Da qualche mese ci stiamo occupando della riforma del processo penale esaminato dalla commissione c.d. Cartabia e prossimamente all'attenzione del Parlamento.
Lo stiamo facendo per sezioni e con il metodo dell'intervista, con poche domande rivolte a un giudice, un pubblico ministero, un avvocato e un docente universitario.
Abbiamo pubblicato i contributi secondo l'ordine di ricezione, in maniera casuale. Il piano completo dell'opera è consultabile al → link.
Terminate le varie sezioni pubblicheremo le risposte di tutti i professionisti del processo in un unico contributo.
Proseguiamo oggi con la sezione Il giudizio monocratico, per il quale abbiamo rivolto le nostre domande a Francesco Giarrusso (giudice), Anna Maria Siagura (pm), Vincenzo Pillitteri (avvocato) e Luigi Ludovici (docente).
La risposta del giudice: In un contesto in cui, come si è visto, vi sono obiettivi e plurimi riscontri circa il fatto che l’udienza preliminare funzioni male, tanto da essersi ventilata in dottrina la possibilità di una sua soppressione, la direttiva di delega di cui all’art. 6 del ddl. Bonafede non può che suscitare forti perplessità. Quest’ultima, infatti, propone di introdurre per i reati a citazione diretta di cui all’art. 550 c.p.p. un’inedita udienza filtro, celebrata dinnanzi a un giudice monocratico diverso da quello dibattimentale, nella quale, da un lato, dovrebbero essere richiesti (a pena di decadenza) alcuni riti alternativi, e, da un altro lato, il decisore sarebbe chiamato a valutare la sussistenza o meno dei presupposti per pronunciare sentenza di non luogo a procedere.
La risposta del pm: La Riforma Bonafede nell'ipotizzare un momento di verifica antecedente alla fase dibattimentale per i reati perseguibili mediante la citazione diretta introduce una curiosa anomalia di sistema, nella misura in cui disattende di fatto la voluntas sottesa alla legge Carotti del 1999, che nel conferire, come noto, all'udienza preliminare la funzione di filtro dell'accusa, di fatto operava una netta distinzione sostanziale e procedurale tra i reati di maggiore gravità e allarme sociale e quelli passibili di un giudizio, per così dire, semplificato.
La risposta dell'avvocato: Al fine di esprimere una completa opinione giuridica circa la modifica proposta dal legislatore in ordine all’istituzione di un’udienza filtro per i reati a citazione diretta ex art. 550 c.p.p. è necessario fare una breve premessa. Ho particolarmente seguito gli interventi riportati nel Dossier della riforma del processo penale e devo riconoscere come la dottrina e le associazioni giuridiche degli avvocati non abbiano condiviso tale proposta. Ebbene l’introduzione di una udienza filtro con l’assegnazione della stessa ad un giudice diverso rispetto al titolare del dibattimento lascia invalicabili sospetti di carattere inquisitorio. Secondo quanto riportato nella proposta di riforma il Giudice (“predibattimentale”?) deve dare una valutazione attraverso la conoscenza del fascicolo del PM in modo molto simile a quanto avviene in sede di udienza preliminare. A conclusione di tale vaglio potrà prosciogliere l’imputato non soltanto per un causa estintiva o anche per la sussistenza di una causa di non punibilità ma anche eventualmente nel merito (tanto da richiamare le formule assolutorie di cui all’art. 530 c.p.p.). A ciò si aggiunge l’ipotesi del proscioglimento a seguito di un giudizio prognostico circa l’insufficienza o contraddittorietà degli elementi acquisiti che non potranno “ragionevolmente” supportare la prospettazione accusatoria nel successivo dibattimento. Ebbene, tale previsione normativa appare particolarmente distaccata dai principi del giusto processo e in contrasto con norme di rango costituzionale. In primis è necessario evidenziare che l’eventuale vaglio negativo da parte del “Giudice predibattimentale” apparirebbe particolarmente suggestivo per il Giudice del dibattimento al quale verrà trasmesso il fascicolo (con nuova separazione fascicolo PM contenente atti di indagini preliminari e fascicolo dibattimentale con atti ex art. 431 c.p.p.) e che potrà esserne notevolmente condizionato. Sotto altro profilo, la norma appare, prima facie, in contrasto con l’art. 111 comma 4 Cost. e nello specifico con il principio del contraddittorio nella formazione della prova a supporto del decisum. Detto ciò, al fine di dare una risposta al quesito posto, ritengo che, con tale proposta i tempi processuali verranno dilatati notevolmente ove si consideri che, proprio in ordine ai reati ex art. 550 c.p.p., il giudice, tranne i casi di udienze che nella prassi vengono definite di distribuzione (meri rinvii per assegnazione ad altri giudici o altro), può procedere all’apertura del dibattimento, alle richieste di prova e all’istruttoria dibattimentale. L’introduzione della suddetta udienza dovrà passare da alcuni momenti di stasi ovvero: scelta del Giudice predibattimentale, vaglio degli atti del fascicolo, eventuale superamento della fase, eventuale trasmissione del fascicolo ad altro giudice per la prosecuzione del dibattimento. Tali passaggi creeranno rallentamenti procedurali a causa dei ridotti organici della magistratura ovvero per lo svolgimento di tale accertamento predibattimentale che potrebbe articolarsi in diverse udienze.
La risposta del pm: In ordine alla durata dei processi, perché essa sia davvero ragionevole, appare necessario assumere una posizione chiara ed univoca, che consenta pochi margini di intervento.
La risposta dell'avvocato: L’art. 12 citato impone dei termini entro i quali dovranno concludersi le fasi processuali (primo grado, appello e fase di legittimità). Ebbene, tale previsione, con riferimento al termine di un anno per la celebrazione del rito monocratico dibattimentale, secondo il mio punto di vista, appare poco ragionevole in quanto la durata del processo in generale deve essere commisurata alla complessità del giudizio dibattimentale. Il Giudice non può essere condizionato irragionevolmente da una tempistica processuale particolarmente breve. Tutto ciò andrà a discapito di un giusto processo e di un attento vaglio degli elementi probatori da porre a supporto della sentenza tanto per i reati di minore allarme sociale che, a maggior ragione, per quelli che destano un maggiore disvalore.