28 luglio 2021

Abrogazione della norma incriminatrice senza ‘abolizione’ del reato - di Mariangela Miceli






Da qualche giorno ci stiamo occupando dei peculato degli albergatori (link n. 1 e link n. 2). Come anticipato, torniamo a farlo con il contributo della collega Mariangela Miceli, socia di CP Trapani.


Il fenomeno della depenalizzazione rientra nella fattispecie dell’abolitio criminis, corollario del principio più generale del nullum crimen sine lege.

Attraverso la depenalizzazione il fatto non costituendo più reato è espunto dal sistema penale.

E’ bene precisare che la norma di depenalizzazione ha natura eterogenea, ovvero, si comporta come norma penale per quanto attiene l’abolizione del reato, mentre si atteggia a norma extrapenale per quanto attiene alla sanzione penale con quella civile e/o amministrativa.

Da quanto sopra esposto deriva che, come regola generale non sia possibile applicare la logica intertemporale di cui all’articolo 2, secondo comma, del codice penale proprio in virtù della natura eterogenea della depenalizzazione che ne impedirebbe qualsiasi rapporto di continuità tra d’illecito penale e quello amministrativo.

Deve essere però evidenziato che nel rispetto del principio di ragionevolezza e uguaglianza sostanziale di cui all’articolo 3 della Costituzione per far operare retroattivamente la norma di cui all’illecito depenalizzato sia necessaria una norma ad hoc che ne preveda per espressamente l’applicabilità retroattiva.

Nel caso del decreto rilancio, infatti, è stata introdotta la depenalizzazione dell’omesso e/o ritardato pagamento dell’imposta di soggiorno da parte della struttura ricettiva, illecito prima punito ai sensi e per gli effetti dell’articolo 314 c.p..

La predetta riforma ha modificato la qualifica soggettiva dell’albergatore, nonché, ha previsto una sanzione più ‘blanda’, punendo il fatto con una sanzione amministrativa.

Orbene, proprio per chiarire questo punto è necessario far riferimento all’articolo 180, comma 3, del decreto rilancio, il quale ha espressamente previsto che l’albergatore non sia più agente contabile che procede la riscossione dell’imposta ma diventa “responsabile del pagamento dell'imposta”, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi diventando, di fatto, un obbligato in solido.

Da questa impostazione normativa appare chiaro come venga meno la qualità di pubblico ufficiale e/o incaricato di pubblico servizio.

Ma se è vero che tra le caratteristiche peculiari di qualsivoglia ordinamento giuridico vi è la sua idoneità ad essere mutevole: mutano le esigenze dei consociati, mutano i valori comuni, muta il contesto economico e muta l’ordinamento. Altresì mutano i giudizi di disvalore; in tali casi, il legislatore interviene al fine di espungere dal catalogo dei reati quelle condotte che, alla luce del mutato contesto, non paiono più penalmente rilevanti, da qui il sopracitato fenomeno della depenalizzazione.

È su questi interventi che aleggia il principio di retroattività favorevole, implicitamente elevato a principio fondamentale dalla nostra Carta fondamentale ed esplicitamente riconosciuto quale principio generale del diritto comunitario dalla giurisprudenza della Corte EDU.

Invero, nel testo della Costituzione non si rinviene un esplicito riferimento al principio di retroattività favorevole, atteso che il secondo comma dell’art. 25 si limita a consacrare il solo principio di irretroattività sfavorevole, vietando dapprima al legislatore e in seguito all’autorità giudiziaria l’applicazione retroattiva di una norma penale modificativa in pejus, si essa relativa alla fattispecie di reato ovvero al trattamento sanzionatorio ad essa riservato, ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della medesima.

Cionondimeno, in seguito alla sentenza Scoppola c. Italia si è ritenuto che il principio de quo sia ricavabile dallo stesso art. 7 CEDU e che, pertanto, operi come norma interposta ai sensi dell’art. 117 Cost: è un principio che, sebbene relativo e derogabile, è connotato da garanzia costituzionale.

Da ultima, la stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 40 del 2019, ha definitivamente riconosciuto il principio della retroattività favorevole altresì con riguardo alle sanzioni amministrative qualificabili come “punitive”, nel caso di specie relativamente alla sanzione pecuniaria conseguente all’illecito di market abuse di cui all’art. 187 T.U.F.

Come noto, la norma sulla quale si impernia la disciplina della successione delle leggi nel tempo è l’art. 2 c.p., la quale ricollega all’abrogazione totale dell’illecito penale una iper-retroattività favorevole della lex posterior, tale da travolgere, altresì, le sentenze divenute irrevocabili e i relativi effetti penali; al contrario, al comma quarto prevede che, in caso di mutatio, la lex posterior favorevole si applichi sì anche ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore, ma con il limite rappresentato dall’intangibilità dei relativi giudicati.

Appare chiaro, quindi, come sia necessario chiarire la distinzione tra abolitio criminis e mutatio e come questa appaia fondamentale per statuire quale sia la disciplina applicabile nel caso in cui si verifichi il fenomeno della c.d. abrogatio sine abolitione.

In presenza di una abrogatio sine abolitione, quindi, il carattere dell’illiceità penale della fattispecie rimane immutato; ciononostante, se il legislatore simultaneamente introduce un’altra disposizione che assorba le fattispecie prima punibili e la disciplina così introdotta appare più favorevole, si applica il principio della retroattività favorevole “in senso debole”, cioè limitata ai fatti storici in relazione ai quali non sia ancora intervenuta una sentenza ovvero un decreto penale di condanna irrevocabili, con conseguente esclusione del ricorso al rimedio di cui all’art. 673 c.p.p.

L’abrogatio sine abolitione si verifica anzitutto allorché alla eliminazione di una disposizione, ovvero, di una sua parte si accompagni la riformulazione di una diversa ed ulteriore disposizione già esistente nell’ordinamento, al fine di ricondurre nell’alveo di quest’ultima anche le fattispecie criminose previste nella disposizione abrogata.

In secondo luogo, il fenomeno è ravvisabile qualora l’abrogazione di una disposizione ovvero di una sua parte contenente una lex specialis comporti la riespansione di una differente norma di carattere generale, che attira a sé le fattispecie criminose tipizzate nella disposizione abrogata. In tal caso si verifica una successione c.d. impropria, dal momento che la lex generalis non succede alla lex specialis sotto un profilo temporale, bensì acquista vigore e riespande il proprio campo applicativo proprio in seguito all’abrogazione della lex specialis per la perdita di rilevanza del criterio di prevalenza di cui all’art. 15 c.p.

Quanto esposto nell’ordinanza (al link) convince sotto il profilo di diritto sostanziale: la modifica del quadro extragiuridico di riferimento non fa venire meno il disvalore penale della condotta di colui che, in ragione del servizio svolto, si appropria di denaro pubblico, da qui la mancata abolitio criminis.

Tanto che la condotta continua a giustificare un diverso – e più severo – trattamento punitivo rispetto a quello dell’omesso versamento di somme potenzialmente private.

Mentre, il legislatore avrebbe potuto in una logica di ragionevolezza prevedere una norma speciale che qualifichi il fatto come illecito amministrativo poiché il fatto dell’omesso versamento da parte del gestore - che a seguito del “ decreto rilancio” è responsabile di imposta - non può essere considerato una sottospecie di peculato, diversamente argomentando ci si troverebbe in casi che non verrebbero disciplinati dalla norma generale (il peculato), rimanendo di fatto impuniti.

Ciò posto, le leggi di depenalizzazione, tuttavia, di solito prevedono - a mezzo di apposite discipline transitorie – l’applicabilità retroattiva delle sanzioni ai fatti commessi prima della loro entrata in vigore, ciò sul duplice presupposto che, da un lato, tali fatti erano già qualificati in termini di illiceità al momento della loro commissione, e che, dall’altro la sanzione penale all’epoca prevista era più grave di quella, di natura amministrativa, introdotta con la legge di depenalizzazione.

Per tale ragioni appena espresse, appare utile, infine, richiamare i principio di uguaglianza, non discriminazione e parità di trattamento che assume particolare rilievo tra i principi fondamentali ed accanto a questo, il principio di irretroattività che ha trovato esemplare applicazione nella sentenza n.63/2019 che ha esaminato la questione della legittimità costituzionale dell’art.6, comma secondo, del decreto legislativo n.72/2015. Tale disposizione conteneva una disposizione di diritto transitorio che escludeva la retroattività favorevole in relazione alla sanzione di cui all’art. 187 bis del decreto legislativo n.58/1998.

Se così è, per una vera applicazione degli artt.3 e 117 dell Costituzione, anche in ragione della mancata disposizione transitoria, sarebbe stato auspicabile una maggiore attenzione, nell’ottica di una ragionevole esigenza di tutela di controinteressi costituzionalmente garantiti valutare alla luce dei criteri Engel le conseguenze giuridiche di norme sostanzialmente penali.

In conclusione, nell’ottica della reasonable rule, ovvero, della scelta della soluzione più ragionevole in base alle leggi, ai valori e al sistema, l’esegesi di testi normativi equivoci esige una scelta tra significati configgenti.

E’ l’enunciato che esprime questa scelta ha necessariamente carattere decisorio (ascrittivo), non cognitivo (Riccardo Guastini, Interpretare e argomentare).

“La giurisprudenza non “crea” la legge ma “scopre il diritto”, attraverso un’opera di estrapolazione che ha un sapore speleologico”.

La golden rule si salda con la mischief rule (tradizionalmente riportata alla decisione resa dai Barons of the Exchequer nell’Heydidon’s case del 1584), che impone l’inserimento della singola disposizione nel corpus normativo alla stregua di part of large body of law. È necessario, a tale stregua, verificare la falla alla quale la sopravvenienza legislativa ha inteso porre rimedio e, soprattutto ricostruire il contesto in cui compaiono le parole da interpretare, anche alla luce dei lavori preparatori.




(*) Mariangela Miceli:
 Avvocato del Foro di Trapani. Già dottoranda di ricerca in diritto commerciale e docente a contratto presso l'Università di Roma Unitelma Sapienza. Autrice di pubblicazioni scientifiche.  Contributor per il blog Econopoly24 del Sole24ore

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