La prima sezione della Corte, rilevato un conflitto giurisprudenziale, ha rimesso al massimo consesso di legittimità il seguente quesito: «se, in tema di misure di prevenzione patrimoniale, ai fini della richiesta di applicazione degli effetti della pronuncia della Corte costituzionale 24 gennaio 2019, n. 24 a tutela della posizione dell'inciso, sia esperibile il rimedio della revocazione di cui all'art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 ovvero il rimedio dell'incidente di esecuzione di cui agli artt. 666 e 670 cod. proc. pen.» (ordinanza al link).
Nel caso di specie l'interessato, già inciso dalla confisca di prevenzione, disposta dal Tribunale di Monza, successivamente alla declaratoria di incostituzionalità della categoria della pericolosità sociale disciplinata dall'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011, aveva interposto, ex art. 28 d.lgs. cit., istanza di revoca della misura ablatoria innanzi alla Corte di appello di Brescia.
Sennonché i Giudici distrettuali hanno dichiarato l'inammissibilità dell'istanza, giacché la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 159 del 2011, non integra una «nuova prova decisiva legittimante la proposizione di istanza di revocazione». Piuttosto il rimedio da esperirsi, ad avviso della Corte lombarda, deve ravvisarsi nell'incidente di esecuzione di cui agli artt. 666 e 670 cod. proc. pen.
Avverso la pronuncia testé veniva dispiegato gravame, per violazione dell'art. 28 cit.. Secondo il ricorrente infatti il ricorso alla revocazione si imponeva, non potendo farsi applicazione analogica nel procedimento di prevenzione dell'incidente di esecuzione.
La prima sezione della Corte di legittimità ha anzitutto rilevato che <<non è, invero, dubitabile che l'esigenza di bilanciare il valore costituzionale del giudicato e quello della libertà personale, a fronte di una sanzione penale dichiarata illegittima, deve estendersi anche alle misure di prevenzione, personale e patrimoniale, in ragione dei principi affermati nella sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019>>.
Tuttavia, i Giudici nomofilattici hanno rilevato un conflitto <<sulle modalità con cui tale, imprescindibile, rivalutazione del compendio probatorio posto a fondamento dell'originario provvedimento ablatorio deve essere effettuata>>.
Infatti, secondo un orientamento minoritario deve ritenersi esperibile l'incidente di esecuzione, disciplinato dal combinato disposto degli arti. 666 e 670 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 36582 del 28/10/2020, Iannuzzi, Rv. 280183-01). A favore di tale soluzione depongono una lettura complessiva dell'art. 28, nonché l' analogia con i poteri di intervento del Giudice dell'esecuzione in caso di declaratoria di incostituzionalità della norma incriminatrice.
A fronte di tale esegesi, l'arresto maggioritario ritiene che «in tema di misure di prevenzione, non sussiste la competenza del giudice dell'esecuzione a decidere sulla domanda di revoca del decreto definitivo con la quale si solleciti la verifica della permanenza della sua "base legale" in relazione all'inquadramento del sottoposto nella categoria di pericolosità generica di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, come interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 2019, trattandosi di domanda qualificabile come richiesta di revoca della misura, disciplinata, anche con riferimento alla competenza, dagli artt. 11, quanto alle misure di prevenzione personali, e 28, quanto a quelle patrimoniali, del citato d.lgs.» (Sez. 1, n. 27696 dell'01/04/2019, Immobiliare s.r.I., Rv. 275888-01).
A tale orientamento aderisce anche altra pronuncia non citata nell'ordinanza secondo cui <<non può riconoscersi l'applicabilità al settore tipico della prevenzione delle singole disposizioni procedimentali contenute nel codice di rito penale in tema di esecuzione, posto che il rinvio alle previsioni di cui all' art. 666 c.p.p. (in quanto compatibili) è dettato dal legislatore del codice antimafia per la fase della cognizione (art. 7, comma 9, Cod. Ant.) e non riguarda, pertanto, la fase esecutiva>>.
Ciò posto, ad avviso di tale indirizzo <<tutte le esigenze di "rivalutazione" di una decisione definitiva emessa in sede di prevenzione , siano le stesse correlate alla emersione di elementi di fatto che ad eventi di natura normativa, debbano trovare sede ‘naturale' di verifica giurisdizionale nei procedimenti con vocazione revocatoria disciplinati nel medesimo d.lgs. n. 159/2011, rappresentati dalle procedure di cui all'art. 11 (nella ipotesi di misura esclusivamente personale) e art. 28 (lì dove venga in rilievo, anche in rapporto alla valutazione di pericolosità soggettiva operata in cognizione, la revocazione della confisca)>> (Cassazione penale sez. I, ud. 01/10/2020, dep. 01/12/2020, n.34027, non citata nell'ordinanza).
In altri termini, sia pure in via interpretativa, lo strumento cui far ricorso sarebbe quello della revocazione.
Rilevato il superiore contrasto, la prima sezione della Corte ha rimesso alle Sezioni Unite il quesito riportato nell'incipit.