30 maggio 2025

❌ GRATUITO PATROCINIO- ESTRAZIONE COPIE- IL DIFENSORE DEVE DICHIARARE CHE GLI SERVONO PER LA DIFESA❌

 

Il Presidente della Corte d’appello di Catanzaro trasmetteva al Mnistero il quesito del Tribunale di Cosenza volto a chiarire se “ai fini del rilascio in forma gratuita delle copie degli atti processuali penali in ipotesi di patrocinio a spese dello Stato, le dichiarazioni che le copie sono necessarie per l’esercizio della difesa, ai sensi dell’art. 107 d.P.R. n. 115 del 2002, debba essere effettuata da chiunque le richieda e, quindi anche da parte dei difensori oppure soltanto dalla parte ammessa al patrocinio

Al rigaurdo il Tribunale rappresentava che:

  • l’art. 107, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 stabilisce che “sono spese gratuite le copie degli atti processuali, quando sono necessarie per l’esercizio della difesa”;
  • sulla base della lettera della norma, la gratuità del rilascio è subordinata alla specificazione che occorrono per l’esercizio della difesa”;
  • in occasione dell’ispezione ordinaria del luglio 2024 aveva ricevuto l’indicazione che nel modulo di rilascio delle copie fosse specificato dall’istante che le stesse “occorrono per l’esercizio della difesa".

Il Presidente della Corte distrettuale nel rimettere il quesito, esprimeva il proprio parere rappresentando che:

  • è necessaria l’attestazione sulle finalità del rilascio di copie ove richiesto dalle parti private (potendo l’istanza essere determinata da diverse ragioni);
  • quando essa promani dal difensore la richiesta di attestazione delle finalità di rilascio si appalesa eccessivo omissis la detta attestazione dovrebbe considerarsi tacita per tutte le richieste provenienti dai difensori in relazione ai procedimenti pendenti, nei quali i medesimi risultano difensori;
  • nel caso in cui il procedimento risulti definito con attestazione di irrevocabilità della sentenza, il difensore dovrebbe specificare le motivazioni della richiesta ai sensi dell’art. 107 d.P.R. n. 115 del 2002 apparendo possibile una richiesta per finalità diverse da quelle meramente difensive.

Il parere espresso dalla Corte distrettuale risulta pacificamente condivisibile

Ma la Direzione Generale degli Affari Interni del Ministero si è mostrata di diverso avviso. 

Invero, la Direzione generale ha richiamato una sua precedente nota, rilasciata in risposta ad una richiesta di chiarimenti in merito alla gratuità del rilascio delle copie degli atti processuali a favore della parte ammessa a patrocinio a spese dello Stato ed al suo difensore nel processo penale, in cui si affermava che: “... il cancelliere è tenuto a rilasciare gratuitamente le copie richieste dal difensore, tutte le volte in cui l'interessato- che se ne assume la responsabilità-dichiari che l'atto richiesto è necessario per l'esercizio della difesa".

A tal punto, il Dipartimento ha ribadito l’obbligatorietà dell’osservanza della disposizione impartita con la nota richiamata, significando altresì che <<la dichiarazione, che l’atto è domandato per l’esercizio del diritto di difesa, dovrà essere resa dall’interessato indipendentemente dalla qualifica rivestita (parte o difensore)>>.

A fugare ogni dubbio valga il sommario della risposta: <<affinché siano rilasciate in forma gratuita le copie degli atti processuali penali nel caso di patrocinio a spese dello Stato è necessario che l’interessato- sia esso la parte ovvero il difensore- dichiari che gli atti richiesti siano necessari per l’esercizio  del diritto alla difesa>>.(la risposta ministeriale al link)

Onestamente, per come rilevato dal Presidnete della Corte di appello di Catanzaro, l'onere imposto sembra un inutile aggravio burocratico: il difensore che chiede copie del procedimento in cui svolge il suo mandato lo fa evidentemente per finalità difensive. A voler ritenere che vi possano essere  ulteriori e secondarie necessità, esse restano recessive. De hoc satis.

Svolgimento di attività investigativa da parte della Procura presso il Tribunale distrettuale nel cui ambito ha sede il giudice competente per uno dei reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. – Riferibilità dell’attività investigativa a taluni soltanto degli indagati – Sussistenza – Radicamento della competenza in capo al giudice distrettuale ex art. 328, comma 1-bis, cod. proc. pen. anche nei confronti di altri indagati estranei ai reati indicati – Condizioni.

 



La Seconda Sezione penale, in tema di competenza, ha affermato che lo svolgimento di attività investigativa da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente per uno dei reati di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., pur se riferibile a taluni soltanto degli indagati, radica, anche nei confronti di altri indagati estranei alla commissione dei reati indicati, la competenza del giudice distrettuale ex art. 328, comma 1-bis, cod. proc. pen., nel caso in cui l’attività d’indagine sia unitaria, fatta salva l’ipotesi in cui sia intervenuta l’archiviazione in relazione al reato di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen.


Approfondimento

Contesto

I ricorrenti hanno presentato ricorso per cassazione contro una sentenza della Corte di Appello di Cagliari (16 luglio 2019), che aveva parzialmente confermato e modificato una precedente condanna per reati associativi, tentate rapine e traffico di stupefacenti. La sentenza della Corte d'Appello aveva ridotto la pena per Vittorio Fogu, ma confermato le condanne per Mereu e Sanna.


Motivi di Ricorso e Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha esaminato i ricorsi, rigettandoli in parte per inammissibilità e in parte per infondatezza. Di seguito i punti principali:

  1. Competenza Territoriale del G.U.P. di Cagliari

    • I ricorrenti contestavano la competenza del Tribunale di Cagliari, sostenendo che i reati non fossero connessi a quelli di competenza distrettuale (art. 51 comma 3-bis c.p.p.).

    • Decisione: La Corte ha confermato la competenza di Cagliari, poiché le indagini avevano rivelato un nesso tra l’associazione per delinquere (art. 416 c.p.) e il traffico di stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/90), giustificando la deroga alle regole ordinarie di competenza (art. 328 c.p.p.).

  2. Utilizzabilità delle Intercettazioni

    • I ricorrenti eccepivano l’inutilizzabilità delle intercettazioni superanti i 15 giorni senza autorizzazione specifica (art. 13 D.L. 152/1991).

    • Decisione: La Corte ha ritenuto le intercettazioni valide, poiché il reato associativo (art. 416 c.p.) rientra tra quelli per cui è ammessa la proroga, e la scelta del rito abbreviato precludeva tale eccezione.

  3. Configurabilità del Tentativo di Rapina

    • Sanna e Mereu contestavano la qualificazione dei reati come "tentativi" anziché "desistenze volontarie".

    • Decisione: La Corte ha confermato la sussistenza del tentativo, evidenziando gli atti preparatori (sopralluoghi, organizzazione di armi e mezzi) che dimostravano l’intenzione criminosa.

  4. Violazione del Diritto di Difesa (Sanna)

    • Sanna lamentava di non aver avuto accesso a tutte le trascrizioni delle intercettazioni.

    • Decisione: La Corte ha rigettato l’eccezione, poiché la difesa aveva potuto ascoltare integralmente le registrazioni e richiedere specifiche integrazioni.

  5. Travisamento delle Prove

    • I ricorrenti denunciavano un’errata valutazione delle prove, tra cui l’attribuzione del soprannome "Toreddu" a Sanna.

    • Decisione: La Corte ha ritenuto la motivazione dei giudici di merito congrua e non viziata da illogicità.

  6. Partecipazione all’Associazione a Delinquere

    • Mereu e Fogu contestavano il loro coinvolgimento nell’associazione, sostenendo ruoli marginali.

    • Decisione: La Corte ha confermato le condanne, evidenziando la stabilità dei legami associativi e il contributo attivo dei ricorrenti (es. ospitalità nell’ovile di Sanna per riunioni).

  7. Mancata Concessione di Attenuanti Generiche

    • Mereu criticava l’eccessiva severità della pena.

    • Decisione: La Corte ha ritenuto legittimo il rigetto delle attenuanti, data la gravità dei reati e i precedenti penali.


Dispositivo Finale

La Corte Suprema di Cassazione ha rigettato tutti i ricorsi, confermando le condanne e condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


Punti Chiave

  • Competenza: Confermata la deroga alla competenza ordinaria per i reati di criminalità organizzata.

  • Prove: Le intercettazioni sono state ritenute valide e decisive per la condanna.

  • Ruoli nell’Associazione: Anche contributi apparentemente marginali sono stati considerati rilevanti per la partecipazione al sodalizio criminoso.

  • Controllo di Legittimità: La Corte ha ribadito di non poter sostituirsi ai giudici di merito nella valutazione delle prove, salvo vizi manifesti.





29 maggio 2025

Mancato pagamento pena pecuniaria- conversione in semilibertà- sospetta incostituzionalità.



Il Tribunale di Bologna ha promosso incidente di costituzionalità dell'art. 660 c.p.p. e dell'art. 102 l. 689/81, per violazione degli artt. 3, 13  e 27 cost., nella parte in cui prevedono che il mancato pagamento della pena pecuniaria entro il termine di 90 giorni dall'intimazione  “comporta la conversione nella semilibertà sostitutiva”, invece di stabilire che il mancato pagamento “comporta la conversione nella detenzione domiciliare sostitutiva” (ordinanza al link)

28 maggio 2025

Disciplinare: impossibilità di cancellarsi dall'albo in pendenza giudizio disciplinare. Incostituzionale.

 

Con ordinanza del 12 luglio 2024, la Corte di cassazione, sezioni unite civili, aveva sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 35 e 41 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 57 della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) che, in tema di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, dispone che «durante lo svolgimento del procedimento, dal giorno dell’invio degli atti al consiglio distrettuale di disciplina non può essere deliberata la cancellazione dall’albo». La questione era stata sollevata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione nell’ambito di un giudizio concernente il rigetto dell’istanza di cancellazione dall’albo, avanzata da un avvocato in considerazione delle gravi patologie che gli impedivano di svolgere la professione, rigetto motivato dall’Ordine forense in ragione della pendenza di diversi procedimenti disciplinari a suo carico.

La Corte costituzionale ha ritenuto fondata la censura di costituzionalità.  

Invero, il Giudice delle leggi, ha osservato che <<il divieto di cancellazione dall’albo, pur mirando a scongiurare il rischio che, con la rinuncia all’iscrizione, l’iniziativa disciplinare possa essere vanificata, comporta che, per l’intera durata del procedimento, l’avvocato non possa esercitare i diritti e le libertà di rango costituzionale – come la libertà di revocare l’adesione al gruppo professionale, il diritto di fruire di determinate prestazioni previdenziali o assistenziali per le quali la legge richiede la cancellazione, e la libertà di intraprendere una diversa attività lavorativa – che si esplicano attraverso la fuoriuscita dalla compagine professionale o che, comunque, la presuppongono>>, con conseguente violazione dell'art. 2 della Costituzione. 

La Corte ha poi ritenuto che <<la norma in esame confligge anche con l’articolo 4 della Costituzione, in quanto incide in maniera sproporzionata sulla libertà di lavoro dell’avvocato che richieda di cancellarsi dall’albo avendo intenzione di cessare l’esercizio della professione, ed eventualmente intraprendere una diversa attività lavorativa al cui svolgimento sia di ostacolo l’appartenenza all’ordine>>. 

Inoltre, se è pur vero – ha argomentato la Corte – che <<la disciplina in questione è funzionale al proficuo esercizio dell’azione disciplinare, il quale, a sua volta, è posto a presidio di interessi che trascendono la dimensione interna della categoria professionale per attingere valori primari della persona. Non di meno, tra le misure idonee a realizzare tale, pur legittimo, fine il divieto di cancellazione dall’albo non rappresenta la meno restrittiva possibile dei diritti fondamentali in potenziale tensione, così ponendosi in contrasto anche con l’articolo 3 della Costituzione>>(sentenza al link)


27 maggio 2025

Maltrattamenti in famiglia. La Corte dichiara illegittima l'obbligatorietà della sospensione responsabilità genitoriale

 


A fronte del disposto dell’articolo 34, secondo comma, del codice penale, secondo cui, in caso di condanna per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale, è automaticamente applicata anche la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta, la Corte costituzionale ha rilevato l'illegittima della previsione codicistica <<nella parte in cui non consente al giudice di valutare in concreto se – a seguito della condanna per il delitto di maltrattamenti in famiglia commesso, in presenza o a danno di minori, con abuso della responsabilità genitoriale (articolo 572, secondo comma, del codice penale) – corrisponda all’interesse del minore applicare anche la pena della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale>>(sentenza al link)

26 maggio 2025

Espulsione straniero detentuto. NESSUN AUTOMATISMO.


Il Tribunale di Sorveglianza di Palermo aveva sollevato qlc. dell'art. 16, comma 5,  del t.u. immigrazione, ritenendo che, salvo il ricorrere di talune condizioni ostative all'espulsione previste dal medesimo articolo, l'enunciato normativo preveda un automatismo espulsivo dello straniero detenuto, privo di un titolo abilitante al soggiorno in Italia.

La Corte Costituzionale dopo aver  rammentato che <<i presupposti per l’espulsione previsti dall’art. 16, comma 5, t.u. immigrazione sono cinque: a) lo stato detentivo; b) la durata della pena residua non superiore a due anni; c) l’identificazione certa del soggetto, tanto che, ai sensi del comma 6 del medesimo art. 16, non può procedersi all’espulsione di straniero non identificato; d) il fatto che la pena in corso di espiazione non sia stata irrogata per i delitti previsti dall’art. 12, commi 1, 3, 3-bis e 3-ter dello stesso testo unico, ovvero per uno o più delitti previsti dall’art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, fatta eccezione per quelli consumati o tentati di cui agli artt. 628, terzo comma, e 629, secondo comma, del codice penale; e) infine, l’irregolarità del soggiorno, dovendo lo straniero trovarsi in una delle condizioni previste dall’art. 13, comma 2, t.u. immigrazione, che legittimano l’espulsione amministrativa>>, ha precisato che NON sussiste alcun automatismo espulsivo, dovendo il magistrato di sorveglianza procedere a una ponderazione di interessi quanto agli effetti dell’eventuale espulsione sulle condizioni personali e familiari della persona interessata, la quale, giova ribadirlo, si trova in una condizione che ne imporrebbe, comunque, l’espulsione una volta espiata la pena.

22 maggio 2025

Corruzione – Pena accessoria per il corruttore – Interdizione perpetua dai pubblici uffici – Applicazione per fatti antecedenti all’entrata in vigore della l. n. 3 del 2019 – Illegalità della pena accessoria - Ragioni.

 



La Sesta Sezione penale, in tema di corruzione, ha affermato che costituisce pena accessoria illegale, in quanto inflitta al di fuori del paradigma normativo di cui all’art. 29 cod. pen., l’interdizione perpetua dai pubblici uffici disposta, ex art. 317-bis cod. pen., nei confronti del corruttore, per effetto di condanna per fatti commessi antecedentemente all’entrata in vigore della legge 9 gennaio 2019, n. 3.

21 maggio 2025

Ricorso straordinario per errore di fatto: la Corte ne precisa i contenuti

La Corte di cassazione, adita con ricorso straordinario ex art. 625 bis c.p.p., ha precisato che il modello dell'errore di fatto che legittima il ricorso straordinario è del tutto affine all'errore revocatorio di cui all'art. 391-bis cod. proc. civ., ed è riconoscibile dalla circostanza che la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa o che è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, in piena rispondenza col motivo di revocazione prefigurato dall'art. 395, n. 4, cod. proc.civ. (sentenza al link)


20 maggio 2025

Le fondamenta del diritto processuale: corrispondenza tra chiesto e pronunciato

 



La Quarta Sezione (sent. n. 15455/2025 al link) penale ha affermato che il giudice, in assenza della contestazione di un’aggravante, non può restituire gli atti al pubblico ministero, in quanto è inapplicabile la disciplina codicistica relativa al fatto diverso, né può ritenere esistente la circostanza non contestata in base agli atti, atteso che ciò gli è precluso dal disposto dell'art. 521, comma 1, cod. proc. pen., sicché deve limitarsi a pronunciare condanna per il fatto di reato non circostanziato, come di fatto contestato, dovendo essere considerata tamquam non esset un’aggravante non contestata all’imputato e quindi non oggetto di contraddittorio tra le parti.

19 maggio 2025

Benefici penitenziari per condannato ex art. 416 bis non collaborante, post riforma.

La Corte di legittimità ha precisato che, pur dopo la riforma dell'art. 4-bis, comma 1-bis, ord. pen. ad opera del d.l. n. 162/2022, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 199/2022 , <<la collaborazione con la giustizia non perde affatto la valenza di elemento decisivo per tracciare con certezza una linea di frattura tra il detenuto e le relazioni che lo legavano all’organizzazione criminale, ma nel mutato equilibrio non può trarsi l’inversa certezza della sussistenza attuale di tali legami solo in forza della mancata collaborazione con la giustizia. Pertanto tutti quegli elementi che possono aprire prospettive di risocializzazione per il detenuto, non collaborante ai sensi dell’art. 58-ter ord. pen., che ha commesso i reati di cui all’art. 4-bis ord. pen., richiedono approfondita verifica in punto di fatto e a seguito di opportuna istruttoria; e il provvedimento del Tribunale di sorveglianza deve renderne conto in una motivazione che esamini tutte le informazioni così assunte (allegate dall’istante o acquisite dal giudice), soppesandone la valenza indicativa della meritevolezza del detenuto rispetto al beneficio o alla misura alternativa richiesta>>(provvedimento al link).

16 maggio 2025

Patteggiamento e pene accessorie nei reati contro la P.A. - La Cassazione chiarisce i limiti del potere giudiziale - di Bonaventura Candido (*)


 

Avevamo dato atto del "fermento" intorno all'istituto - recte agli istituti - della pena concordata, con riferimento al versante delle pene accessorie, anticipando, quanto al concordato sui motivi di appello (L'impugnazione avverso il rigetto del concordato sui motivi di appello: decideranno le sezioni unite), la imminente decisione delle sezioni unite.

Pubblichiamo adesso questa interessante sentenza (Cass.Pen. Sez. VI, 1° aprile 2025 n. 15279, al linkcon il commento del collega Bonaventura Candido.

Con la sentenza n. 15279/2025 la Corte di cassazione ha chiarito il rapporto tra accordo di patteggiamento e potere del giudice, con particolare riferimento alle pene accessorie nei reati contro la P.A.

La pronuncia si sofferma sulla natura vincolante dell’accordo di patteggiamento, anche rispetto alle pene accessorie generali, sul rapporto tra norma generale (art. 29 c.p.) e norma speciale (art. 317 bis c.p.) e sui limiti costituzionali all’intervento del giudice.

***

Nel caso in esame un imputato, accusato di corruzione e finanziamento illecito ai partiti, aveva concordato con la Procura una pena finale di anni tre, mesi sette e giorni dieci di reclusione escludendo espressamente le pene accessorie previste dall’art. 317 bis c.p.

Il Tribunale di Messina pur accettando l’accordo, evidentemente ritenuto adeguato ai reati contestati e conforme a legge, aveva tuttavia imposto all’imputato anche l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici ex art. 29 c.p.

La difesa interponeva ricorso per cassazione (ex art. 606, comma 1, lett b) cpp) lamentando difetto di corrispondenza tra richiesta e sentenza e violazione di legge, in particolare del combinato disposto degli artt. 444 comma 3 bis c.p.p. e 29 c.p.

La VI Sez. della S.C. ha accolto il ricorso annullando senza rinvio l’impugnata sentenza, limitatamente alla pena accessoria dell’interdizione.

***

La S.C. ha anzitutto ribadito il principio secondo il quale è ammissibile (non operando in questo caso il disposto dell’art. 448, comma 2 bis c.p.p.) il ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamento allor quando si deduca violazione di legge con riferimento alle pene accessorie che non hanno formato oggetto dell’accordo tra le parti.

In merito all’unico motivo di ricorso ha, in sintesi, statuito che:

a) l’intervenuto accordo ex art. 444 cpp, se recepito, vincola il giudice anche rispetto alle pene accessorie;

b) ai sensi dell’art. 444, comma 3 bis c.p.p. il giudice che intende discostarsi dall’accordo sottoposto alla sua valutazione ha l’obbligo di rigettare la richiesta;

c) l’esclusione delle pene accessorie ex art. 317 bis c.p. non consente l’applicazione di quelle previste dall’art. 29 c.p.

Dal corretto coordinamento tra la norma generale sulle pene accessorie (art. 29 c.p.) e la norma speciale relativa ai reati conto la P.A. (art. 317 bis c.p.) la S.C. fa discendere il principio che nell’ambito di un accordo pattizio che preveda espressamente l’esclusione delle pene accessorie specifiche deve ritenersi ricompresa anche l’esclusione delle pene accessorie generali.

Il dictum è formulato in maniera tranciante, in continuità con la giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. Unite 21368/2020 – Savin e Sez. VI 49477/19 – Letizia), in coerenza con i principi generali in materia di lex specialis, con l’orientamento giurisprudenziale che tutela la lealtà processuale, il principio di legalità ed il diritto di difesa ed in linea con i principi espressi dagli artt. 25 e 111 Cost e 6 CEDU.

La sentenza de qua ribadisce con estrema chiarezza il ruolo della Cassazione nel garantire il rispetto delle regole procedurali anche nelle forme di giudizio “negoziato”, e conferma in modo inequivoco il principio che le decisioni in un procedimento di patteggiamento devono rispettare integralmente gli accordi tra le parti realizzandosi, in caso contrario, una sostanziale illegittima violazione del patto.

La S.C. ha così emendato l’errore di diritto in cui è incorso il Giudice di prime cure (dal P.G. qualificato nella propria requisitoria scritta quale probabile errore di distrazione !!) emettendo una decisione che, ponendosi nell’alveo del principio di legalità e dando corretta applicazione al dettato dell’art. 444 cpp, ha ribadito il ruolo fondamentale della certezza giuridica, rafforzando il valore della specialità della norma sull’interdizione dai pubblici uffici prevista dall’art. 317 bis c.p. rispetto alla disciplina generale dettata dall’art. 29 c.p.

Se ne trae una inequivocabile perimetrazione degli spazi di intervento del giudice nel giudizio ex art. 444 c.p.p. (un modello processuale “a formazione negoziata” che si colloca in posizione intermedia tra l’accordo privatistico e la decisione giudiziale) intervento che, pur presente, non ha carattere dispositivamente pieno: in questo ambito egli mantiene il potere-dovere di vigilare sulla legalità e congruità della pena, ma non può sostituirsi alle parti nell’elaborazione del trattamento sanzionatorio.

Le ragioni che hanno determinato l’annullamento della sentenza del Tribunale di Messina risiedono nell’accertato mancato rispetto di tre principi:

a) l’imputato ha diritto di prevedere esattamente le conseguenze giuridiche dell’accordo raggiunto;

b) il giudice non può imporre un trattamento sanzionatorio che alteri l’equilibrio negoziale, salvo rigettare l’accordo stesso;

c) l’imposizione di pene accessorie non previste equivale a sentenza “a sorpresa” e compromette il diritto di difesa ed il principio del contraddittorio.

Il punto più rilevante della pronuncia è, quindi, la tutela dell’efficacia del rito speciale.

In un sistema in cui si incentivano (o si assume di voler incentivare) i riti alternativi per favorire la deflazione processuale è indispensabile che l’affidamento dell’imputato sugli effetti dell’accordo sia protetto in modo pieno.

Qualora, infatti, il giudice avesse la facoltà di introdurre ex officio elementi sanzionatori più gravosi rispetto a quelli concordati, il patteggiamento perderebbe gran parte della sua attrattiva, in particolare nei procedimenti per i reati contro la P.A. dove le pene accessorie hanno un rilevante impatto afflittivo.

In definitiva con la più che condivisibile sentenza n. 15279/2025 si rafforza la portata pattizia del rito ex art. 444 c.p.p.; si ribadisce l’inviolabilità dell’accordo, anche in relazione alle pene accessorie; si conferma la centralità del principio di specialità nel diritto penale sanzionatorio e si tutela la certezza del diritto e l’equilibrio del sistema premiale.

Il superiore pronunciamento rappresenta un importante presidio di legalità, sostanziale e processuale, e nella materia trattata offre una chiave interpretativa chiara e rigorosa che si pone nel solco della coerenza tra diritto positivo e prassi giudiziaria e non consente al giudice di pronunziarsi al di là dell’approvazione, o meno, dell’accordo pattizio sottoposto alla sua valutazione.


(in foto) Avv. Bonaventura CandidoAvv. Foro di Messina - Cassazionista dal 2006 - Presidente (2020 – 2024) Camera Penale di Messina “Pisani – Amendolia” - Presidente (dal 2022) del Consiglio Distrettuale di Disciplina di Messina - Componente (dal 2018) Osservatorio Doppio Binario e Giusto Processo UCPI - Responsabile Regionale Dipartimento Giustizia F.I.



15 maggio 2025

Il Giudice, in qualunque modo ed in qualunque tempo venga a conoscenza della privazione della libertà dell'imputato, deve rinviare il processo

 

La quinta sezione di legittimità ha rilevato che <<qualora l'imputato sia detenuto o agli arresti domiciliari, o comunque sottoposto a limitazione della libertà personale che non gli consente la presenza in udienza, poiché in tali casi è in re ipsa il legittimo impedimento, il giudice, in qualunque modo ed in qualunque tempo venga a conoscenza dello stato di restrizione della libertà, anche in assenza di una richiesta dell'imputato, deve d'ufficio rinviare il processo ad una nuova udienza e disporre la traduzione dell'imputato, salvo che non vi sia stato un espresso rifiuto dell'imputato ad assistere all'udienza>>.

Tuttavia, in caso di soggetto ristretto per altra causa, il Giudice non è gravato da alcun onere di accertamento e pertanto, in mancanza di acquisizione al processo del dato della privazione della libertà, legittimamente si procede in assenza (sentenza al link)

14 maggio 2025

Delitto di circonvenzione di persone incapaci – Sottoscrizione di “patto di quota lite” – Configurabilità del reato – Condizioni – Ragioni.

 


La Seconda Sezione penale, in tema di delitti contro il patrimonio, ha affermato che la sottoscrizione, da parte della persona offesa, di un “patto di quota lite” sproporzionato per eccesso rispetto ai valori tariffari di riferimento integra l’atto ad effetto dannoso previsto dalla disposizione incriminatrice di cui all’art. 643 cod. pen., posto che il divieto del “patto di quota lite” tra avvocato e cliente si giustifica in funzione della disciplina del contenuto patrimoniale di un peculiare rapporto di opera intellettuale, per tutelare l’interesse del cliente e la dignità della professione forense.

13 maggio 2025

Concordato in appello: non si può impugnare con riguardo alla qualificazione giuridica.



A fronte di un ricorso con cui l'imputato impugnava la sentenza resa all'esito del concordato sui motivi di appello ex art. 599-bis cod. proc. pen., adducendo la errata qualificazione giuridica della fattispecie contestatagli, la Corte ha ritenuto inammissibile il mezzo di censura. 

A sostegno di tale statuizione, i giudici hanno osservato che <<l'accordo delle parti in ordine ai punti concordati implica la rinuncia a dedurre nel successivo giudizio di legittimità ogni diversa doglianza, anche se relativa a questione rilevabile di ufficio, con l'unica eccezione dell'irrogazione di una pena illegale>> .(sentenza al link)


12 maggio 2025

Istanza al tribunale di sorveglianza: condizioni per dichiarare de plano l'inammissibilità



La prima sezione di legittimità ha chiarito le condizioni per dichiarare de plano l’inammissibilità dell'istanza tesa a ottenere una misura alternativa. 

Al riguardo i giudici di legittimità hanno rilevato che <<in forza del disposto del comma 2 dell'art. 666 cod. proc. pen., la decisione di inammissibilità dell'istanza, con decreto motivato, è adottata de plano, sentito il pubblico ministero, quando "la richiesta appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge" ovvero quando essa "costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi". Configurandosi, dunque, l'inammissibilità disposta de plano in termini di eccezione alla regola generale del contraddittorio, la giurisprudenza di questa Corte ha ricostruito in termini tassativi e comunque rigorosi le condizioni che consentono l'adozione del relativo decreto. In questa prospettiva, si  è affermato che la richiesta debba essere identica, per oggetto e per elementi giustificativi, ad altra già rigettata ovvero che la valutazione di manifesta infondatezza non debba implicare alcun giudizio di merito e alcun apprezzamento discrezionale (Sez. 1, n. 32279 del 29/03/2018, dep. 13/07/2018, Focoso, Rv. 273714; Sez. 1, n. 53017 del 2/12/2014, Borachuk, Rv. 261662; Sez. 1, n. 35045 del 18/04/2013, Giuffrida, Rv. 257017)>>. (provvedimento al link) 

09 maggio 2025

Quando il Giudice dell'esecuzione può revocare la sospensione condizionale illegittimamente concessa.

 

La I sezione di legittimità ha affermato che <<il giudice dell'esecuzione deve revocare il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso in violazione dell'art. 164, quarto comma, cod. pen. in presenza di cause ostative solo se tali cause non erano documentalmente note al giudice della cognizione. A tal fine il giudice dell'esecuzione acquisisce, per la doverosa verifica al riguardo, il fascicolo del giudizio (Sez. U, n. 37345 del 23/04/2015, Longo, Rv. 264381)>> (sentenza al link).

08 maggio 2025

❌ULTIM'ORA❌ NON È INCOSTITUZIONALE L’ABROGAZIONE DEL REATO DI ABUSO D’UFFICIO


In esito all’udienza pubblica svoltasi ieri, la Corte ha esaminato in camera di consiglio le questioni di legittimità costituzionale sollevate da quattordici autorità giurisdizionali, tra cui la Corte di cassazione, sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio ad opera della legge numero 114 del 2024.

La Corte ha ritenuto ammissibili le sole questioni sollevate in riferimento agli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (la cosiddetta Convenzione di Merida).

Nel merito, la Corte ha dichiarato infondate tali questioni, ritenendo che dalla Convenzione non sia ricavabile né l’obbligo di prevedere il reato di abuso d’ufficio, né il divieto di abrogarlo ove già presente nell’ordinamento nazionale.

La motivazione della sentenza sarà pubblicata nelle prossime settimane.


Il comunicato della Corte




Recidiva: si tiene conto anche del reato estinto


La V sezione di legittimità ha affermato che <<l'estinzione del reato a seguito della sospensione condizionale della pena non elimina gli effetti penali della condanna, della quale deve, pertanto, tenersi conto ai fini della recidiva (Sez. 3, n. 5412 del 25/10/2019, dep. 2020, M., Rv 278575 - 01; Sez. 4, n. 45351 del 23/11/2010, Vidarte, Rv. 249069 - 01; Sez. 3, i. 28746 del 26/03/2015, Biasi, Rv. 264107 - 01)>>(sentenza al link).

07 maggio 2025

Concordato in appello: la rinuncia al motivo sulla prescrizione equivale a rinuncia alla prescrizione.




La III sezione della Corte di legittimità veniva adita dall'imputato, il quale censurava, per violazione di legge, la pronuncia con cui la Corte distrettuale aveva riformato la pena, accogliendo la proposta ex art. 599 bis c.p.p.. L'oggetto della censura era l' omessa declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, ai sensi dell'art. 129 cod. proc. pen., posto che la causa estintiva era maturata prima della sentenza distrettuale. All'uopo il ricorrente richiamava il principio espresso dalle Sezioni Unite, secondo cui «nei confronti della sentenza resa all'esito di concordato in appello è proponibile il ricorso per cassazione con cui si deduca l'omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza» (Sez. U n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, Fazio, Rv. 284481 - 01). 

La Corte regolatrice ha ritenuto inammissibile la censura, rilevando che il principio poc'anzi riportato non è applicabile nell'ipotesi in cui - come avvenuto nella fattispecie in esame - l'estinzione del reato per prescrizione abbia costituito uno dei motivi oggetto di rinuncia nell'ambito dell'accordo, raggiunto con il Procuratore Generale, ai sensi dell'art. 599-bis cod. proc.. Al riguardo i giudici di legittimità hanno richiamato dei precedenti secondo cui la rinuncia al motivo di appello relativo all'intervenuta estinzione del reato, è da intendersi, quindi, come rinuncia espressa alla prescrizione, ai sensi dell'art. 157, comma settimo, cod. pen. (sentenza al link)

 


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