30 aprile 2021

La Riforma del Processo penale - 5.4 la riforma dell'appello - Le risposte del Docente, Annalisa Mangiaracina (*)

Per la rubrica "La Riforma del Processo Penale", ora nella partizione "Il processo che verrà" del nostro blog, ospitiamo l'intervento sul progetto di riforma dell'appello penale con 3 domande al Docente Annalisa Mangiaracina. 
Il piano completo dell'opera è consultabile sulla pagina dedicata di questo blog (link). 
Il progetto di legge per la “DELEGA AL GOVERNO PER LA MODIFICA DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE, DEL CODICE PENALE E DELLA COLLEGATA LEGISLAZIONE SPECIALE E PER LA REVISIONE DEL REGIME SANZIONATORIO DELLE CONTRAVVENZIONI”, è all’esame, in sede referente, della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, che ha anche svolto numerose audizioni inerenti il testo della riforma.




1- La previsione dello specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza di condanna, rischia di diventare un inutile orpello deflattivo che limiterà il diritto di difesa degli imputati assistiti d’ufficio e/o irreperibili di fatto?

La norma che prevede lo specifico mandato ad impugnare dopo la sentenza di condanna non appare condivisibile per due ordini di ragioni: da un lato, sul versante del diritto di difesa; dall’altro, sul piano della deflazione. Dal punto di vista della difesa – al di là di considerazioni legate alla continuità dell’esercizio del munus difensivo – ad essere penalizzati saranno gli imputati che siano assistititi da un difensore d’ufficio: le difficoltà nella comunicazione potrebbero impedire al difensore l’impugnazione e, di conseguenza, determinare il passaggio in giudicato della sentenza. Secondo la Relazione al d.d.l. l’obiettivo è quello di “evitare l’inutile celebrazione di procedimenti nei confronti di imputati incolpevolmente ignari del processo penale”. Tuttavia, l’imputato che sia stato condannato potrebbe poi accedere al rimedio straordinario della rescissione del giudicato ex art. 629 bis c.p.p., per incolpevole mancata conoscenza del processo. In questo modo si tradirebbe l’effetto deflattivo apparentemente perseguito dal testo del d.d.l.: tanto più che la competenza a decidere sulla rescissione del giudicato è, a far data dalla riforma “Orlando” del 2017, proprio della Corte di appello. 


2- La previsione del giudice monocratico di appello per i casi di citazione diretta a giudizio riduce la collegialità. Consideri quest’ultima un valore? e la previsione avrà autentica efficacia sui tempi di celebrazione del processo, considerato che in primo grado, da quando la riforma “monocratica” è in vigore non si sono avute ricadute sui tempi di celebrazione del processo?

La previsione che intende attribuire alla Corte di appello in composizione monocratica la “competenza” nei procedimenti a citazione diretta ex art. 550 c.p.p. non è in alcun modo condivisibile. La collegialità è un valore e la sua perdita in secondo grado, a fronte di provvedimenti relativi anche a fattispecie di reato di una certa complessità, rischia di incidere anche sul piano dell’imparzialità del decidente. Il confronto dialettico che si schiude nella camera di consiglio rappresenta il miglior antidoto alla “prevenzione”. Ancorché il giudice relatore sia colui che meglio conosce il fascicolo processuale, l’apertura al dialogo con gli altri colleghi può schiudere prospettive non esplorate, consentendo una maggiore ponderazione della decisione finale. Peraltro, la soppressione della collegialità non apporterebbe alcun vantaggio sul versante dell’efficienza processuale. Anzi, richiederebbe la disponibilità di un maggior numero di magistrati e, conseguentemente, di personale di cancelleria (nonché di aule!)


3- Le riforme progettate mirano, da un lato, a rendere più razionale l’invio telematico degli atti di impugnazione e recano in corollario l’eliminazione della regola del deposito fuori sede, dall'altro, mirano a razionalizzare le modalità di celebrazione del giudizio di appello c.d. cartolare pandemico, in quest'ultimo caso rimettendo la scelta opzionale alla espressa richiesta dell’imputato e del suo difensore. Qual è il tuo parere?
Come emerge dalla Relazione annuale del Primo Presidente della Corte di Cassazione sull’amministrazione della giustizia, uno dei nodi del giudizio di appello è costituito dai c.d. “tempi di attraversamento”, legati al passaggio del fascicolo processuale dal primo al secondo grado di giudizio. Se così è, va favorita – in un’ottica di speditezza – la presentazione dell’atto di impugnazione da parte del difensore mediante la PEC; rimane però fuori l’imputato che continuerebbe a presentare l’atto di appello in forma cartacea. Sotto il profilo dell’utilizzo della PEC per il deposito anche degli atti di impugnazione, la normativa “pandemica” ha consentito di fare un passo in avanti. Questo, però, non basta. Occorre lavorare sul fascicolo telematico, consultabile da tutte le parti processuali. Rispetto invece al modello di appello cartolare “salvo richiesta di discussione orale”, introdotto dal d.l. ristori bis, il giudizio non è positivo. In una prospettiva di snellimento effettivo del giudizio di appello – tema che richiederebbe considerazioni ben più approfondite – mi sembra maggiormente percorribile la strada inversa: mantenere l’oralità in appello, rimettendo alle parti la possibilità di chiedere la trattazione scritta. In questo senso, le lettere g) ed h) dell’art. 7, comma 1, del d.d.l. intendono introdurre un rito camerale non partecipato, su istanza, qualora ne facciano richiesta l’imputato e il suo difensore nei procedimenti di impugnazione innanzi alla Corte d’appello in composizione monocratica (evenienza, come detto, da escludere) o, ancora, nei casi in cui si proceda in camera di consiglio ex art. 599 c.p.p., sempre che non debba procedersi alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale: questo modello camerale non partecipato su richiesta potrebbe estendersi al di là dei casi individuati nel testo governativo.


(*) Annalisa Mangiaracina:
 
è Professore associato di Diritto processuale penale nell’Università degli Studi di Palermo e Docente nei corsi di Diritto processuale penale e Processo penale comparato, internazionale ed europeo presso il Polo di Trapani. È autrice di lavori monografici (Garanzie partecipative e giudizio in absentia, Giappichelli, 2010; La conversione dell’impugnazione. Un istituto da ripensare, Giappichelli, 2020) e di diversi articoli anche su tematiche concernenti il giudizio di secondo grado (Impugnazioni e pandemia: l’esilio dell’oralità e la “smaterializzazione” della camera di consiglio, in Dir. pen. proc., 2021, n. 2, p. 177 ss.; Prove tecniche per la “soppressione” del giudizio di appello?, in Arch. pen., 2020, n. 3; Dan v Moldavia 2: la rinnovazione in appello tra itinerari sperimentati e cedimenti silenziosi, in Arch. pen., 2020, n. 3)







Il testo della legge delega sull'appello:

Art. 7.

(Appello)

1. Nell'esercizio della delega di cui all'articolo 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura penale in materia di appello, per le parti di seguito indicate, sono adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

   a) prevedere che il difensore possa impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato a impugnare, rilasciato successivamente alla pronunzia della sentenza medesima;

   b) modificare le modalità di presentazione dell'impugnazione e di spedizione dell'atto di impugnazione, con l'abrogazione dell'articolo 582, comma 2, e dell'articolo 583 del codice di procedura penale e la previsione della possibilità di deposito dell'atto di impugnazione con modalità telematiche;

   c) prevedere l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa, salvo che per i delitti di cui agli articoli 590, secondo e terzo comma, 590-sexies e 604-bis, primo comma, del codice penale;

   d) prevedere l'inappellabilità della sentenza di condanna a pena sostituita con il lavoro di pubblica utilità;

   e) prevedere l'inappellabilità della sentenza di non luogo a procedere nei casi di cui alla lettera c);

   f) prevedere la competenza della corte di appello in composizione monocratica nei procedimenti a citazione diretta di cui all'articolo 550 del codice di procedura penale;

   g) prevedere la forma del rito camerale non partecipato nei procedimenti di impugnazione innanzi alla corte d'appello in composizione monocratica, qualora ne facciano richiesta l'imputato o il suo difensore e non vi sia la necessità di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale;

   h) prevedere la forma del rito camerale non partecipato, qualora ne facciano richiesta l'imputato o il suo difensore e sempre che non sia necessaria la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, nei casi in cui si procede con udienza in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 599 del codice di procedura penale


Art. 15.

(Misure straordinarie per la definizione dell'arretrato penale presso le corti d'appello)

1. Al   decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, della legge 9 agosto 2013, n. 98, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) all'articolo 62, comma 1, dopo le parole: «definizione dei procedimenti» sono inserite le seguenti: «penali e» e dopo le parole: «Corti di appello» sono inserite le seguenti: «ai sensi dell'articolo 132-bis, comma 2, delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, ovvero»;

   b) all'articolo 63, comma 1, la parola: «trecentocinquanta» è sostituita dalla seguente: «ottocentocinquanta».


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