20 aprile 2021

La Riforma del Processo penale - 7.2 la riforma del giudizio monocratico - Le risposte del pubblico ministero, Anna Maria Siagura (*)

Per la rubrica "La Riforma del Processo Penale", ora nella partizione "Il processo che verrà" del nostro blog, ospitiamo l'intervento sul progetto di riforma del giudizio monocratico con due domande al Pubblico Ministero, Anna Maria Siagura.
Il piano completo dell'opera è consultabile sulla pagina dedicata di questo blog (link).
Il progetto di legge per la “DELEGA AL GOVERNO PER LA MODIFICA DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE, DEL CODICE PENALE E DELLA COLLEGATA LEGISLAZIONE SPECIALE E PER LA REVISIONE DEL REGIME SANZIONATORIO DELLE CONTRAVVENZIONI”, è all’esame, in sede referente, della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che ha anche svolto numerose audizioni inerenti il testo della riforma.




1) La riforma intende introdurre un’udienza filtro per i procedimenti a citazione diretta, in cui il Giudice sarà chiamato, tra le altre cose, a valutare se sussiste una ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria. Le pare una riforma cui potrebbe conseguire un reale effetto deflattivo dei giudizi, oppure si rischia di inserire un passaggio procedurale che dilaterà i tempi processuali?
La Riforma Bonafede nell'ipotizzare un momento di verifica antecedente alla fase dibattimentale per i reati perseguibili mediante la citazione diretta introduce una curiosa anomalia di sistema, nella misura in cui disattende di fatto la voluntas sottesa alla legge Carotti del 1999, che nel conferire, come noto, all'udienza preliminare la funzione di filtro dell'accusa, di fatto operava una netta distinzione sostanziale e procedurale tra i reati di maggiore gravità e allarme sociale e quelli passibili di un giudizio, per così dire, semplificato.
La proposta di fatto delinea una sorta di udienza preliminare 'speciale' che, contrariamente alle obiettive finalità e agli auspici del legislatore del 1988, di fatto rende più farraginoso anche il sistema per i reati il cui disvalore penale è stato già stimato contenuto dal normoteta stesso, che ha demandato all'iniziativa formale del p.m., mediante la vocatio diretta, la formalizzazione della chiamata in giudizio, difformemente da come avviene nei termini, per così dire, ordinari, costituiti dalla richiesta di rinvio a giudizio, seguita dal decreto che lo dispone.
Posto che la citazione diretta dovrebbe, in effetti, in tesi sfoltire il carico giudiziario ed evitare quell'ulteriore frammento processuale, che concorre altresì a determinare, in un certo senso, le maggiori lungaggini del giudizio, pur se per le note ragioni di garanzia, il vaglio intermedio del giudice monocratico di fatto determinerà un'interruzione rispetto all'iter sino ad oggi seguito.
L'ulteriore segmento processuale non farebbe altro, invece, che complicare, allungare o comunque certamente non semplificare quello che, originariamente, era stato pensato come un giudizio più agile e spedito.
Vi sono, poi, altre ragioni di biasimo rispetto alla prospettata riforma, a parere di chi scrive. 
La prima doglianza si fonda sul potenziale contrasto della novella rispetto ad altri istituti, di recente introduzione, generati, potremmo dire, da un potenziamento del ruolo del p.m. Il legislatore ha, infatti, progressivamente introdotto diversi strumenti che ben potrebbero fungere da moduli di smistamento del 'penalmente rilevante' o del perseguibile, senza determinare ulteriori tempi e passaggi di rivalutazione interni al giudizio, consentendo invece uno sfoltimento a monte, per quelle vicende per le quali il processo appaia non necessario o non opportuno. 
Criterio, quello dell'opportunità dell'azione penale, di certo non scevro da critiche e da timori connessi, benché in vero già in uso in altri ordinamenti europei, primo fra tutti quello spagnolo, con risultati soddisfacenti, in specie sotto il profilo della 'produttività' degli uffici giudiziari. 
Nei limiti di compatibilità con il nostro sistema di civil law, tale scelta appare avallata di fatto dall'introduzione, propriamente nei processi a citazione diretta, di taluni riti speciali, in primis la sospensione del processo con messa alla prova ai sensi dell'art. 168 bis c.p., ad opera della l. 67 del 2014, oltre che dal ricorso alla formula di estinzione del reato conseguente alla realizzazione di condotte riparatorie ex art. 162 ter c.p., elaborata più di recente dalla l. 172 del 2017, e ancor più dalla possibilità di archiviazione per la tenuità del fatto, che tra le sue larghe maglie ben potrebbe consentire, anche da parte del p.m., una valutazione sulla necessarietà dell'azione penale, salvi i poteri del giudice per le indagini preliminari, in veste di garante, e della persona offesa nella verifica sulla correttezza della scelta di inazione operata.
Una seconda critica afferirebbe, poi, in un'ottica più pragmatica, all'organizzazione degli uffici giudiziari: è noto, infatti, come il problema della mancanza di organico sia ritenuto oggi un vero deficit strutturale. Ora, laddove si dovesse ipotizzare l'inserimento di un'ulteriore fase filtro appunto, attribuita expressis verbis ad un giudice diverso da colui che sarà eventualmente chiamato a condurre il giudizio conseguente, per ovvie ragioni di incompatibilità, stente il pre-giudizio svolto, non si comprende in vero come, soprattutto nei tribunali minori, le già esigue sezioni possano riuscire a coprire questi diversi ruoli nello stesso procedimento.


2) L’articolo 12 del disegno di legge prevede dei termini entro cui concludere i giudizi. Per quello innanzi al Tribunale monocratico la celebrazione del processo dovrebbe avvenire, senza distinzione alcuna, entro un anno, col rischio di sanzioni disciplinari ove i termini non siano rispettati per negligenza inescusabile. Quale il suo giudizio al riguardo?
In ordine alla durata dei processi, perché essa sia davvero ragionevole, appare necessario assumere una posizione chiara ed univoca, che consenta pochi margini di intervento.
In tal senso, come avviene per tante, se non per tutte le categorie professionali, delineare anche la sanzionabilità di comportamenti, qualificabili come negligenti da parte di chi amministra la giustizia, può costituire un ulteriore elemento di controllo. 
Assolutamente opportuno, se non addirittura necessario, appare quindi il monitoraggio sulla conduzione delle attività processuali, in linea peraltro con le più recenti scelte anche in tema di avocazione delle indagini ai sensi dell'art. 412, comma 1, c.p.p., come modificato dalla l. 103 del 2017.
Un dubbio va tuttavia sollevato rispetto ai termini ipotizzati. Se è pur vero che per il contenimento delle fasi appare necessario definire stringenti limiti temporali, nel contempo non si può disconoscere come, anche nell'ambito delle competenze del tribunale in composizione monocratico, adito con citazione diretta, possano individuarsi fenomeni criminali molto diversi tra loro. Non è possibile, quindi, livellare, in questo caso verso il basso peraltro, tutti i tempi di durata; si pensi ad ipotesi molto difformi tra loro, quali il giudizio per un furto semplice e quello per lesioni personali stradali, anche aggravate, a norma dell'art. 590 bis c.p. In queste evenienze, dovrebbe essere possibile immaginare un margine più elastico, benché comunque contenuto, per consentire gradatamente di riservare alle ipotesi penalmente più gravi un lasso di tempo maggiore per il giudizio. 
Tuttavia, anche in questo caso, con una obiezione che reitera quella già prospettata in merito alla prima delle questioni trattate sulla riforma, afferenti al giudizio a citazione diretta, non possono disconoscersi le problematiche connesse all'organico degli uffici. E' evidente che, pur con tutti i migliori auspici, ipotizzare un'accelerazione dei tempi della giustizia, mediante una riduzione controllata dei termini, ad organico immutato, si rivela un'utopia. Non si può, infatti, immaginare di poter sfoltire il numero attuale di processi, fruendo dei magistrati giudicanti oggi in servizio, per il solo fatto che sia imposto un termine di completamento di grado. Per soddisfare tale obiettivo della riforma sarà imprescindibile, dunque, una implementazione della pianta organica, oltre al ricorso preliminare ad altri fenomeni di semplificazione, ai quali si è in parte già fatto cenno, in uno con una seria opera di depenalizzazione.


(*) Anna Maria Siagura: Cultore di procedura penale è attualmente vice procuratore onorario presso la procura della Repubblica di Palermo; è autrice delle monografie La negoziabilità della pena. Esperienze giuridiche a confronto e «Soltanto alla legge». Le dinamiche del rapporto tra giudice penale e fonte primaria. Premesse teoriche e percorsi operativi





Art. 6.

(Procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica)

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura penale in materia di procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, per le parti di seguito indicate, sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) nei procedimenti a citazione diretta di cui all’articolo 550 del codice di procedura penale, prevedere un’udienza innanzi al tribunale in composizione monocratica nella quale il giudice, diverso da quello davanti al quale, eventualmente, dovrà celebrarsi il giudizio, sulla base degli atti

contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, pronuncia sentenza di non luogo a

procedere se sussiste una causa che estingue il reato o per la quale l’azione penale

non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita, se il fatto non è previsto

dalla legge come reato, se risulta che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che si tratta di persona non punibile per qualsiasi causa o se gli elementi acquisiti risultano insufficienti o contraddittori o comunque non consentono, quand’anche confermati in giudizio, una ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria; prevedere nella stessa udienza il termine, a pena di decadenza, per la richiesta del giudizio abbreviato o di applicazione della pena su richiesta o per la domanda di oblazione;

b) prevedere che il giudice non possa pronunciare sentenza di non luogo a procedere, nei casi di cui alla lettera a), se ritiene che dal proscioglimento debba conseguire l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca;

c) estendere alla sentenza di non luogo a procedere di cui alla lettera a) l’applicazione delle disposizioni degli articoli 426, 427 e 428 del codice di procedura penale.

Art. 12.

(Termini di durata del processo)

1. Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, il decreto o i decreti legislativi

recanti la disciplina dei termini di durata del processo penale sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere che i magistrati, nell’esercizio delle rispettive funzioni, adottino

misure organizzative volte ad assicurare la definizione dei processi penali, ad eccezione dei processi relativi ai reati previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), numeri 1), 3) e 4), e comma 2, lettera b), del codice di procedura penale, nel rispetto dei

seguenti termini:


2) un anno per il primo grado, due anni per il secondo grado, un anno per il giudizio di legittimità, nei procedimenti per i reati di cui all’articolo 33-ter del codice di procedura penale;


c) prevedere che il dirigente dell’ufficio sia tenuto a vigilare sul rispetto delle disposizioni adottate ai sensi della lettera a) e a segnalare all’organo titolare dell’azione disciplinare la mancata adozione delle misure organizzative, quando sia imputabile a negligenza inescusabile.

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