Avevamo dato atto del "fermento" intorno all'istituto - recte agli istituti - della pena concordata, con riferimento al versante delle pene accessorie, anticipando, quanto al concordato sui motivi di appello (L'impugnazione avverso il rigetto del concordato sui motivi di appello: decideranno le sezioni unite), la imminente decisione delle sezioni unite.
Pubblichiamo adesso questa interessante sentenza (Cass.Pen. Sez. VI, 1° aprile 2025 n. 15279, al link) con il commento del collega Bonaventura Candido.
Con la sentenza n. 15279/2025 la Corte di cassazione ha chiarito il rapporto tra accordo di patteggiamento e potere del giudice, con particolare riferimento alle pene accessorie nei reati contro la P.A.
La pronuncia si sofferma sulla natura vincolante dell’accordo di patteggiamento, anche rispetto alle pene accessorie generali, sul rapporto tra norma generale (art. 29 c.p.) e norma speciale (art. 317 bis c.p.) e sui limiti costituzionali all’intervento del giudice.
***
Nel caso in esame un imputato, accusato di corruzione e finanziamento illecito ai partiti, aveva concordato con la Procura una pena finale di anni tre, mesi sette e giorni dieci di reclusione escludendo espressamente le pene accessorie previste dall’art. 317 bis c.p.
Il Tribunale di Messina pur accettando l’accordo, evidentemente ritenuto adeguato ai reati contestati e conforme a legge, aveva tuttavia imposto all’imputato anche l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici ex art. 29 c.p.
La difesa interponeva ricorso per cassazione (ex art. 606, comma 1, lett b) cpp) lamentando difetto di corrispondenza tra richiesta e sentenza e violazione di legge, in particolare del combinato disposto degli artt. 444 comma 3 bis c.p.p. e 29 c.p.
La VI Sez. della S.C. ha accolto il ricorso annullando senza rinvio l’impugnata sentenza, limitatamente alla pena accessoria dell’interdizione.
***
La S.C. ha anzitutto ribadito il principio secondo il quale è ammissibile (non operando in questo caso il disposto dell’art. 448, comma 2 bis c.p.p.) il ricorso per cassazione avverso una sentenza di patteggiamento allor quando si deduca violazione di legge con riferimento alle pene accessorie che non hanno formato oggetto dell’accordo tra le parti.
In merito all’unico motivo di ricorso ha, in sintesi, statuito che:
a) l’intervenuto accordo ex art. 444 cpp, se recepito, vincola il giudice anche rispetto alle pene accessorie;
b) ai sensi dell’art. 444, comma 3 bis c.p.p. il giudice che intende discostarsi dall’accordo sottoposto alla sua valutazione ha l’obbligo di rigettare la richiesta;
c) l’esclusione delle pene accessorie ex art. 317 bis c.p. non consente l’applicazione di quelle previste dall’art. 29 c.p.
Dal corretto coordinamento tra la norma generale sulle pene accessorie (art. 29 c.p.) e la norma speciale relativa ai reati conto la P.A. (art. 317 bis c.p.) la S.C. fa discendere il principio che nell’ambito di un accordo pattizio che preveda espressamente l’esclusione delle pene accessorie specifiche deve ritenersi ricompresa anche l’esclusione delle pene accessorie generali.
Il dictum è formulato in maniera tranciante, in continuità con la giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. Unite 21368/2020 – Savin e Sez. VI 49477/19 – Letizia), in coerenza con i principi generali in materia di lex specialis, con l’orientamento giurisprudenziale che tutela la lealtà processuale, il principio di legalità ed il diritto di difesa ed in linea con i principi espressi dagli artt. 25 e 111 Cost e 6 CEDU.
La sentenza de qua ribadisce con estrema chiarezza il ruolo della Cassazione nel garantire il rispetto delle regole procedurali anche nelle forme di giudizio “negoziato”, e conferma in modo inequivoco il principio che le decisioni in un procedimento di patteggiamento devono rispettare integralmente gli accordi tra le parti realizzandosi, in caso contrario, una sostanziale illegittima violazione del patto.
La S.C. ha così emendato l’errore di diritto in cui è incorso il Giudice di prime cure (dal P.G. qualificato nella propria requisitoria scritta quale probabile errore di distrazione !!) emettendo una decisione che, ponendosi nell’alveo del principio di legalità e dando corretta applicazione al dettato dell’art. 444 cpp, ha ribadito il ruolo fondamentale della certezza giuridica, rafforzando il valore della specialità della norma sull’interdizione dai pubblici uffici prevista dall’art. 317 bis c.p. rispetto alla disciplina generale dettata dall’art. 29 c.p.
Se ne trae una inequivocabile perimetrazione degli spazi di intervento del giudice nel giudizio ex art. 444 c.p.p. (un modello processuale “a formazione negoziata” che si colloca in posizione intermedia tra l’accordo privatistico e la decisione giudiziale) intervento che, pur presente, non ha carattere dispositivamente pieno: in questo ambito egli mantiene il potere-dovere di vigilare sulla legalità e congruità della pena, ma non può sostituirsi alle parti nell’elaborazione del trattamento sanzionatorio.
Le ragioni che hanno determinato l’annullamento della sentenza del Tribunale di Messina risiedono nell’accertato mancato rispetto di tre principi:
a) l’imputato ha diritto di prevedere esattamente le conseguenze giuridiche dell’accordo raggiunto;
b) il giudice non può imporre un trattamento sanzionatorio che alteri l’equilibrio negoziale, salvo rigettare l’accordo stesso;
c) l’imposizione di pene accessorie non previste equivale a sentenza “a sorpresa” e compromette il diritto di difesa ed il principio del contraddittorio.
Il punto più rilevante della pronuncia è, quindi, la tutela dell’efficacia del rito speciale.
In un sistema in cui si incentivano (o si assume di voler incentivare) i riti alternativi per favorire la deflazione processuale è indispensabile che l’affidamento dell’imputato sugli effetti dell’accordo sia protetto in modo pieno.
Qualora, infatti, il giudice avesse la facoltà di introdurre ex officio elementi sanzionatori più gravosi rispetto a quelli concordati, il patteggiamento perderebbe gran parte della sua attrattiva, in particolare nei procedimenti per i reati contro la P.A. dove le pene accessorie hanno un rilevante impatto afflittivo.
In definitiva con la più che condivisibile sentenza n. 15279/2025 si rafforza la portata pattizia del rito ex art. 444 c.p.p.; si ribadisce l’inviolabilità dell’accordo, anche in relazione alle pene accessorie; si conferma la centralità del principio di specialità nel diritto penale sanzionatorio e si tutela la certezza del diritto e l’equilibrio del sistema premiale.
Il superiore pronunciamento rappresenta un importante presidio di legalità, sostanziale e processuale, e nella materia trattata offre una chiave interpretativa chiara e rigorosa che si pone nel solco della coerenza tra diritto positivo e prassi giudiziaria e non consente al giudice di pronunziarsi al di là dell’approvazione, o meno, dell’accordo pattizio sottoposto alla sua valutazione.
(in foto) Avv. Bonaventura Candido - Avv. Foro di Messina - Cassazionista dal 2006 - Presidente (2020 – 2024) Camera Penale di Messina “Pisani – Amendolia” - Presidente (dal 2022) del Consiglio Distrettuale di Disciplina di Messina - Componente (dal 2018) Osservatorio Doppio Binario e Giusto Processo UCPI - Responsabile Regionale Dipartimento Giustizia F.I.