Nel pieno periodo pandemico ci eravamo occupati dei "guasti" che l'emergenza (e il modo di affrontarla) aveva prodotto al tessuto delle fonti normative con i contributi Il principio di legalità al tempo dell'abuso dei DPCM, di Mauro Anetrini e L'insostenibile leggerezza della nomopoiesi, di Mario Tasquier.
Qualche giorno fa, sulle pagine del Foglio Quotidiano, Sabino Cassese ha commentato lo stravolgimento che il diritto subisce per effetto dell'emergenza - che non è più emergenza - in un'ideale discussione tra l'Illuminista e il Realista, ponendo l'accento sul rischio della "medievalizzazione" delle fonti e della ad-hoc-cratia (al link l'articolo di Cassese, La regola e l'eccezione).
Oggi tiriamo le fila delle riflessioni di Anetrini, Tasquier e Cassese, commentando la decisione "a latere" delle normative pandemiche del GUP di Milano.
Il
GUP di Milano ha escluso che le false dichiarazioni contenute nella
autodichiarazione Covid – 19 possano integrare il delitto di falsità ideologica
commessa dal privato in atto pubblico, ex art. 483 c.p., in relazione all’art.
76 dpr 445/2000.
Al
riguardo si rammenta che la norma incriminatrice sanziona non ogni
dichiarazione rilasciata ad un pubblico ufficiale ma soltanto quelle da
recepire in un atto pubblico per finalità probatorie.
Orbene,
il giudice lombardo ha rilevato che nel caso di specie <<appare difficile stabilire quale sia l’atto
del pubblico ufficiale nel quale la dichiarazione infedele sia destinata a
confluire>>.
Ma
anche a volere ritenere che le dichiarazioni del privato siano (eventualmente)
destinate ad essere trasfuse in un verbale di contestazione di una sanzione
amministrativa o penale, si tratta di atti non destinati a riportare
dichiarazioni vere.
Ad
ulteriore conforto della sua tesi, il GUP ha rilevato che, ove ricorresse un
obbligo di dire il vero in ordine ad uno spostamento difforme da quelli
all’epoca consentiti, si violerebbe il principio del nemo tenetur se detegere. Infatti, all’epoca della contestazione,
lo spostamento in violazione degli obblighi restrittivi integrava il reato di
cui all’art. 650 c.p., di talché il privato costretto a dire il vero sarebbe incorso
in un procedimento penale.
Scarica qui la sentenza del GUP di Milano 👉 link