Avevamo già dato l’informazione provvisoria (link).
Pubblichiamo ora la sentenza n. 150/2021 depositata ieri, 12 luglio (link)
La Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa); e in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), dell’art. 30, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato).
Ha invece dichiarato non fondate - ma con sentenza interpretativa - le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 595, terzo comma, del codice penale, che assumono rilevanza non solo per i giornalisti ma anche per tutti coloro i quali siano processati per il titolo (si pensi alle diffamazioni a mezzo social).
Sul punto la Corte ha osservato che disposizione ora all’esame –deve essere interpretata in maniera conforme a tali premesse ovvero nel senso che <<Il potere discrezionale che essa attribuisce al giudice nella scelta tra reclusione (da sei mesi a tre anni) e multa (non inferiore a 516 euro) deve certo essere esercitato tenendo conto dei criteri di commisurazione della pena indicati nell’art. 133 cod. pen., ma anche – e ancor prima – delle indicazioni derivanti dalla Costituzione e dalla CEDU secondo le coordinate interpretative fornite da questa Corte e dalla Corte EDU; e ciò anche al fine di evitare la pronuncia di condanne penali, che potrebbero successivamente dar luogo a una responsabilità internazionale dello Stato italiano per violazioni della Convenzione (per la sottolineatura del dovere «di evitare violazioni della CEDU» in capo agli stessi giudici comuni, nel quadro dei loro compiti di applicazione delle norme, si veda la sentenza n. 68 del 2017, Considerato in diritto, punto 7.). Ne consegue che il giudice penale dovrà optare per l’ipotesi della reclusione soltanto nei casi di eccezionale gravità del fatto, dal punto di vista oggettivo e soggettivo, rispetto ai quali la pena detentiva risulti proporzionata, secondo i principi poc’anzi declinati; mentre dovrà limitarsi all’applicazione della multa, opportunamente graduata secondo la concreta gravità del fatto, in tutte le altre ipotesi. Questa lettura, del resto, è stata già fatta propria dalla più recente giurisprudenza di legittimità, nel quadro di un’interpretazione che dichiaratamente si ispira alla giurisprudenza pertinente della Corte EDU e all’ordinanza n. 132 del 2020 di questa Corte (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 9 luglio 2020, n. 26509), e che si estende anche agli autori di diffamazioni aggravate ai sensi dell’art. 595, terzo comma, cod. pen. i quali non esercitino attività giornalistica in senso stretto (Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenza 17 febbraio 2021, n. 13993; sezione quinta penale, sentenza 15 gennaio 2021, n. 13060). Così interpretata, la disposizione censurata risulta conforme tanto all’art. 21, quanto all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 10 CEDU>>.
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