09 luglio 2021

Terza sospensione condizionale della pena per quattro anni complessivi? È possibile! La Corte d'appello di Palermo "segue" la Corte di Cassazione. Un caso in tema di bancarotta con vantaggi compensativi - di Marco Siragusa





IL CASO - L'imputato è stato processato e assolto con sentenza definitiva dal delitto di bancarotta fraudolenta pluriaggravata in relazione al fallimento di una società della quale era amministratore unico.
In un successivo giudizio, gli sono contestati fatti nuovi e diversi di bancarotta originanti dal medesimo fallimento societario.
Nel nuovo giudizio, l'imputato è processato nelle forme del rito abbreviato, ed è ritenuto colpevole, con doppia conforme di merito, del delitto di bancarotta impropria pluriaggravata. Quindi è condannato alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione (anni due pena base per la b.f. patrimoniale e mesi 4 ex art. 219 L.F.).
L'imputato interpone ricorso per Cassazione, e il giudice di legittimità cassa la condanna con rinvio ad un nuovo esame nel merito quanto alla bancarotta documentale, alla pena accessoria e alla concessione della sospensione condizionale della pena; conferma nel resto.

LA DECISIONE IN COMMENTOIn sede di rinvio, la Corte d'appello di Palermo, sezione 1a penale, con la sentenza n. 2969/2021 in commento, riforma la sentenza e assolve l'imputato dal delitto di bancarotta impropria documentale, essendole precluso l'esame della condanna per il delitto di bancarotta patrimoniale in virtù dell'intervenuto giudicato interno. Per l'effetto, la corte territoriale  riduce la pena ad anni due di reclusione e computa in pari misura la pena accessoria. Indi, giusta il perimetro del giudizio di rinvio, concede all'imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, nonostante, in passato, lo stesso ne avesse già beneficiato per due volte e per complessivi due anni, avendo patteggiato una condanna a mesi sei di reclusione per un reato ambientale e una condanna ad anni uno e mesi sei di reclusione per un'altra bancarotta fraudolenta.

LA NOVITA' DELLA DECISIONEIl tema devoluto in sede di rinvio, subordinatamente all'accoglimento del gravame quanto alla condanna ancora sub iudice per il delitto di bancarotta documentale, era dunque il seguente: il condannato la cui pena sia estinta ex lege (art. 445, comma 2, c.p.p.) può beneficiare di una terza sospensione condizionale della pena, sebbene ne abbia già beneficiato per due volte e per il massino (due anni) consentito dalla legge in ragione dell'età?
Al quesito, la corte d'appello di Paleremo, con la sentenza in commento, ha dato risposta positiva, adeguandosi ad una rara pronuncia sul tema della Cassazione Penale, Sez. I, 22 maggio 2018 (ud. 9 gennaio 2018), n. 22872.

LE ALTRE QUESTIONI DI MERITO - Le questioni processuali, assai articolate, meritano di essere analizzate nel merito, tenuto conto del palese errore nel quale è incorsa la Corte di cassazione, quanto alla ritenuta inammissibilità del motivi di ricorso sulla pena principale irrogata per il delitto di bancarotta patrimoniale.
Infatti, alla questione, sebbene coperta dal giudicato interno, la sentenza in commento ha dato ampio spazio proprio per motivare la pronuncia assolutoria sul delitto residuo di bancarotta impropria documentale, sulla quale ha poi fondato la decisione di concedere per la terza volta il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Nella sentenza della corte territoriale, poi, si evidenzia la erroneità autarchica del giudizio di legittimità quanto alla ritenuta inammissibilità dei motivi di ricorso attinenti il delitto di bancarotta patrimoniale, e si osserva che, diversamente da quanto statuito dal giudice di legittimità, la questione era fondata ed era stato dedotta e coltivata dalla difesa nei gradi di merito.

LE PECULIARITA' DEL CASO (approfondimento) - Il giudizio di rinvio s'è celebrato su tre temi: 1) la bancarotta documentale (nesso causale e dolo); 2) la pena accessoria; 3) la mancata concessione della sospensione condizionale della pena (quinto motivo di ricorso ritenuto “assorbito”).
Il “tema” del giudizio di rinvio “principale” attiene quindi al nesso causale e al dolo della contestata bancarotta documentale.
L'ultimo dei “temi” del rinvio non merita particolari approfondimenti essendo la questione (sulla pena accessoria) ormai “definita” dalla sentenza della Corte Costituzionale.
La questione sulla sospensione sarà affrontata per ultima.

Prima di affrontare i temi del giudizio di rinvio, però, è indispensabile ripercorrere in fatto la vicenda processuale, anche con riferimento alla contestazione di bancarotta distrattiva patrimoniale sulla quale è intervenuto il giudicato interno.
Tale aspetto è dalla difesa ritenuto indispensabile per comprendere l'insussistenza della residua contestazione di bancarotta documentale sulla quale si celebra il giudizio di rinvio.
Pertanto, è utile ripercorrere le vicende sottostanti.
Ciò per due ordini di motivi.
Il primo è quello di evidenziare l'errore nel quale, nella sua intangibile autarchia, è incorsa la sentenza del giudice di legittimità, ritenendo, contrariamente all'evidenza, che:
a) i dipendenti della società fallita non sarebbero stati pagati;
b) il rapporto controllante-controllata tra la società controllante e la società fallita/controllata non “risult[erebbe] dalla sintesi – non contestata – dei motivi di appello”. Secondo la Corte di cassazione, infatti, il tema della bancarotta riparata e preferenziale non sarebbe stato avanzato nei motivi di appello e pertanto costituirebbe novum vietato. L'errore del giudice di legittimità risiede verosimilmente nella mancata conoscenza dell'atto di appello. Atto del quale il giudice del rinvio disponeva e dal quale ha constatato che l'assunto della Corte di cassazione è errato. La soluzione dei “temi” del giudizio di rinvio non può prescindere dall'esame di quelle questioni.
La vicendaE' un fatto, accertato al processo e svalutato dalla sentenza cassata, che “... i dipendenti della [società fallita/controllata] erano stati retribuiti nell'anno 2007 dalla società controllante e che l'annullamento della posta attiva oggetto di contestazione altro non sarebbe che una mera operazione contabile a fronte dell'intervenuta compensazione di detto credito con un pregresso debito di quest'ultima verso la società fallita”, in quanto “...la operazione di annullamento del credito in questione mediante storno delle sopravvenienze passive – con sottrazione della somma alla massa fallimentare – non trov[erebbe] una valida e concreta giustificazione contabile” (sentenza di appello, Sez. IV C. App., f. 4).
Il tema era il seguente: se il pagamento diretto di un debito privilegiato (quello dei lavoratori della società controllata/fallita) da parte di un terzo (la società controllante) giustifichi la compensazione di un credito, peraltro di importo inferiore al debito estinto, da parte del debitor (controllante) debitoris (controllata); e se, una volta estinto il debito della fallita nei confronti dei suoi debitori privilegiati (i lavoratori) per effetto del suddetto pagamento ad opera del terzo, la compensazione del minor credito vantato dalla fallita nei confronti del terzo abbia o meno creato danno alla massa dei creditori. Infine, se tale condotta - che le informazioni probatorie definiscono di regolarità contabile e di rispondenza dei conti della fallita alla realtà economica - abbia cagionato o meno il dissesto della fallita. Risulta agli atti che vi fu la (certa) corresponsione delle retribuzioni e del TFR ai circa 20 operai della fallita  da parte della società controllante. Ciò avvenne per importi che sono maggiori del credito contestato come “annullati” (più correttamente “compensato”). E' dunque errato l'assunto del giudice di legittimità che, sul punto, richiama le prime sentenze di merito (è “escluso che i dipendenti della fallita siano stati pagati” fino al luglio 2017).
Ne segue, all'evidenza, che non vi fu nessuna “sottrazione” né alcun “vantaggio” in favore della società controllante.
E', infatti, vero l'esatto contrario.
Se il credito della società controllante spa non fosse stato compensato contabilmente in conseguenza del debito che quest'ultima aveva estinto nei confronti (degli operai) della società controllata/fallita, paradossalmente la contabilità della fallita non avrebbe restituito la verità dei conti economici, perché sarebbe rimasto appostato a credito un importo ormai non più esistente. Quanto sopra risulta dalle dichiarazioni del perito  (“il TFR lo hanno preso tutti” i lavoratori della società controllata/fallita). Risulta, ancòra, che gli operai della fallita, prima di essere collocati in cassa integrazione guadagni (agosto 2007), percepirono le retribuzioni.
Le annotazioni contestate rispecchiano, dunque, eventi economici effettivamente verificatisi. Esse sono neutre rispetto agli interessi della massa creditizia, che non subì alcun danno (tale profilo rileva, all'evidenza, sulla residua contestazione di b.f documentale e sul nesso di causa).
La spiegazione economica di tali operazioni contabili si rinviene, non già nella commissione dei fatti di bancarotta, ma, più semplicemente, nel verificarsi dei seguenti eventi:
a) i lavoratori della società controllata/fallita furono effettivamente pagati e non insinuarono poste al fallimento.
b) Tale pagamento – non essendo ipotizzabile che altri, per spirito di liberalità, lo abbiano fatto – è stato effettuato dalla società controllante.
c) La società controllante effettuò il pagamento: (i) nell’esercizio del suo potere di direzione e coordinamento (art. 2497 cod. civ.); (ii) al fine di conservare la qualificata forza lavoro, che poi riassorbì; (iii) in vista del prefigurato progetto di fusione per incorporazione; (iv) per estinguere un suo debito verso la società controllata.
L’omessa annotazione del debito verso i lavoratori e la cancellazione del credito costituiscono, quindi, due aspetti del medesimo evento giuridico-economico: il pagamento dei lavoratori effettuato direttamente dalal società controllante spa ad estinzione di un pregresso debito di quest’ultima verso la società controllata.
Siamo in presenza di un pagamento da parte di un terzo soggetto (controllante) di poste di debito del debitore principale (controllata); pagamento avvenuto verso i lavoratori/creditori secondo il tipico schema della delegazione del terzo.
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Il pagamento diretto da parte della società controllante non produsse alcun danno alla massa dei creditori della società fallita e ridusse il passivo.
Tale tema, come vedremo, incide direttamente sull'accertamento residuale in questo giudizio di rinvio e riguarda i c.d. “vantaggi compensativi”.
Il pagamento del terzo non alterò la par condicio creditorum, perché ridusse il passivo “favorendo” il credito dei lavoratori (credito che avrebbe dovuto essere soddisfatto con prelazione)Id est: ci fu un aumento della garanzia patrimoniale generica che ha diretta incidenza sul residuo profilo di bancarotta documentale. Com'è noto, ai fini della distrazione è necessario che l'atto di disposizione (qui la compensazione) sia patrimonialmente sbilanciato in danno della fallita. Qui, al contrario, non solo non è sbilanciato, ma è addirittura a favore della fallita. Peraltro, nella c.d. distrazione per operazioni infragruppo, il reato è escluso se i benefici per la società fallita si dimostrino idonei a compensare gli effetti immediatamente negativi, sì da rendere l'operazione incapace di incidere sulle ragioni dei creditori della società (cfr. Cass. Sez. V 24.5.2006, Bevilacqua).
Tale aspetto incide sul tema ancora sub iudice: che l'operazione non fosse stata preordinata e/o voluta col fine di vantaggio della società controllante è smentito con certezza dal perito, il quale ha rilevato come la situazione della società controllata/fallita, florida fino al 2006, sia evoluta in peggio per effetto della crisi del settore, circostanza questa che indusse l'amministratore della società, in tempi brevi (appena sei mesi), a chiederne la liquidazione.
Il ”vantaggio” dell’operazione per la fallita (e la massa) fu rappresentato dalla sopportazione del costo del lavoro da parte della controllante nei mesi (gennaio/luglio 2007) che, al manifestarsi della crisi di settore, precedettero la liquidazione della società controllata, poi dichiarata fallita.
A fronte del beneficio, la fallita "sopportò", ma a suo vantaggio, la compensazione del minor credito nei confronti della “capogruppo”, a carico della quale fu posto il maggior esborso per il costo del personale in vista della definizione del piano industriale, anch'esso oggetto di trattativa con i sindacati, e con il fine della riassunzione (da parte della controllante) della qualificata forza lavoro in carico alla controllata.

Il tema principale del giudizio di rinvio: la sentenza della Corte di cassazione costituisce un muro invalicabile verso la insussistenza del delitto di bancarotta documentale contestato.
In essa si afferma:
a) che la b.f. documentale “non può avere ad oggetto il bilancio, non rientrando quest'ultimo nella nozione di libri e scritture contabili ...”;
b) occorre dunque dimostrare la sussistenza del nesso causale tra la contestata falsificazione del bilancio e il dissesto;
c) occorre dimostrare il dolo di provocare la diminuzione della garanzia generica dei creditori societari (diminuzione che non vi fu).

Il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale si contraddistingue per una diminuzione indebita del patrimonio della fallita con conseguente nocumento delle ragioni dei creditori per effetto della riduzione delle garanzie patrimoniali generiche che, proprio il patrimonio, è destinato ad assicurare ex art. 2740 cod. civ.
Nel delitto di specie, nel quale viene in rilievo la bancarotta impropria, la condotta deve essere eziologicamente legata al dissesto.
La fattispecie disciplinata dal comma 2 dell'art. 223 cit. prevede che i fatti di bancarotta abbiano cagionato il dissesto (qui assente per il “vantaggio” della compensazione a favore della società fallita) e che tale evento sia voluto (a titolo di dolo diretto) dal suo autore.
Tuttavia, “...la operazione di annullamento del credito in questione mediante storno delle sopravvenienze passive” non ha sottratto alcunché alla massa (sono le parole della sentenza di appello, sez. IV della C. App., cassata).
Da ciò discende, con tutta l'evidenza della mera constatazione, che l'operazione contestata non è un fatto di bancarotta e non ha cagionato o concorso a cagionare (id est: è stata voluta per) il dissesto della società.
Anzi, non ha neppure causato quella diminuzione della garanzia patrimoniale generica che dev'essere “legata” in nesso causale con il dissesto.
Si ripete, infatti, che dall'operazione meramente contabile la società fallita ha “ricavato” un vantaggio (compensativo) anziché un danno per i propri creditori …
Non vi è nesso (di dissesto), richiesto dalla norma, perché non vi è stata riduzione della garanzia ed anzi vi è stato un aumento della stessa per effetto della riduzione del debito verso i lavoratori.
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Accertata infatti al processo la regolarità contabile della società fallita e la idoneità delle scritture contabili, regolarmente tenute, alla ricostruzione del patrimonio e del giro d'affari, ne segue l'insussistenza del reato di bancarotta documentale.
Del resto, la condotta contestata è legata all'inciso “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari”.
Ora, poiché è accertata la ricostruzione degli affari della fallita in virtù del giudicato assolutorio del primo processo, l'assunto in contestazione è errato anche per tale motivo.
Infine, la bancarotta documentale contestata è integrata dal dolo della sottrazione col fine di procurarsi un ingiusto vantaggio, mentre, nel caso di specie, non vi fu alcuna sottrazione (ma una lecita compensazione contabile) né alcun intento (di dolo) specifico di un ingiusto profitto in danno della massa.
S'impone dunque la riforma della condanna sul punto e l'assoluzione con la formula acconcia (non sussiste, per l'assenza del nesso o non costituisce reato per l'assenza del dolo).

Pena accessoria - Sono sufficienti poche righe e per due ordini di motivi.
Il primo è che la questione ha trovato definitiva soluzione nella nota declaratoria di incostituzionalità (con la decisione Corte Cost. n. 222/2018).
Il secondo è che la invocata sospensione condizionale della pena (ce ne occuperemo al paragrafo che segue) si “estende anche alle pene accessorie”, con la conseguenza che la graduazione rimane indifferente.

Sospensione condizionale della penaEsclusa la sussistenza del delitto di bancarotta documentale, la pena residua irrogata (anni due) andrà sospesa ai sensi dell'art. 163 c.p..
Infatti, la difesa aveva depositato motivi ex art. 585 comma 4 c.p.p., chiedendo la concessione del beneficio invocato sul rilievo che «la condanna di mesi 6 (ridotta, per il rito, a mesi 4 di reclusione) erroneamente irrogata per tale titolo (bancarotta documentale) vada riformata, con la conseguenza che residuerebbe una condanna di anni due di reclusione».
Semmai giova osservare la tempestività della scelta defensionale, se è vero che, successivamente e con la sentenza del 25 ottobre 2018, le Sezioni Unite hanno fornito la seguente soluzione: «fermo il dovere di motivazione da parte del giudice, l’imputato non può dolersi della mancata applicazione della sospensione condizionale della pena, qualora non l’abbia richiesta nel giudizio di appello».

L'imputato ha allegato: (i) di essere incensurato, atteso che la condanna (a pena sospesa e col rito del patteggiamento) irrogatagli dal Tribunale di Trapani il 21.6.2012 è divenuta definitiva il 28 maggio 2013, allorché la Corte di Cassazione (sent. n. 43365/2013) l'ha «annulla[ta] senza rinvio …. limitatamente all'applicazione delle pene accessorie che [ha] elimina[to]»; e che (ii) per effetto dell'art. 445 c.p.p. «il reato [quello della pena patteggiata] è estinto» ex lege, essendo decorsi cinque anni.
Su tale presupposto ha chiesto - e la sentenza in commento ha riconosciuto - la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, tenuto conto della sua condizione di pensionato in età ormai avanzata (prossimo ai settant'anni con beneficio concedibile fino a due anni e sei mesi ex art. 163 comma 3 c.p.), dalla quale discende l'impossibilità di commettere reati della stessa specie di quelli per cui si procede.
Secondo la Cassazione Penale, Sez. I, 22 maggio 2018 (ud. 9 gennaio 2018), n. 22872 la sospensione condizionale della pena può essere concessa una seconda volta anche qualora la pena da infliggere, cumulata con quella irrogata con la precedente condanna, superi i limiti stabiliti dall’art. 163 c.p., a condizione che per la prima condanna il reato sia stato dichiarato estinto (come nel caso che ci occupa).
La sentenza richiamata evidenzia che se al momento della concessione del beneficio il reato oggetto della prima condanna è estinto, può essere concessa la sospensione condizionale della pena.


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