07 aprile 2021

La Riforma del Processo penale - 5.2 la riforma dell'appello - Le risposte del Pubblico Ministero Emanuele Ravaglioli (*)

Per la rubrica "La Riforma del Processo Penale", ora nella partizione "Il processo che verrà" del nostro blog, ospitiamo l'intervento sul progetto di riforma dell'appello penale con 3 domande al Pubblico Ministero, Emanuele Ravaglioli
Il piano completo dell'opera è consultabile sulla pagina dedicata di questo blog (link).
Il progetto di legge per la “DELEGA AL GOVERNO PER LA MODIFICA DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE, DEL CODICE PENALE E DELLA COLLEGATA LEGISLAZIONE SPECIALE E PER LA REVISIONE DEL REGIME SANZIONATORIO DELLE CONTRAVVENZIONI”, è all’esame, in sede referente, della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che ha anche svolto numerose audizioni inerenti il testo della riforma.



1- La previsione dello specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza di condanna, rischia di diventare un inutile orpello deflattivo che limiterà il diritto di difesa degli imputati assistiti d’ufficio e/o irreperibili di fatto?

E’ evidente che l’intenzione deflattiva della riforma non può in alcun modo andare a scapito delle garanzie difensive dell’imputato.
Tuttavia non ritengo che la riforma proposta limiti il diritto di difesa: la delega infatti non preclude l’impugnazione ma richiede semplicemente un mandato difensivo conferito successivamente alla pronuncia della sentenza.
Siamo certi che un mandato difensivo conferito magari all’inizio della attività di indagine e articolato in modo tale da coprire tutti i successivi ed eventuali gradi di giudizio (come spesso accade attualmente) garantisca maggiormente i diritti difensivi dell’imputato? O non è forse più vero che l’imputato sarebbe maggiormente garantito nei propri diritti se dopo la sentenza di primo grado avesse piena contezza dell’esito del giudizio a suo carico e solo allora decidesse – conferendo mandato difensivo ad hoc – se impugnare la sentenza.
Per quanto attiene agli imputati assistiti d’ufficio ritengo che i termini della questione non cambino. 
A chiunque è garantita una difesa tecnica (art. 24 Cost.) e pertanto lo Stato assicura l’assistenza di un difensore di ufficio (la cui nomina peraltro non dipende dal reddito dell’imputato, che dovrà comunque farsi carico delle spettanze economiche del difensore). Essere difesi da un avvocato d’ufficio non significa non avere rapporti con il proprio legale. Decidere di difendersi impugnando la sentenza di primo grado è una decisione che spetta solo ed esclusivamente all’imputato. Come l’imputato che ha nominato un difensore di fiducia, così l’imputato che si è visto nominare un difensore di ufficio si vedrà allo stesso modo tutelato nelle proprie garanzie difensive decidendo al termine del giudizio di primo grado se impugnare o meno la sentenza. 
In questo caso ovviamente non sarà previsto un mandato difensivo vero e proprio (che di fatto si tradurrebbe in una nomina come difensore di fiducia) ma ritengo che saranno previsti degli accorgimenti formali affinchè anche l’imputato difeso di ufficio possa decidere se impugnare la sentenza sempre avvalendosi di un difensore di ufficio.
La questione relativa all’irreperibile “di fatto” mi sembra, invece, un falso problema. Per il “vero” irreperibile è prevista la sospensione del processo ai sensi dell’art. 420quater cpp. L’irreperibile “di fatto” è invece colui che avendo conoscenza del procedimento penale a suo carico (art. 420bis cpp), sostanzialmente se ne disinteressa fino a far perdere ogni traccia di sè. Certamente non si può parlare di limiti al diritto di difesa se un soggetto, a cui sono state messe a disposizione tutte le garanzie difensive, decida di disinteressarsi dell’esito del processo di primo grado e quindi non conferisca uno specifico mandato per l’impugnazione.


2- La previsione del giudice monocratico di appello per i casi di citazione diretta a giudizio riduce la collegialità. Considera quest’ultima un valore? e la previsione avrà autentica efficacia sui tempi di celebrazione del processo, considerato che in primo grado, da quando la riforma “monocratica” è in vigore non si sono avute ricadute sui tempi di celebrazione del processo?

La previsione della competenza della Corte di Appello in composizione monocratica per i procedimenti a citazione diretta rappresenta certamente uno strumento in grado di ridurre i tempi del processo di appello. E’ vero che la collegialità è un valore, ma può sicuramente essere riservata nel giudizio di appello ai soli casi non previsti dall’art. 550 cpp, senza che per questo si possa dubitare della autorevolezza del giudicato monocratico in appello. Sono convinto che una riforma in tal senso avrebbe positive ripercussioni sui tempi del processo d’appello, soprattutto se collegata alla nuova disciplina introdotta per il giudizio d’appello in epoca pandemica (trattazione scritta in camera di consiglio come regola, e trattazione orale come eccezione).



3- Le riforme progettate mirano, da un lato, a rendere più razionale l’invio telematico degli atti di impugnazione e recano in corollario l’eliminazione della regola del deposito fuori sede, dall'altro, mirano a razionalizzare le modalità di celebrazione del giudizio di appello c.d. cartolare pandemico, in quest'ultimo caso rimettendo la scelta opzionale alla espressa richiesta dell’imputato e del suo difensore. Qual è il suo parere?

Il processo penale deve necessariamente diventare sempre più telematico e la possibilità di depositare l’atto di impugnazione con modalità telematiche ne è la logica conseguenza. La digitalizzazione in sede penale è un processo ormai necessario per velocizzare i tempi della giustizia e assolutamente irreversibile.


(*) Emanuele Ravaglioli:  in servizio presso la Procura di Palermo dal 1995 al 2016 (ove ha anche ricoperto l’incarico in seno alla Direzione Distrettuale Antimafia) e dal 2016 in servizio presso la Procura Generale presso la Corte di Appello di Palermo









Il testo della legge delega sull'appello:

Art. 7.

(Appello)

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura penale in materia di appello, per le parti di seguito indicate, sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

   a) prevedere che il difensore possa impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato a impugnare, rilasciato successivamente alla pronunzia della sentenza medesima;

   b) modificare le modalità di presentazione dell'impugnazione e di spedizione dell'atto di impugnazione, con l'abrogazione dell'articolo 582, comma 2, e dell'articolo 583 del codice di procedura penale e la previsione della possibilità di deposito dell'atto di impugnazione con modalità telematiche;

   c) prevedere l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, salvo che per i delitti di cui agli articoli 590, secondo e terzo comma, 590-sexies e 604-bis, primo comma, del codice penale;

   d) prevedere l'inappellabilità della sentenza di condanna a pena sostituita con il lavoro di pubblica utilità;

   e) prevedere l'inappellabilità della sentenza di non luogo a procedere nei casi di cui alla lettera c);

   f) prevedere la competenza della corte di appello in composizione monocratica nei procedimenti a citazione diretta di cui all'articolo 550 del codice di procedura penale;

   g) prevedere la forma del rito camerale non partecipato nei procedimenti di impugnazione innanzi alla corte d'appello in composizione monocratica, qualora ne facciano richiesta l'imputato o il suo difensore e non vi sia la necessità di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale;

   h) prevedere la forma del rito camerale non partecipato, qualora ne facciano richiesta l'imputato o il suo difensore e sempre che non sia necessaria la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, nei casi in cui si procede con udienza in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 599 del codice di procedura penale


Art. 15.

(Misure straordinarie per la definizione dell'arretrato penale presso le corti d'appello)

1. Al   decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, della legge 9 agosto 2013, n. 98, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) all'articolo 62, comma 1, dopo le parole: «definizione dei procedimenti» sono inserite le seguenti: «penali e» e dopo le parole: «Corti di appello» sono inserite le seguenti: «ai sensi dell'articolo 132-bis, comma 2, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, ovvero»;

   b) all'articolo 63, comma 1, la parola: «trecentocinquanta» è sostituita dalla seguente: «ottocentocinquanta».








3) (lett. b):


3) (lett. g): come anticipato, sono personalmente grande fautore del processo di appello pandemico, come disciplinato dall’art. 23bis comma 4 D.L. 149/2020 (convertito in L. 176/2020) e sono convinto che si sia trattato della migliore riforma processual-penalistica degli ultimi anni: per tale motivo non sono affatto convinto della utilità di una riforma nel senso indicato dall’art. 7 comma 1 lett. g) del disegno di legge laddove prevede la trattazione orale come regola e la trattazione in camera di consiglio come eccezione, in pratica sovvertendo lo schema utilizzato per l’appello pandemico.

E’ pur vero che il disegno di legge è anteriore alla pandemia e quindi spero vivamente che il legislatore possa trarre insegnamento dagli ottimi risultati ottenuti con la attuale disciplina dell’appello pandemico e quindi possa proseguire in questi termini. Procedere ad una riforma nel senso indicato nel disegno di legge significherebbe, a mio parere, negare gli ottimi risultati raggiunti durante il periodo di pandemia con la disciplina introdotta dal D.L. 149/2020 e provocare una vera e propria regressione che non porterebbe alcun effetto in termini di riduzione dei tempi del giudizio di appello. 


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