in dubbio.
Infatti, sebbene l'ordine di demolizione rientri tra le sanzioni amministrative e quindi non possa essere "patteggiato", il d.l.vo 150/22 ha fatto venire meno l'equivalenza tra la sentenza di condanna e quella di applicazione pena, in tutte le circostanze in cui non sia applicata una pena accessoria (o perché esclusa ex lege, in caso di patteggiamento ordinario, o perché esclusa in forza di accordo in tal senso).Ed allora, se a mente dell'art. 31 comma 9 del T.U. edilizia, il presupposto per irrogare l'ordine di demolizione risiede in una condanna o in una pronuncia ad essa equivalente, è evidente che in tutti i casi in cui la sentenza di applicazione pena non equivalga ad una condanna, difetterà il presupposto dell'ordine.
Tuttavia, la Corte di legittimità ha opinato differentemente.
Nel caso di specie, il Tribunale applicava con la sentenza ex art. 444 c.p.p. le pene di legge, ma non ordinava la demolizione del fabbricato. Il Procuratore generale presso la Corte di appello interponeva ricorso per cassazione, adducendo violazione di legge (art. 98 d.P.R. 380/2001). La difesa, con memoria, invocava la inammissibilità del ricorso, poichè sottoponeva allo scrutinio della corte di legittimità una questione di merito, e poi la infondatezza della questione dedotta, giusta il disposto del novellato art. 445 c.p.p..La Corte accoglieva il ricorso poichè <<l'ordine di demolizione rientra certamente nei poteri del giudice
penale e non riguarda il concorrente potere amministrativo (leggi diverse da quelle penali): "L'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna, ai sensi dell'art.31, comma nono, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio autonomo e non residuale o sostitutivo rispetto a quello dell'autorità amministrativa, atteso che assolve ad una autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso" (Sez. 3, Sentenza n. 37120 del 11/05/2005 Cc. (dep. 13/10/2005 ) Rv. 232172 - 01).Conseguentemente la disposizione del comma 1 bis, dell'art. 445 cod. proc. pen. non incide sulla demolizione>>. (sentenza al link)
Orbene, val la pena anzitutto dubitare della proponibilità del ricorso interposto dal PG, poichè la violazione di legge non pare rientrare tra i casi di ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento, ex art. 448 co. 2 bis.
Per quanto riguarda il merito della vicenda, pare di capire che la Corte ritenga come il nuovo comma I bis dell'art. 445 non regoli la fattispecie, poichè esso esclude l'equivalenza tra la condanna e il patteggiamento- sul presupposto che non siano state applicate pene accessorie- rispetto alle disposizioni di legge diverse da quelle penali, mentre l'art. 98 T.U.E. sarebbe norma penale. Tuttavia, ad avviso di chi scrive, tale prospettazione avrebbe meritato approfondimento, poichè non pare così evidente che una norma che facultizza il giudice penale ad applicare una sanzione pacificamente amministrativa sia per ciò solo da qualificarsi come penale.
09 maggio 2024
Saluto romano: la sentenza delle sezioni unite
Ci eravamo già occupati della questione (qui e qui).
Pubblichiamo adesso la sentenza delle sezioni unite che hanno affermato che la condotta, tenuta nel corso di una pubblica riunione, consistente nella risposta alla “chiamata del presente” e nel cosiddetto “saluto romano”, integra il delitto previsto dall’art. 5 legge 20 giugno 1952, n. 645, ove, avuto riguardo alle circostanze del caso, sia idonea ad attingere il concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista, vietata dalla XII disp. trans. fin. Cost.; tale condotta può integrare anche il delitto, di pericolo presunto, previsto dall’art. 2, comma 1, d.l. n. 122 del 26 aprile 1993, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, ove, tenuto conto del significativo contesto fattuale complessivo, la stessa sia espressiva di manifestazione propria o usuale delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all’art. 604-bis, secondo comma, cod. pen. (già art. 3 legge 13 ottobre 1975, n. 654).
Scarica la sentenza n. 16153/2024 al link
Nei prossimi giorni torneremo in argomento con il commento alla sentenza di Mari Miceli.
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