Ci pare che, come un fiume carsico, il tema dell'inammissibilità dell'appello riemerga periodicamente. Dopo le Sezioni Unite Galtelli del 2016 (n. 8825/2017 al link), l'anno successivo si era cimentata la c.d. riforma Orlando, novellando l'art. 581 c.p.p.. Poi la legislazione emergenziale ha introdotto la possibilità di impugnare le sentenze da remoto, prevedendo speciali cause di inammissibilità, tra cui particolarmente significativa pare quella della mancata sottoscrizione digitale “per conformità all’originale” dei documenti allegati all’atto di impugnazione.
Il tema dell'inammissibilità dell'atto di appello è più recentemente tornato all'attenzione in occasione dei lavori della c.d. commissione Lattanzi, la cui relazione finale proponeva di <<strutturare l’appello quale impugnazione a critica vincolata, prevedendo i motivi per i quali, a pena di inammissibilità, può essere proposto; prevedere l’inammissibilità dell’appello per aspecificità dei motivi quando nell’atto manchi la puntuale ed esplicita enunciazione dei rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto e di diritto espresse nel provvedimento impugnato>>.
Per il momento il tema pare accantonato, ma è ben evidente che ormai esista una chiara "cultura dell'inammissibilità", secondo la fortunata espressione del Professore Oliviero Mazza, che tende a sconfinare dal giudizio di legittimità a quello di merito (da giudizio sul fatto a giudizio sull'atto).
Tuttavia, prima di estendere ulteriormente l'area della grave sanzione processuale all'appello, bisognerebbe interrogarsi su quali risultati ci abbiano consegnato gli ultimi vent'anni di cultura di inammissibilità in Cassazione.
Siamo sicuri che dietro una percentuale di ricorsi inammissibili, che da ultimo si è attestata al 71.6% delle impugnazioni, non si celi una dilatazione incontrollabile dello strumento sanzionatorio?
Siamo sicuri che le cause di inammissibilità siano un quid conoscibile a priori dal ricorrente, lì dove durante l'anno da ultimo trascorso su 26.733 ricorsi inammissibili, ben 11.476 sono stati dichiarati tali da sezioni diverse dalla settima, con ciò lasciando intendere che gli spogliatori non avessero rilevato alcun vizio di inammissibilità.
Siamo sicuri che la violazione del principio di autosufficienza, siccome declinata dalla giurisprudenza di legittimità, abbia una solida base normativa?
Siamo sicuri che le c.d. prove di resistenza di cui la cassazione onera , in relazione ai dedotti vizi di inutilizzabilità delle prove, i ricorrenti, onde schivare la sanzione processuale, non finiscano per trasfigurare il volto della Corte di legittimità ?
Siamo sicuri che tra fondatezza e manifesta infondatezza del ricorso vi siano chiare differenze?
Siamo sicuri che nel nostro paese alberghi ancora una cultura giuridica, secondo cui l'impugnazione è una esplicitazione del diritto di difesa, che può essere compressa soltanto per casi eccezionali tassativamente indicati?
NO, almeno di quest'ultima anafora direi che non possiamo essere sicuri.