30 aprile 2025

Pene sostitutive due anni dopo: aumentano, ma gli obiettivi sono lontani.

Il Ministero della giustizia ha pubblicato i dati definitivi (convalidati) inerenti gli adulti in area penale esterna al 31.12.2024 (Relazione al link)

Particolare attenzione meritano le statistiche inerenti le pene sostitutive delle c.d. pene detentive brevi, a due anni dalla loro introduzione tra le sanzioni previste dal Codice penale. 

Anzitutto deve rilevarsi che il dato al 31.12.2024 mostra un sensibile incremento dei soggetti in area penale esterna per pene sostitutive rispetto a quelli presenti al 31.12.2023: il numero di costoro è passato da 1816 a 5200.  Detto che in considerazione dell'oggetto del documento ("adulti in area penale esterna") non sono indicati i condannati la cui pena detentiva sia stata sostituita con la sanzione pecuniaria, si può notare che la semilibertà sostituiva riguarda appena 17 persone, mentre la detenzione domiciliare afferisce 1065 soggetti. Più consistenti, com’era prevedibile, sono invece i numeri che si riferiscono al lavoro di pubblica utilità sostitutivo, che interessa 4118 persone.    

A fronte di questi numeri, v'è da chiedersi se le pene sostitutive lascino intravedere la possibilità di raggiungere gli obiettivi auspicati in sede di c.d. Riforma Cartabia, in particolare, per limitarsi all'impatto sull'area della esecuzione penale, quello di ridurre il numero di detenuti per pene detentive brevi e dei c.d. liberi sospesi. 

In tal senso, si rammenti, per ciò che attiene alla esecuzione intramuraria, che la Relazione illustrativa alla Riforma aveva considerato come <<nella prospettiva del carcere, afflitto da strutturali problemi di sovraffollamento, la riforma delle pene sostitutive promette un significativo impatto, concorrendo alla riduzione del numero dei detenuti per pene brevi>>. 

Orbene, è evidente che per scrutinare l'impatto sul mondo carcerario delle pene sostitutive non ci si può limitare a considerare il numero complessivo dei condannati in stato di detenzione, passati dai 37.631 del 2021 (anno preso in considerazione dalla Relazione illustrativa) ai 46.232 del 31.12.2024; il raffronto andrebbe piuttosto condotto con riferimento  ai dati inerenti i soli condannati in espiazione muraria per pene fino ai 4 anni. Ma tale analisi non è agevole, infatti la Relazione illustrativa, secondo cui al 2021 i detenuti per pene inflitte in misura inferiore a quattro anni erano pari al 29,9%, fruiva di dati specifici, lì dove, invece, il dato pubblico al 31.12.2024 offre un indice aggregato per i detenuti condannati a pena tra 3 e 5 anni (detenuti presenti per pena inflitta al link)Neppure il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale sembra avere il dato di interesse (Report analitico al link)

A tal punto, per giungere ad un raffronto su entità di pene omogenee non resta che calcolare la percentuale di detenuti presenti al 31.12.2021 con pena fino a 5 anni e poi compararla con quella dei carcerati con la medesima pena inflitta al 31.12.2024. Tale raffronto consegna una percentuale in crescita dal 41.19% del 2021, all'attuale 42,82% dei carcerati.

All'esito di tale indagine, pur con le avvertenze di cui sopra, pare di potersi affermare che le pene sostitutive non abbiano inciso, non soltanto sul numero complessivo di detenuti, ma neppure su quello dei carcerati chiamati a scontare pene detentive c.d. brevi.

Il ricorso alle pene sostitutive, per come ricordato dall'attuale Ministro della giustizia, nel corso di un'interrogazione parlamentare, avrebbe dovuto ridurre il fenomeno dei c.d. liberi sospesi (interrogazione al link).

Tuttavia, e ancora una volta, non è agevole constatare in modo definitivo se il numero di istanze pendenti avanti ai Tribunali di sorveglianza si sia ridotto nel corso dell'ultimo biennio. Invero difettano statistiche pubbliche. In ogni caso, in occasione dell' interrogazione parlamentare poc'anzi citata, è emerso che in epoca coeva all'entrata in vigore della Cartabia (recte: al 13.12.2022) vi erano ben 90.120 "liberi sospesi". Tale numero, a prestar fede ad uno studioso attento, quale Fabio Fiorentin, pare cresciuto, potendosi al 2024, stimare, per difetto, intorno alle 100.000 unità  (F. Fiorentin "I liberi sospesi tra criticità presenti e prospettive di riforma" in Sistema penale).

In sintesi, come già avvenuto per altre misure, non pare che le pene sostitutive siano in grado di ridurre il numero di detenuti e neppure quello dei liberi sospesi.

Verosimilmente è radicalmente da ripensare il modello delle pene edittali: il sistema carcerocentrico deve essere superato, invertendo il rapporto tra le sanzioni non detentive e quelle detentive.      

       

   


29 aprile 2025

L'impugnazione avverso il rigetto del concordato sui motivi di appello: decideranno le sezioni unite




Anticipiamo che pende alle sezione unite, e sarà decisa all'udienza del 10 luglio prossimo, la seguente questione:

Se avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di concordato sui motivi avanzata ex art. 599-bis cod. proc. pen. sia proponibile ricorso per cassazione unitamente alla sentenza che definisce il giudizio di appello.



Approfondimento

La difesa ha proposto un concordato ex art. 599-bis c.p.p. in appello, chiedendo una riduzione della pena, ma la Corte d’Appello ha respinto l’istanza ritenendo la pena proposta "non congrua".

Punti chiave del ricorso in Cassazione:

  1. Impugnabilità del rigetto del concordato: La difesa contesta la decisione di rigetto, sostenendo che:

    • La Corte d’Appello avrebbe dovuto comunicare preventivamente le ragioni del diniego per consentire una rimodulazione dell’accordo.

    • Il rigetto priva l’imputato di un trattamento sanzionatorio favorevole, ledendo il diritto di difesa.

  2. Contrasto giurisprudenziale:

    • Primo orientamento (favorevole all’impugnabilità): Il rigetto del concordato è ricorribile in Cassazione, poiché incide sul diritto di difesa e sul beneficio premiale dell’istituto (es. Sez. II, III, VI della Cassazione).

    • Secondo orientamento (contrario all’impugnabilità): L’imputato non ha interesse a impugnare, poiché il processo riprende in forma ordinaria, consentendogli di difendersi su tutti i motivi (es. Sez. I, II, IV, VI della Cassazione).

Decisione della Corte di Cassazione:
Rilevata la sussistenza di un contrasto interpretativo, la Seconda Sezione Penale ha rimesso la questione alle Sezioni Unite per chiarire se l’ordinanza di rigetto del concordato in appello sia impugnabile unitamente alla sentenza definitiva.

Termini della questione alle Sezioni Unite:
«Se avverso l’ordinanza della corte di appello che respinga la richiesta di concordato ex art. 599-bis c.p.p. sia proponibile ricorso per cassazione unitamente alla sentenza che definisce il secondo grado di giudizio».


28 aprile 2025

Procedimento per delitti contro la pubblica amministrazione indicati all’art. 317-bis cod. pen. – Accordo subordinato, ex art. 444, comma 3-bis, cod. proc. pen., all’esenzione dalle pene accessorie – Possibilità per il giudice di considerare non apposta la condizione – Esclusione – Conseguenze.


 


La Sesta Sezione penale, in tema di patteggiamento, ha affermato che, nel caso in cui si proceda per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione indicati all’art. 317-bis cod. pen. e la pena detentiva concordata non ecceda i due anni di reclusione, il giudice, ove la richiesta sia stata subordinata, ex art. 444, comma 3-bis, cod. proc. pen., all’esenzione dalle pene accessorie, non può considerare la condizione non apposta e ratificare l’accordo nella parte residua, infliggendo, ex officio, dette pene, ma è tenuto a rigettare la pattuizione nella sua interezza.

La sentenza Cass. Pen., sez. VI n. 12309/2025 al link

23 aprile 2025

L'ordinanza con cui si respinge l'eccezione di incompatibilità non è autonomamente impugnabile

A fronte di un ricorso per cassazione avverso un'ordinanza emessa dal Tribunale, con la quale il giudice a quo ha rigettato l'istanza dei difensori degli imputati che ne avevano eccepito l'incompatibilità, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il provvedimento non è impugnabile. Infatti, per i supremi giudici <<l'ordinanza in esame avrebbe dovuto, ..., essere impugnata, a norma dell'art. 586 cod. proc. pen., congiuntamente alla sentenza. I ricorrenti, viceversa, hanno impugnato un'ordinanza endoprocessuale, emessa nel corso del dibattimento, con cui i giudice a quo ha escluso la richiesta di rilevare una causa di incompatibilità ai sensi dell'art. 34 cod. proc. pen., onde il ricorso è inammissibile>>(pronunzia al link) 

22 aprile 2025

Suicidi in carcere: la Cedu condanna l'Armenia, ma la pronuncia "parla" anche all'Italia.


La V sezione della CEDU, chiamata a pronunciarsi nel CASE OF PETROSYAN v. ARMENIA, a fronte di un suicidio in carcere di un detenuto, ha condannato l'Armenia per violazione dell'art. 2 della Convenzione, a mente del quale "Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge".

E' d'interesse osservare che la Corte ha rilevato come le Autorità abbiano un dovere di protezione dei detenuti, dovendo rispondere di quanto gli accada in carcere, in particolare in caso di morte (<<...persons in custody are in a vulnerable position and that the authorities are under a duty to protect them. It is incumbent on the State to account for any injuries suffered in custody – an obligation that is particularly stringent when an individual dies.) 

La Corte ha peraltro specificato che, ove gli stati pongano in carcere perosne affette da malattie mentali dovranno garantire loro condizioni corrispondenti ai bisogni correlati alle loro patologie (<<As regards mentally ill persons in particular, the Court has considered them to be particularly vulnerable. Where the authorities decide to place and keep in detention a person suffering from a mental illness, they should demonstrate special care in guaranteeing such conditions as correspond to the person’s special needs resulting from his or her disability>>).

Si tratta di un evidente monito per il nostro paese. 

(pronuncia CEDU al link)


18 aprile 2025

Map e art. 73 comma 5: il tribunale di Padova rimette gli atti alla corte costituzionale sulla preclusione - di Benedetto Ruggirello e Salvatore Rapidardi






Gli Autori esaminano la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale monocratico di Padova (ce ne siamo occupati al link, pubblicando l’ordinanza di rimessione) riguardo all'applicabilità del procedimento di sospensione con messa alla prova per il delitto di cui all'art. 73, comma V, del DPR 309/1990. La questione, che sarà esaminata dalla Corte Costituzionale nei prossimi mesi (11 giugno prossimo), verte sulla possibile violazione degli articoli 3 (uguaglianza) e 27 (rieducazione della pena) della Costituzione, a causa dell'esclusione di tale reato dall'elenco delle fattispecie per cui è ammessa la messa alla prova.

1. Contesto normativo: 
- Il D.L. 123/2023 ha innalzato a 5 anni la pena massima per il reato di cui all'art. 73, comma V, DPR 309/1990 (detenzione di sostanze stupefacenti), senza modificare l'art. 550, comma II, c.p.p., che regola l'accesso alla messa alla prova. Ciò preclude automaticamente l'utilizzo del rito per tale reato, anche in casi di lieve entità.

2. Violazione dei principi costituzionali:
- Il Tribunale di Padova ritiene irragionevole l'esclusione di questo reato dalla messa alla prova, soprattutto perché reati più gravi (come l'art. 82 DPR 309/1990, istigazione all'uso di stupefacenti) sono invece inclusi. Ciò creerebbe una disparità di trattamento contraria al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.).

3. Effetti della recente riforma:
- La modifica del 2023 ha aggravato la situazione, rendendo impossibile l'accesso alla messa alla prova per un reato con pena massima di 5 anni, mentre la misura è concessibile per reati con pene inferiori. Il Tribunale critica questa scelta come arbitraria e incoerente con la politica criminale dello Stato.

4. Richieste e implicazioni:
- Il Tribunale chiede alla Corte Costituzionale di emettere una sentenza "additiva" per includere il reato di cui all'art. 73, comma V, DPR 309/1990 tra quelli ammissibili alla messa alla prova. Una decisione favorevole avrebbe impatti significativi, specialmente per imputati giovani, incensurati e con condotte di lieve entità.

Conclusione:
La pronuncia della Corte Costituzionale sarà cruciale per garantire coerenza nel sistema penale e tutelare i diritti degli imputati, soprattutto in casi di minore gravità. La questione solleva importanti riflessioni sul bilanciamento tra giustizia penale e principi costituzionali di uguaglianza e rieducazione.


Approfondimento (di Benedetto Ruggirello e Salvatore Rapisardi)

Sarà decisa dalla Consulta, nei prossimi mesi (11 giugno 2025), una rilevantissima questione che attiene all’esperibilità del procedimento di sospensione con messa alla prova nel caso di imputazione per il delitto di cui all’art. 73, comma V, d.p.r. 309/1990.

In data 24.05.2024, difatti, il Tribunale monocratico di Padova, chiamato a giudicare un imputato per la fattispecie delittuosa sopra delineata, compulsato all’uopo dalla difesa dell’imputato decideva di sollevare questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dagli art. 168 bis c.p., 550 c.p.p. e 73, comma V, DPR 309/1990, con riferimento agli art. 3 e 27 Cost.

Più nello specifico, il Tribunale, convalidato l’arresto in flagranza e chiamato a pronunziarsi sulla richiesta di ammissione al rito speciale della messa alla prova, sulla scia anche dell’eccepita illegittimità costituzionale dell’art. 168 bis c.p. che, nell’attuale formulazione, priverebbe l’imputato dell’accesso al rito, riteneva ammissibile e fondata l’eccezione, sulla scia delle seguenti considerazioni.

Rilevava il Tribunale che la modifica operata dal D.L. 123/2023 all’art. 73, comma V, DPR 309/1990, avendo elevato a 5 anni il limite massimo di pena per detta ipotesi delittuosa avrebbe precluso all’imputato l’adesione al predetto rito, dato che, contestualmente, non era stato modificato il comma II dell’art. 550 c.p.p., che, come è noto, enuclea tutte le ipotesi in cui l’azione penale deve essere esercitata con citazione diretta a giudizio.

Ed invero, la mancata inclusione della fattispecie delittuosa di cui all’art. 73, comma V, DPR 309/1990 tra le ipotesi di citazione diretta a giudizio, unita al già delineato limite massimo edittale, funge da preclusione assoluta per l’accesso al rito, anche in ipotesi di condotte di detenzione particolarmente lievi.

In ordine al requisito della non manifesta infondatezza, il Tribunale patavino osservava che risulterebbe violato il principio di uguaglianza e ragionevolezza, dato che il D.LGS. 150 del 2022 aveva notevolmente ampliato il novero dei reati per i quali era prevista l’astratta possibilità di adire il procedimento di cui all’art. 168 bis c.p.

Tra detti reati era stato annoverato anche quello di cui all’art. 82 DPR 309/1990, ossia la pubblica istigazione o il proselitismo all’uso illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, condotta questa punita dal legislatore con pena da uno a sei anni e con la multa.

Notava il Tribunale remittente come, innanzi a condotte lesive dello stesso bene giuridico, di cui la seconda era considerata ancor più grave di quella di cui all’art. 73, comma V, DPR 309/1990, appare irragionevole l’esclusione dall’elencazione di cui all’art. 550, comma II, c.p.p. del delitto sanzionato meno severamente, pur in presenza, al contrario, di un reato dallo stesso legislatore ritenuto più grave.

Concludeva, inoltre, che era stata proprio la novella legislativa del 2023 (successiva alla riforma Cartabia del 2022) a produrre l’effetto preclusivo, in conseguenza dell’innalzamento del massimo edittale ad anni 5, in misura, pertanto, superiore alla pena massima per cui la misura sarebbe concedibile.

Per il Tribunale veneto trattasi di scelta arbitraria e non discrezionale e, comunque, denotativa di mancanza di omogeneità in tema di politica criminale dello Stato.

In buona sostanza, parrebbe che il Tribunale remittente abbia invocato l’emissione di una sentenza additiva al Giudice delle leggi, in modo da includere nella lettera C) dell’art. 550 c.p.p.anche la fattispecie di cui all’art. 73, comma V, DPR 309/1990.

Il pronunciamento della Corte, che dovrebbe avvenire a breve, rivestirà importanza rilevantissima data la frequenza di imputazioni per il titolo di reato previsto e punito da quest’ultima disposizione normativa.

Gli effetti potrebbero essere rilevantissimi, specialmente in casi di imputati giovanissimi, incensurati e con condotte addebitate di particolare tenuità.

Benedetto Ruggirello - 
Conseguita la maturità classica presso il liceo Leonardo Ximenesdi Trapani, si laurea presso l’Università di Palermo nell’anno 2005 e si specializza in professioni legali nell’anno 2007 presso il medesimo ateneo.

Al termine del biennio di pratica forense, consegue, nel 2008, l’abilitazione all’esercizio della professione forense e si iscrive all’albo degli avvocati di Trapani nel gennaio 2010.

Dal 2024 è abilitato all’esercizio presso le giurisdizioni superiori e si occupa, quotidianamente, di tematiche afferenti, tanto il diritto civile, quanto il penale



Salvatore Rapisardi -Conseguita la maturità scientifica presso il liceo Vincenzo Fardella di Trapani, si laurea presso l’Università di Palermo nell’anno 2012.

Al termine del biennio di pratica forense, consegue, nel 2015, l’abilitazione all’esercizio della professione forense e si iscrive all’albo degli avvocati di Trapani nel gennaio 2016.

Si occupa, quotidianamente, di tematiche afferenti, tanto il diritto civile, quanto il penale.

17 aprile 2025

Esclusione dell'aggravante mafiosa: competenza in bilico. Le Sezioni Unite al bivio tra libertà e giudice naturale

 


Anticipiamo che pende alle sezione unite, e sarà decisa all'udienza del 26 giugno prossimo, la seguente questione:

Se l'esclusione della gravità indiziaria limitatamente ai reati o alle circostanze aggravanti da cui discende la competenza del giudice per le indagini preliminari distrettuale ex artt. 51, comma 3-bis, e 328, comma 1-bis, cod. proc. pen. legittimi una pronuncia declinatoria di competenza



Approfondimento

Contesto 
  • F. M.  è stato sottoposto a custodia cautelare dal GIP (Giudice delle Indagini Preliminari) di Catania per due episodi di tentata estorsione aggravata (art. 416-bis1 c.p.), con l’aggravante di metodo mafioso.

  • Il Tribunale del Riesame ha escluso la gravità indiziaria per il primo capo d’imputazione e l’aggravante mafiosa per il secondo, mantenendo però la custodia cautelare.

  • La difesa ha sollevato eccezione di incompetenza del GIP distrettuale di Catania, sostenendo che, venute meno le circostanze che ne determinavano la competenza (reati catalogati nell’art. 51 comma 3-bis c.p.p.), gli atti dovessero essere trasmessi al GIP territorialmente competente (Ragusa).


Questioni 

Il contrasto riguarda l’interpretazione degli art. 51 comma 3-bis e 328 comma 1-bis c.p.p., che attribuiscono competenza al GIP distrettuale per reati gravi (es. mafia). Si discute se l’esclusione, in sede cautelare, di elementi che determinano tale competenza (es. aggravante mafiosa) renda il giudice incompetente, obbligando a trasmettere gli atti al giudice territoriale.


Orientamenti contrastanti

  1. Primo orientamento (maggioritario):

    • La competenza del GIP distrettuale si determina in base alla prospettazione iniziale del PM, indipendentemente dalle successive valutazioni sulla fondatezza dell’accusa o sulla gravità indiziaria.

    • Si applica il principio della perpetuatio jurisdictionis: la competenza, una volta radicata, non viene meno per modifiche successive (es. esclusione di un’aggravante).

    • Fonte: Sentenze Sez. 6 n. 5644/2023 (Orecchio) e altre pronunce analoghe.

  2. Secondo orientamento (minoritario):

    • Se il giudice del riesame esclude elementi che fondano la competenza distrettuale (es. aggravante mafiosa), deve dichiarare l’incompetenza e trasmettere gli atti al giudice territoriale, applicando l’art. 27 c.p.p. (urgenza).

    • Fondato sul principio del giudice naturale precostituito (art. 25 Cost.) e sulla sentenza delle Sezioni Unite Giacobbe (2020).

    • Fonte: Sentenze Sez. 1 n. 32956/2022 (Fall) e recenti pronunce della Sezione 2 (es. Gurrieri, 2025).


Decisione della Corte

La Corte rileva un contrasto giurisprudenziale tra le sezioni semplici sulla questione. Pertanto, rimette alle Sezioni Unite la seguente questione:

“Se l’esclusione della gravità indiziaria limitatamente ai reati o alle circostanze aggravanti da cui discende la competenza del GIP distrettuale ex art. 51 comma 3-bis e 328 comma 1-bis c.p.p., legittimi una pronuncia declinatoria di competenza”.




16 aprile 2025

La Corte di appello di Firenze solleva qlc dell'art. 59 l. 689/81, per la preclusione delle pene sostituive agli imputati per reati 4 bis o.p.


La Corte distrettuale in epigrafe ha sollevato una questione di legttimità costituzionale dell'art. 59 comma 1, lett. d), legge 689/81, come novellato dalla riforma Cartabia, nella misura in cui preclude la sostituzione della pena detentiva con pene sostituitive nei confronti del imputato condannato per i reati di cui all'art. 4-bis L. 354/1975, salvo che sia riconosciuta l'attenuante di cui all'art. art. 323-bis c.p..

Ad avviso dei Giudici toscani la norma censurata, introducendo una presunzione legale - per determinati reati- di inidoneità della pena sostituiva a realizzare gli obiettivi di rieducazione del condannato e di prevenzione del pericolo di recidiva,  viola gli artt. 76 Cost.(per eccesso di delega), 3 ( per lesione del principio di uguaglianza) e 27 comma 3 (poichè impedisce al giudice di individuare la sanzione più adeguata al caso specifico).(ordinanza al link)

La Corte ha calendato l'udienza di trattazione al prossimo 25.06.


15 aprile 2025

Il soggetto in cautela non ha diritto ad essere tradotto per partecipare, come parte civile, al processo

La VI sezione di legittimità, investita di un'istanza finalizzata ad allontanarsi dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, per partecipare ad un'udienza quale parte civile, ha rigettato la richiesta poiché tale parte è rappresentata dal difensore (art. 100 cod. proc. pen.). I giudici di legittimità non hanno ritenuto accoglibile l' istanza neppure sotto il profilo della partecipazione ad un'udienza innanzi alla medesima Corte di cassazione, per decidere sulla impugnazione avverso il provvedimento di consegna in tema di MAE. Al riguardo i giudici di legittimità hanno precisato che avverso la decisione sulla consegna, prima della riforma del d.lgs. n. 10 del 2021 (Sez. 6, n. 35818 del 10/12/2020, Tamimi, Rv. 280114), nella fase del giudizio che si svolge dinanzi alla Corte regolatrice, qualunque sia la forma procedimentale adottata, le parti sono rappresentate dai difensori.  ordinanza al link

14 aprile 2025

La VI sezione richiama i principi in tema di ragionevole dubbio

La VI sezione della Corte di legittimità ha richiamato alcuni principi in tema della regola di giudizio compendiata nella formula "al di là di ogni ragionevole dubbio". 

I Giudici di legittimità hanno, invero, precisato che la regola di cui all'art. 533 c.p.p.  <<consente di pronunciare sentenza di condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto ricostruzioni alternative costituenti eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 3, n. 5602 del 21/1/2021, Rv. 281647; Sez. 5, n. 1282 del 12/11/2018, dep. 2019, Segreto, Rv. 275299; Sez. 1, n. 17921 del 03/03/2010, Giampà, Rv. 247449)>>.

Al riguardo la sezione menzionato ha rammentato che <<le Sezioni Unite hanno... statuito che il canone dell'oltre ogni ragionevole dubbio, per la sua immediata derivazione dal principio della presunzione di innocenza, esplica i suoi effetti conformativi non solo sull'applicazione delle regole di giudizio, ma anche, e più in generale, sui metodi di accertamento del fatto, imponendo protocolli logici del tutto diversi in tema di valutazione delle prove e delle contrapposte ipotesi ricostruttive in ordine alla fondatezza del tema d'accusa: la certezza della colpevolezza per la pronuncia di condanna, il dubbio originato dalla mera plausibilità processuale di una ricostruzione alternativa del fatto per l'assoluzione (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430, in motivazione). Si tratta, dunque, sia di una regola di giudizio, che definisce lo standard probatorio necessario per pervenire alla condanna dell'imputato, escludendo l'utilizzabilità di criteri alternativi di giudizio, quali "la consistente verosimiglianza" o la forte plausibilità" della ricostruzione adottata, sia di un metodo dialettico di accertamento del fatto, che obbliga il giudice a sottoporre, nella valutazione delle prove, la tesi accusatoria alle confutazioni costituite dalle ricostruzioni antagoniste prospettate dalle difese (cfr. Sez. 6, n. 45506 del 27/04/2023, Bagarella, Rv. 285548 - 15; Sez. 1, n. 41110 del 24/10/2011, Jvad, Rv. 251507)>>.

Da quanto sopra, i giudici di legittimità hanno ricavato che grava sul giudice  <<l'onere di individuare gli elementi di conferma dell'ipotesi accusatoria accolta, in modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla prospettazione alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su un'ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile (cfr. Sez. 6, n. 10093 del 5/12/2018, dep. 2019, Esposito, Rv. 275290; Sez. 4, n. 22257 del 25/3/2014, Guernelli, Rv. 259204). In questo articolato contesto, la regola di giudizio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio pretende percorsi epistemologicamente corretti, argomentazioni motivate circa le opzioni valutative della prova, giustificazione razionale della decisione, standard conclusivi di alta probabilità logica in termini di certezza processuale, essendo indiscutibile che il diritto alla prova, come espressione del diritto di difesa, estende il suo ambito fino a comprendere il diritto delle parti ad una valutazione legale, completa e razionale della prova>>.(sentenza al link)


13 aprile 2025

❌ ❌ Attenzione: sono cambiati i termini per l'APPELLO di prevenzione ❌ ❌

 

Dal 12.04.25, in forza del d.l. 48/25, sono stati estesi i termini per proporre appello avverso la decisione dei Giudici di prevenzione . Infatti l'art. 7 del provvedimento di urgenza dispone che "al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sono apportate le seguenti modificazioni: 

    a) all'articolo 10, comma 2, primo  periodo,  le  parole:  «dieci giorni» sono sostituite dalle seguenti: «trenta giorni».

La novella si applica anche all’appello avverso le decisioni  in tema di misure di prevenzione reale, in forza del richiamo operato dall'art. 27 al citato art. 10.

Diversamente non muta il comma 3 dell’art. 10 D.l.vo 159/2011 e quindi non variano i termini per proporre ricorso per cassazione (testo del decreto al link). 


11 aprile 2025

Errore di sistema sul portale ed impugnazione tardiva: la Cassazione pone rimedio (sentenza n. 9985/25)

 




La sentenza riguarda un ricorso presentato alla Corte di Cassazione (sentenza n. 9985/2025 al link) contro una decisione della Corte di Appello di Catania. Il caso presenta due aspetti principali: i problemi tecnici legati al deposito del ricorso e la questione della rimessione in termini, oltre alla fondatezza del motivo di ricorso relativo alla riduzione della pena.

Problemi del Deposito e Rimessione in Termini

Il difensore dell’imputato aveva presentato il ricorso per Cassazione in modo telematico il 27 luglio 2024, rispettando i termini previsti. Tuttavia, il deposito è stato rifiutato dal sistema a causa di alcune incoerenze nei nomi delle parti processuali. Queste incoerenze erano dovute a un disallineamento tra i dati del procedimento di primo grado e quelli del procedimento d’appello nel portale telematico. In pratica, il sistema non riconosceva correttamente i dati, impedendo il completamento del deposito.

Il difensore ha scoperto il problema solo il 30 luglio 2024, quando ormai i termini per presentare il ricorso erano scaduti. A quel punto, ha ripresentato il ricorso il 31 luglio, chiedendo alla Corte di considerare il deposito del 27 luglio come valido, sostenendo che il problema tecnico fosse di natura oggettiva e non dipendesse dalla sua volontà o negligenza.

La Corte di Cassazione ha accolto questa richiesta, riconoscendo che il mancato rispetto del termine per impugnare era dovuto a una forza maggiore, ovvero a un problema tecnico del sistema che il difensore non poteva prevedere né risolvere tempestivamente. Di conseguenza, il ricorso presentato il 31 luglio è stato considerato valido e ammissibile.

Fondatezza del Ricorso e Riduzione della Pena

Il motivo principale del ricorso riguardava l’errata applicazione della legge da parte della Corte di Appello. In particolare, il difensore sosteneva che la Corte di Appello avesse ridotto la pena in misura inferiore a quanto previsto per il rito abbreviato. La Corte di Appello, infatti, partendo da una pena di 15 mesi di reclusione e 600 euro di multa, aveva ridotto la pena a 1 anno di reclusione e 400 euro di multa, invece di applicare una riduzione di almeno un terzo, che avrebbe portato la pena a 10 mesi di reclusione e 400 euro di multa.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato questo motivo, annullando la sentenza impugnata senza rinvio e rideterminando la pena detentiva in 10 mesi di reclusione, mentre la multa è rimasta invariata a 400 euro.

Conclusione

In sintesi, la Corte di Cassazione ha risolto due questioni: 

1. Ha riconosciuto che il problema tecnico nel deposito del ricorso era una forza maggiore, consentendo la rimessione in termini e considerando valido il ricorso.

2. Ha corretto l’errore della Corte di Appello nella riduzione della pena, rideterminando la pena detentiva in 10 mesi di reclusione.


10 aprile 2025

Delitto di dichiarazione infedele – Omessa indicazione dei proventi conseguiti tramite l’accredito di criptovalute, derivanti dalla cessione di opere d’arte o dell’ingegno digitali – Fumus commissi delicti – Sussistenza – Ragioni.

 


La Terza Sezione penale, in tema di finanze e tributi, ha affermato che integra il fumus del delitto di dichiarazione infedele l’omessa indicazione, nella dichiarazione dei redditi, dei proventi conseguiti tramite l’accredito di criptovalute, derivanti dalla cessione di opere d’arte o dell’ingegno digitali, incorporate in un non fungible token, nel caso in cui il valore normale dei menzionati proventi, convertiti in valuta corrente, superi le soglie di punibilità previste dal disposto di cui all’art. 4 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, costituendo l’ammontare di tale accredito reddito imponibile ai sensi degli artt. 53 e 54 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Scarica la sentenza n. 8269/2025 al link

09 aprile 2025

Secretazione atti di indagine ai sensi dell’art. 329, comma 3, cod. proc. pen. e limitazioni del diritto di difesa – Eccezione di nullità ex art. 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. – Condizioni.

 


La Seconda Sezione penale, in tema di indagini preliminari, ha affermato che la possibilità di secretare singoli atti, attribuita al pubblico ministero dall’art. 329, comma 1, cod. proc. pen. a tutela della segretezza dell’attività investigativa in corso di svolgimento, esclude che la formazione di atti probatori in parte secretati ne comporti l’inutilizzabilità in sede di giudizio abbreviato, ferma restando la facoltà dell’imputato di eccepire la compressione del diritto di difesa derivante dalla mancata piena conoscenza degli atti secretati, ove deduca un interesse processuale meritevole di tutela.

08 aprile 2025

Associazione e reati fine: condizioni per il continuato

 La prima sezione della Corte ha affermato che << l’unicità del disegno criminoso tra il reato associativo ed i diversi reati fine è configurabile solo quando questi ultimi - oltre a rientrare nell’ambito dell’attività del sodalizio criminoso e oltre ad essere finalizzati al suo rafforzamento - siano stati programmati, almeno a grandi linee, al momento dell'ingresso nell'associazione stessa (Sez. 1, n. 1534 del 09/11/2017, Giglia, Rv. 271984 - 01; cfr. anche Sez. 1, n. 39858 del 28/04/2023, Sallaj, Rv. 285369 - 01, in tema di associazione per delinquere di stampo mafioso)>> (sentenza al link)

07 aprile 2025

Convegno sul traffico di stupefacenti, le slides del consigliere Toriello*.


Per gentile concessione del relatore, consigliere Michele Toriello, pubblichiamo le slides (al link) della sua relazione, tenuta al convegno "Il traffico di stupefacenti tra problemi teorici e nuovi orientamenti giurisprudenziali", organizzato dalla Camera penale di Trapani (locandina al link)  

* Magistrato in servizio presso l'ufficio del massimario e applicato presso la prima sezione della Corte di cassazione

04 aprile 2025

Detenzione di stupefacenti per uso personale: la Cassazione blocca l'esecuzione delle sentenze tedesche in Italia






Riconoscimento della sentenza irrevocabile di condanna ai fini della sua esecuzione in Italia – Necessario riferimento alle sole categorie di reato indicate nella lista della decisione quadro 2008/909/GAI – Sussistenza – Verifica dell’eventuale ricorrenza di un errore manifesto circa la categoria di reato indicato nel certificato dell’Autorità richiedente – Possibilità – Sussistenza – Fattispecie
L’esito in sintesi


La Sesta Sezione penale, n. 10395/2025 al link, in tema di rapporti giurisdizionali con Autorità straniere, ha affermato che la Corte di appello, nel riconoscere la sentenza irrevocabile di condanna ai fini della sua esecuzione in Italia, deve far riferimento solo alle categorie di reato indicate nella lista della decisione quadro 2008/909/GAI, indipendentemente dalla doppia punibilità del reato per cui è richiesto il riconoscimento, come previsto dall’art. 11 d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161, che ha dato attuazione all’indicata decisione quadro, essendole, purtuttavia, consentita la verifica dell’eventuale ricorrenza di un errore manifesto circa la categoria di reato indicato nel certificato emesso dall’Autorità richiedente. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che non rientrassero nella categoria di reato del “traffico illecito di stupefacenti”, fatta propria dalla decisione quadro 2008/909/GAI, le condotte tenute dagli autori al solo fine del consumo personale di droga).

Approfondimento
La sentenza della Corte Suprema di Cassazione, Sezione Penale, riguarda il ricorso presentato contro la decisione della Corte di Appello di Catanzaro di riconoscere ed eseguire in Italia due sentenze di condanna emesse dalle autorità giudiziarie tedesche. Le sentenze condannavano l'interessato a 1736 giorni di reclusione per reati legati alla detenzione di sostanze stupefacenti per uso personale, ai sensi dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.

Punti chiave della sentenza:

  1. Ricorso per Cassazione: Il difensore dell'interessato ha presentato ricorso, sostenendo che la Corte di Appello ha erroneamente riconosciuto le sentenze tedesche, applicando la decisione quadro 2002/584/GAI, che riguarda il "traffico di stupefacenti", mentre i reati contestati riguardavano l'acquisto di stupefacenti per uso personale, esclusi dalla nozione di traffico illecito.

  2. Decisione Quadro 2008/909/GAI: La Corte di Cassazione ha esaminato il quadro giuridico della decisione quadro 2008/909/GAI, che regola il riconoscimento reciproco delle sentenze penali nell'UE, escludendo il controllo della doppia incriminabilità per alcuni reati, tra cui il "traffico illecito di stupefacenti". Tuttavia, la detenzione per uso personale non rientra in questa categoria.

  3. Errore Manifesto: La Corte ha stabilito che l'autorità giudiziaria italiana può verificare se lo Stato di emissione (in questo caso la Germania) abbia commesso un errore manifesto nel classificare il reato di detenzione per uso personale come "traffico illecito di stupefacenti". La Corte ha ritenuto che la detenzione per uso personale non rientri nella nozione di traffico illecito, come definito dalla decisione quadro 2004/757/GAI.

  4. Armonizzazione Europea: La Corte ha sottolineato che l'Unione Europea ha armonizzato solo minimamente le norme relative al traffico illecito di stupefacenti, escludendo esplicitamente le condotte finalizzate al consumo personale. Pertanto, le sentenze tedesche non possono essere riconosciute per i reati di detenzione per uso personale.

  5. Annullamento e Rinvio: La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro e ha rinviato il caso a un'altra sezione della stessa Corte per un nuovo giudizio. La Corte di Appello dovrà procedere al riconoscimento parziale delle sentenze, escludendo i reati di detenzione per uso personale, e informare le autorità tedesche per un eventuale ritiro del certificato di esecuzione.

ConclusioneLa sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che le condanne per detenzione di stupefacenti per uso personale non possono essere riconosciute ed eseguite in Italia in base alla decisione quadro 2008/909/GAI, poiché non rientrano nella nozione di "traffico illecito di stupefacenti". La Corte ha quindi annullato la decisione della Corte di Appello e rinviato il caso per un nuovo giudizio.

03 aprile 2025

Misure di prevenzione: la Cassazione respinge ricorso su credito professionale dopo sequestro auto – Fatture non sufficienti a provare il credito

 







Patrimoniali – Giudizio di verifica dei crediti – Crediti derivanti dall’esercizio della professione forense – Oneri gravanti in capo al richiedente l’ammissione al passivo di tali crediti – Indicazione – Ragioni.
L’esito in sintesi


La Sesta Sezione penale, (sentenza n. 10387/2025 al link) in tema di misure di prevenzione patrimoniale, ha affermato che nel caso in cui, nel procedimento incidentale di verifica, sia chiesta l’ammissione al passivo di un credito derivante dall’esercizio della professione forense, l’istante non può limitarsi ad allegare la fattura emessa, ma è tenuto a provare la concreta esistenza del proprio diritto, documentando l’effettività e la consistenza dell’attività svolta mediante parcella delle spese sostenute e delle prestazioni rese, debitamente sottoscritta e corredata del parere della competente associazione professionale, atteso che il giudizio sul punto si caratterizza per l’attribuzione al giudice di poteri officiosi di verifica funzionali a contemperare l’esigenza di tutela dei creditori con l’interesse pubblico ad evitare la surrettizia precostituzione di crediti di comodo finalizzati a far rientrare il proposto nel possesso della ricchezza di illecita provenienza.

Approfondimento

La sentenza della Corte Suprema di Cassazione, Sezione Penale, riguarda il ricorso proposto da un avvocato contro la decisione del Tribunale di Roma di rigettare la sua richiesta di ammissione di un credito professionale nello stato passivo del procedimento di prevenzione nei confronti di un suo cliente. Il credito riguardava il sequestro e la successiva restituzione di un'autovettura.

Fatti principali:

  1. Sequestro e restituzione dell'autovettura: L'autovettura era stata sequestrata e poi restituita all'avvocato.

  2. Richiesta di ammissione al passivo: L'avvocato aveva richiesto l'ammissione del suo credito professionale, parzialmente soddisfatto con il trasferimento dell'autovettura, ma il Tribunale di Roma aveva rigettato la richiesta, ritenendo che non vi fosse prova sufficiente dell'esistenza di un credito maggiore rispetto al valore dell'auto.

  3. Fatture allegate: L'avvocato aveva allegato due fatture per un totale di 18.200 euro, emesse dopo il sequestro, ma il Tribunale le aveva ritenute insufficienti a provare il credito, considerandole mere documentazioni contabili.

Argomenti del ricorrente:

  • L'avvocato sosteneva che le fatture dimostrassero l'attività da lui svolta, mai contestata, e che fossero sufficienti a provare il credito.

Considerazioni della Corte:

  1. Infondatezza del ricorso: La Corte ha ritenuto infondato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale.

  2. Verifica dei crediti nel procedimento di prevenzione: La Corte ha ribadito che il giudice della prevenzione ha il compito di verificare l'effettività dei crediti, assicurando la tutela dei terzi e prevenendo manovre collusive per sottrarre beni al sequestro.

  3. Insufficienza delle fatture: La Corte ha concordato con il Tribunale che le fatture, da sole, non costituiscono prova sufficiente dell'esistenza e della consistenza del credito, specialmente se emesse dopo il sequestro e senza ulteriori prove delle prestazioni effettivamente svolte.

  4. Mancanza di ulteriori prove: La Corte ha evidenziato che l'avvocato non ha fornito ulteriori prove, come un parere dell'associazione professionale, per dimostrare l'esistenza e l'ammontare del credito.

Decisione finale:

  • La Corte ha rigettato il ricorso e condannato l'avvocato al pagamento delle spese processuali.

02 aprile 2025

40^ anniversario della strage mafiosa di Pizzolungo. In memoria dei gemellini Asta e della madre Barbara Rizzo

 




Ricorre oggi il 40mo anniversario della strage mafiosa di Pizzolungo, l'attentato al magistrato Carlo Palermo nel quale morirono i gemellini Salvatore e Giuseppe Asta e la madre Barbara Rizzo.

Ricordiamo la strage pubblicando l’articolo a firma di Aaron Pettinari su "Antimafiaduemila" (link).

Le sentenze di condanna ai mandanti sono definitive, giusta l’ultima pronuncia della corte di cassazione (link). Ma rimane ancora molto da accertare sulla strage e sul movente (il magistrato Carlo Palermo era arrivato a Trapani da poco più di quaranta giorni, proveniente da Trento, quando vi fu l’attentato). “Una pista del possibile movente è indicata nella sentenza con la quale sono stati condannati Totò Riina, Vincenzo Virga e Balduccio Di Maggio. […] Carlo Palermo, […] era sulle tracce di un intreccio che legava mafia, trafficanti d’armi e massoni”.


01 aprile 2025

SS.UU. n. 9788/2025: il ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. deve riguardare un errore di fatto e non di valutazione giuridica

 



La sentenza n. 9788/2025 (al link) della Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Penali, ha dichiarato inammissibile il ricorso perché presentato per un motivo non consentito. 
In sintesi, il ricorso non evidenziava un errore di fatto (un errore percettivo nella lettura degli atti), ma piuttosto un errore di valutazione giuridica (un'errata interpretazione delle norme processuali), il che non rientra nei motivi ammissibili per un ricorso di questo tipo. La Corte ha ribadito che l'errore di fatto, che può essere oggetto di ricorso, consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco nella lettura degli atti interni al giudizio, e che abbia influenzato il processo formativo della volontà, portando a una decisione diversa da quella che sarebbe stata presa senza l'errore.






Ultima pubblicazione

Riforma Zanettin, la Procura di Monza ne riduce la portata.

Abbiamo già dato conto della c.d. Legge Zanettin, volta a contenere i tempi delle intercettazioni per i reati non oggetto della disciplina s...

I più letti di sempre