26 aprile 2021

La Riforma del Processo penale - 8.4 la riforma della prescrizione - Le risposte del docente, Guido Todaro (*)

Per la rubrica "La Riforma del Processo Penale", pubblichiamo l'intervento del docente, Guido Todaro relativo alla sezione "Prescrizione" della riforma.
La nuova rubrica sottopone alcune domande a un giudice, un pubblico ministero, un avvocato e ad un docente universitario.
Il piano completo dell'opera è consultabile sulla pagina dedicata di questo blog (link).
Il progetto di legge per la “DELEGA AL GOVERNO PER LA MODIFICA DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE, DEL CODICE PENALE E DELLA COLLEGATA LEGISLAZIONE SPECIALE E PER LA REVISIONE DEL REGIME SANZIONATORIO DELLE CONTRAVVENZIONI”, è all’esame, in sede referente, della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che ha anche svolto numerose audizioni inerenti il testo della riforma.






1- Il legislatore intende riformare per la terza volta, dal 2017, l’art. 159 c.p.: non era meglio riformare l’istituto della prescrizione nel suo complesso?
Partiamo dalle basi. La prescrizione del reato è un istituto di diritto penale che limita entro un tempo massimo – variamente modulato in base alla gravità del reato – la potestà punitiva dello Stato. Se non si addiviene entro un lasso di tempo più o meno lungo all’accertamento definitivo di responsabilità, lo Stato non può più esercitare la sua vis punitiva. Essa è una causa estintiva del reato collegata al decorso del tempo, dunque.
Così concepita, la prescrizione si collega ad importanti principi del diritto penale e alla stessa ragion d’essere della pena, sia dal punto di vista della funzione general-preventiva, sia dal punto di vista della funzione special-preventiva. Dal punto di vista della funzione general-preventiva, ha poco senso – sotto il profilo della dissuasione nei confronti della generalità dei consociati e dell’effetto deterrente – punire una persona a notevole distanza di tempo dall’accadimento di fatti astrattamente sussumibili in una norma incriminatrice. Dal punto di vista della funzione special-preventiva, ha poco senso punire, in ottica deterrente, una persona dopo che siano decorsi molti anni dai fatti: qui viene in rilievo, peraltro, anche il principio costituzionale in base al quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato (art. 27, comma 3, Cost.). Ecco, la funzione rieducativa della pena è di massima importanza: una pena applicata a notevole distanza temporale dai fatti equivarrebbe a sanzionare una persona diversa da quella che in ipotesi aveva commesso il reato, essendo certamente mutata la sua personalità. Una pena siffatta sarebbe dunque percepita come diseducativa, difficilmente potendo assolvere alla funzione che le è assegnata dall’Ordinamento.
Insomma, la prescrizione è un istituto di grande civiltà giuridica che, oltretutto, impedisce di sottoporre il singolo individuo ad una teoricamente illimitata potestà punitiva da parte dello Stato, estrinsecabile senza alcun limite temporale, ed assicura il diritto all’oblio rispetto ai fatti per cui non è più percepibile alcun allarme sociale. Ovviamente, non tutti i reati sono prescrittibili essendoci dei fatti ritenuti dall’Ordinamento così gravi da meritare sempre e comunque una possibile punizione.
Non solo. La prescrizione si collega anche ad importanti principi che governano il nostro processo penale. Basti pensare al diritto di difesa (art. 24, comma 2, Cost.) e alla conseguente difficoltà, se non una vera e propria impossibilità, di reperire prove “a discarico” che il decorso del tempo potrebbe aver cancellato (si pensi alla morte di un possibile testimone, allo smarrimento o al deterioramento di documenti, ecc.). In certa misura, la prescrizione si collega anche alla ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.): l’orizzonte dei termini prescrizionali definisce infatti uno spazio temporale oltre il quale non si può andare e dovrebbe pertanto funzionare da acceleratore, inducendo la Magistratura a fissare i processi in tempo utile per l’accertamento dei fatti e delle eventuali responsabilità.
Venendo specificamente alla domanda, vista la grande importanza dell’istituto e tutti i principi che vengono coinvolti, intervenire nuovamente in modo estemporaneo, rapsodico, senza una visone organica, sul solo art. 159 c.p., non è propriamente lungimirante: l’impressione è di mettere un’ulteriore toppa, quasi si trattasse di un vestito di Arlecchino. Sennonché, i concetti di Carnevale e Giustizia evidentemente non vanno molto d’accordo poiché la Giustizia è una cosa seria e deve essere maneggiata con cura. Dunque, sarebbe stato certamente preferibile riformare l’istituto della prescrizione nel suo complesso, sì da recuperarne la ratio originaria, andata progressivamente perduta negli ultimi anni, percorsi da un’ondata populista e da una certa demagogia che ha portato ad un innalzamento, di fatto, dei termini prescrizionali: si pensi all’attuale comma 2 dell’art. 159 c.p. (la cui formulazione si deve alla l. 9 gennaio 2019, n. 3, in vigore dal 1° gennaio 2020) che prevede un blocco del corso della prescrizione dalla pronuncia della sentenza di primo grado sino alla sentenza irrevocabile: di fatto, il processo di appello potrebbe essere celebrato senza alcun limite di tempo (così come il giudizio in Cassazione), così dando luogo all’aberrante figura del “fine processo mai”. 



2- Nel merito della riforma è stato osservato che la novella introdurrebbe una distinzione tra condannato e assolto, all’esito del primo grado di giudizio, lesiva della presunzione di innocenza, quale il suo giudizio al riguardo?
Anche qui occorre partire dalle basi. Per le coordinate costituzionali di riferimento del nostro processo penale, l’imputato non è – e non deve – essere considerato colpevole sino alla condanna definitiva (quella avverso la quale non sono più esperibili i mezzi ordinari di impugnazione) (art. 27, comma 2, Cost.). 
La presunzione di innocenza, per essere sintetici, significa due cose: come regola di giudizio, essa addossa l’onere della prova sul pubblico ministero che deve dimostrare la responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio, mentre a quest’ultimo è sufficiente instillare nell’Organo Giudicante un dubbio ragionevole in ordine al fatto che possa essere innocente; come regola di trattamento, essa impone che l’imputato sia trattato come non colpevole durante l’intero arco del procedimento. Ciò significa che dovrebbero essere banditi trattamenti deleteri che si colleghino ad un ritenuto, e non giustificato dalla nostra Costituzione, affievolimento della presunzione d’innocenza.
Venendo alla domanda, la riforma che si commenta vorrebbe introdurre una distinzione tra condannato e assolto in primo grado collegando il blocco della prescrizione, già sopra visto, alla pronuncia della sola sentenza di condanna: appare evidente come, così ragionando, la novella determinerebbe la sospensione del corso della prescrizione sulla base di una sentenza di condanna non definitiva, evidentemente motivata da un giudizio di attenuazione della presunzione di innocenza che contrasta però con la disposizione costituzionale sopra menzionata che, come detto, male tollera simili graduazioni. 
Quindi, una certa lesione della presunzione di innocenza si può riscontrare. Banalizzando, il ragionamento dei riformatori suona così: siccome c’è già una sentenza di condanna di primo grado, forse l’imputato non è poi così innocente e, per evitare che lucri una possibile prescrizione in appello, noi ne blocchiamo il decorso. Detta così, è brutale ma è questo il retropensiero che si cela dietro la novella: e allora, sì, confermo, la tensione rispetto alla presunzione di non colpevolezza pare evidente. 
Il contrasto suona ancora più evidente considerato che è notizia di qualche settimana fa che la Camera dei Deputati ha dato il proprio ok al recepimento integrale della Direttiva n. 2016/343/UE sulla presunzione di innocenza. Certo, quest’ultima incide anche su altri aspetti – evitare di indire conferenze stampa e di presentare la persona indagata o imputata come colpevole agli occhi dell’opinione pubblica prima della condanna definitiva – ma è quantomeno curioso che si assista alla discussione di una riforma che qui si commenta e che stride con altre lodevoli iniziative, come appunto il recepimento della suddetta direttiva.
Comunque, questa possibile riforma si innesta su una norma già incoerente e deleteria di suo: lo abbiamo detto sopra. È difficile dire se la toppa sia meglio o peggio del buco.


3- L’art. 14 del progetto di legge prevede la sospensione del corso della prescrizione ove venga appellata la sentenza di assoluzione, se almeno uno dei reati per cui è proposto il gravame si prescriva entro un anno dal termine di cui all’ art. 544 c.p.p. Non era più corretto prevedere la sospensione soltanto per il reato prossimo a prescriversi?
Intanto, va riconosciuta al legislatore una certa dose di fantasia: creare tutti questi distinguo e queste tempistiche diversificate è un qualcosa di arzigogolato e forse non giova alla intellegibilità del diritto che richiede, per contro, norme semplici, piane, di agevole comprensione. 
Detto ciò, una volta che si intenda prevedere la sospensione del corso della prescrizione in caso di appello della sentenza di proscioglimento ove almeno uno dei reati si prescriva entro un anno dal termine di cui all’art. 544 c.p.p. (il termine per la redazione della sentenza, per intenderci), forse, il testo attuale, all’esame in sede referente della Commissione Giustizia, è più logico poiché l’ipotesi di una sospensione della prescrizione limitata al solo reato prossimo a prescriversi creerebbe non poche difficoltà pratiche e potrebbe essere foriera di veri e propri paradossi: solo a titolo d’esempio, se viene impugnata una sentenza di proscioglimento relativa a due reati, uno più grave per cui non v’è lo spettro della prescrizione entro un anno, e l’altro meno grave suscettibile di prescriversi entro l’anno, se la prescrizione rimanesse sospesa solo per quest’ultimo, potrebbe verificarsi lo scenario per cui sia fissata udienza in appello allorché il reato più grave si sia comunque prescritto (nonostante i tempi di prescrizione ab origine più lunghi), non potendosi giovare della sospensione della prescrizione, mentre non lo sarebbe il reato meno grave proprio a cagione della sospensione.
In generale, e concludo, sono comunque sbagliati tutti questi meccanismi sospensivi della prescrizione a seguito della sentenza di primo grado. Lo abbiamo detto sopra. Essi consegnano l’immagine di un imputato che sia sempre e comunque colpevole: se sia lui l’impugnante contro una sentenza di condanna, viene presentato come il delinquente che propone appello solo per inseguire la prescrizione e non, come dovrebbe essere, come il presunto innocente che – ritenendo di essere stato ingiustamente condannato in primo grado ed esercitando il suo diritto inviolabile di difesa che si estrinseca anche nella possibilità di impugnare – sta cercando semplicemente di fare affermare la propria innocenza; se sia il pubblico ministero l’impugnante avverso una sentenza di proscioglimento, viene passato come giusto il messaggio che si possano allungare i tempi dell’accertamento per evitare che l‘imputato, che l’ha fatta franca in primo grado, possa non ricevere la giusta punizione nei gradi successivi. 
Un messaggio sbagliato, completamente distonico rispetto ai principi del diritto penale classico e della procedura penale che dovrebbe essere intesa essenzialmente come garanzia: e ritorniamo e chiudiamo con la presunzione di innocenza, rinnegata da queste riforme che assecondano pulsioni populiste che non dovrebbero trovare terreno fertile e diritto di cittadinanza in uno Stato democratico. 


Art. 14.

Disposizioni in materia di sospensione della prescrizione 

1. 1. All’articolo 159 del codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al secondo comma, dopo le parole: «dalla pronunzia della sentenza» sono inserite le seguenti: «di condanna »;

b) dopo il secondo comma sono inseriti i seguenti: 

«La prescrizione riprende il suo corso e i periodi di sospensione di cui al secondo comma sono computati ai fini della determinazione del tempo necessario al maturare della prescrizione, quando la sentenza di appello proscioglie l’imputato o annulla la sentenza di condanna nella parte relativa all’accertamento della responsabilità o ne dichiara la nullità ai sensi dell’articolo 604, commi 1, 4 o 5-bis, del codice di procedura penale;

quando viene proposta impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento e almeno uno dei reati per cui si procede si prescrive entro un anno dalla scadenza del termine previsto dall’articolo 544 del codice di procedura penale per il deposito della motivazione, il corso della prescrizione è altresì sospeso: 1) per un periodo massimo di un anno e sei mesi dalla scadenza del termine previsto dall’articolo 544 del codice di procedura penale per il deposito della motivazione della sentenza di primo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza che definisce il giudizio di appello; 2) per un periodo massimo di sei mesi dalla scadenza del termine previsto dall’articolo 544 del codice di procedura penale per il deposito della motivazione della sentenza di secondo grado, anche se emessa in sede di rinvio, sino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva; 

i periodi di sospensione di cui al quarto comma sono computati ai fini della determinazione del tempo necessario al maturare della prescrizione quando la sentenza che definisce il giudizio in grado di appello, anche se emessa in sede di rinvio, conferma il proscioglimento. Se durante i termini di sospensione di cui al quarto comma si verifica un’ulteriore causa di sospensione di cui al primo comma, i termini sono prolungati per il periodo corrispondente».  


(*) Guido Todaro: Avvocato del Foro di Bologna, Cassazionista, è Dottore di Ricerca in Diritto e Processo Penale presso l’Università di Bologna, nonché Professore a contratto di Procedura Penale presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali afferente alla medesima Università. È componente del Comitato di Gestione della Scuola Territoriale della Camera Penale di Bologna “Franco Bricola”, nonché membro della Redazione della Rivista Cassazione penale.  

È Autore di oltre 50 pubblicazioni in riviste scientifiche, nonché coautore del libro “La difesa nel procedimento cautelare personale”, Giuffrè, 2012, e con-curatore del Volume “Custodia cautelare e sovraffollamento carcerario”, Studi Urbinati, v. 65, n. 1, 2014.


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