14 aprile 2021

Il deposito di atti del procedimento penale tramite portale: dubbi interpretativi e ipotesi concrete di violazione del diritto di difesa - di Mattia Serpotta (*)

Nel giorno in cui il TAR Lazio discute il ricorso della Camera Penale di Catania "Avvocato Serafino Famà”, siamo lieti di ospitare l'intervento del Collega Mattia Serpotta (ai link del testo troverete il ricorso, i rimandi ai contributi pubblicati in questo blog e i documenti pubblicati sul sito della Camera Penale di Trapani "Avvocato Giuseppe Rubino").




Il deposito di atti del procedimento penale tramite portale: dubbi interpretativi e ipotesi concrete di violazione del diritto di difesa - di Mattia Serpotta (*)

1. Considerazioni introduttive

L’art. 24 del decreto ‒ legge n. 137 del 2020, convertito con legge n. 176 del 2020 (link), era destinato nelle intenzioni, stando almeno alla sua rubrica, a semplificare l’attività degli avvocati e delle cancellerie nella vigenza dell’emergenza epidemiologica da COVID 19.
In questa direzione, la norma ha da una parte introdotto l’obbligo di depositare al portale del processo penale telematico alcuni atti ‒ “memorie, documenti, richieste ed istanze indicate dall’articolo 415 bis, comma 3, c.p.p.” ‒ destinati all’Ufficio della Procura della Repubblica; dall’altra, ha riconosciuto la possibilità, intesa come mera facoltà, di utilizzare la posta elettronica certificata per il deposito di tutti gli altri atti, individuati in via residuale, comunque denominati e anche se diretti a un’Autorità diversa dalla Procura.

Il comma 2 dell’art. 24 ha poi rimesso a uno o più Decreti del Ministro della Giustizia il compito di selezionare gli ulteriori atti per i quali il deposito tramite portale avrebbe dovuto essere ‒ stando almeno alla lettera della norma ‒ semplicemente “possibile”.
L’art. 1 del Decreto del Ministro Bonafede del 13.1.21 (link) ha invece previsto che il deposito dell’opposizione alla richiesta di archiviazione, della denuncia, della querela e della relativa procura speciale, della nomina del difensore e della rinuncia o revoca del mandato, anche di parti diverse dall’indagato, avvenga “esclusivamente” mediante il portale.

Da più parti si sono sollevate numerose critiche alla scelta governativa (link), culminate nella delibera di astensione dalle udienze penali proclamata dall’Unione delle Camere penali (link), non comprendendosi le ragioni per le quali, gli avvocati siano stati catapultati, dall’oggi al domani e senza aver maturato alcuna esperienza, in un mondo al quale non erano affatto preparati, senza invece prevedere, come avvenuto nel settore civile, un periodo di rodaggio che consentisse di sperimentarne il funzionamento. Tale scelta politica appare ancora più grave, se si tiene a mente, da una parte, che il Decreto Bonafede è con ogni evidenza un atto amministrativo contra legem, prevedendo l’obbligatorietà del deposito al portale, laddove l’art. 24, comma 2, lo aveva immaginato come facoltativo, e dall’altra che i provvedimenti amministrativi del DGSIA, chiamati a disciplinarne il (mal)funzionamento e le specifiche tecniche degli atti, hanno di fatto legittimato, come meglio si vedrà più avanti, una chiara deroga alle disposizioni del codice di rito, con conseguente compressione del diritto di difesa.

Su tale ultimo punto, si segnala che la Camera penale di Catania ha depositato dinanzi al Tar Lazio ricorso per ottenerne la sospensione in via cautelare e che la decisione in camera di consiglio è stata fissata il 14.4.21 (link).

2. L’atto abilitante

Il lato più oscuro della disciplina introdotta dal D.M. 13.1.21 si manifesta nel momento in cui il difensore intenda depositare la nomina del proprio assistito, in particolare quella dell’indagato nella fase che precede l’eventuale emissione dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p.
Il Provvedimento DGSIA del 24 febbraio 2021 prevede all’art. 5, comma 4, che “al deposito della nomina deve essere allegato un cosiddetto atto abilitante”.

L’art. 1, comma 1, lett. b) del citato provvedimento definisce l’atto abilitante quello “da cui risulti la conoscenza dell’esistenza di un procedimento relativo al proprio assistito e il relativo numero di Registro”.
A ciò si aggiunga che l’art. 7, comma 1, lett. a), stabilisce che l’avvocato, per poter essere abilitato a depositare la nomina, deve obbligatoriamente inserire nel portale i “dati richiesti dal sistema” e cioè, per come previsto anche dal “Manuale utente del Portale Deposito Penale” dell’11.2.21, il numero del procedimento e le generalità del Pubblico Ministero titolare del fascicolo.

Ebbene, il giurista impallidisce di fronte a una procedura che, oltre a legittimare un vero e proprio requisito di ammissibilità del deposito della nomina, sconosciuto al codice e per di più introdotto con un atto amministrativo che non ha certamente nè la forza, né la legittimazione per derogarlo, in molti casi impedisce la comunicazione all’Ufficio della Procura dell’avvenuta formalizzazione del mandato difensivo, in spregio al principio di immediatezza previsto dall’art. 96 c.p.p. (link).

Un esempio, affatto di scuola, può forse aiutare a comprenderne i risvolti sul piano pratico.
Si immagini che Tizio, già difeso dall’Avvocato Caio nell’ambito di un procedimento del quale abbia avuto notizia all’esito di istanza ex art. 335 c.p.p., decida di revocare il mandato e di nominare l’Avv. Sempronio.
Nel caso in cui l’Avv. Caio, il quale legittimamente conosce il numero di R.G.N.R. e il nome del Pubblico Ministero, non avrà avuto cura di conservare al fascicolo la certificazione di cui all’art. 335 c.p.p., l’Avv. Sempronio non potrà depositare la propria nomina, salvo a ricorrere all’inusuale strumento della raccomandata. In alternativa, dovrà quindi procedere a una nuova istanza ex art. 335 c.p.p. e attenderne gli esiti.
In entrambi i casi, però, l’impossibilità di formalizzare immediatamente la dichiarazione di nomina renderà non efficaci ‒ per un lasso temporale significativo ‒ tutte le garanzie di cui all’art. 103 c.p.p.

Continuando nell’esempio di cui sopra, gli investigatori potrebbero nelle more procedere all’intercettazione delle comunicazioni tra l’Avv. Sempronio e il suo assistito, con grave menomazione della libertà e inviolabilità del mandato difensivo, e ciò nonostante il rapporto giuridico tra i due si sia già perfezionato.

3. Le ulteriori criticità del portale (link)

In termini generali, desta ancora più preoccupazione un meccanismo nel quale il deposito di un atto cessi di essere un’attività defensionale libera, ma venga di fatto rimessa a una valutazione preliminare e prodromica ‒ espressa nelle forme dell’accettazione o del rifiuto, nella migliore delle ipotesi, addirittura della “non risposta”, nelle peggiori ‒ rispetto alla quale l’avvocato non ha diritto di interloquire, né di esercitare alcuna forma di controllo successivo.

Questo meccanismo viene poi certamente esasperato dalla previsione delle specifiche tecniche che l’atto deve rispettare, tutte ispirate a un anacronistico rigore formale, il quale, oltre che estraneo alle previsioni del codice, si rivela di fatto inutile, considerando che l’atto è caricato al sistema da un difensore che si è in precedenza autenticato al sistema.

Frequenti in questi mesi sono stati poi i casi di interruzione del servizio, con gravi ed estenuanti disagi per tutta l’avvocatura. Anche questo desta non poca preoccupazione per l’esercizio del diritto alla difesa, mettendo in luce tutta la pericolosità di una procedura che, non ammettendo modalità alternative, rimette di fatto la possibilità di effettuare il deposito al funzionamento del portale.

Sul piano pratico, le superiori considerazioni pongono un problema non trascurabile nel caso di scadenza di un termine, specialmente se perentorio, come quello previsto dall’art. 415 bis c.p.p.: cosa deve fare l’avvocato che non si veda accettato il deposito entro il termine, anche quando sembra rispettare le caratteristiche tecniche richieste, o che non riesca ad accedere al portale?

In molte Procure, sono state introdotte delle vere “clausole di salvaguardia”, di fatto contrarie alle previsioni di legge, in forza alle quali, nella prima ipotesi, l’atto verrà comunque trasmesso e acquisito al fascicolo cartaceo, nella seconda, il difensore potrà depositarlo a mezzo PEC, ex art. 24, comma 4, allegando la prova dell’impossibilità di utilizzare il portale.

È un meccanismo però che non lascia dormire sonni tranquilli. Ricorriamo anche qui a un esempio affatto di scuola. Ipotizziamo che, nonostante una richiesta di interrogatorio acquisita ‒ come sopra ‒ irritualmente dalla Procura, il Pubblico Ministero ometta poi di procedervi e che il difensore eccepisca in giudizio la relativa nullità prevista dall’art. 415 bis c.p.p. Il Giudice potrà certamente rigettare l’eccezione, anche a fronte di qualsivoglia impegno della Procura ‒ codificato per iscritto ‒ a non opporsi in futuro, sanzionando il mancato deposito dell’atto nelle forme di legge.

In definitiva, dunque, si chiede oggi agli avvocati e ai loro assistiti di addossarsi persino il peso delle inefficienze e del malfunzionamento del sistema, con buona pace dei principi costituzionali in tema di diritto alla difesa (link).

3. La denuncia ‒ querela

Un ulteriore profilo di incertezza, quantomeno nella scelta della tecnica legislativa, deriva dalla previsione del D.M. del 13.1.21 secondo la quale devono essere esclusivamente depositati al portale, tra gli altri, la “querela di cui all’art. 336 c.p.p. e la relativa procura speciale”.
Rispetto a tale atto, l’unico rispetto al quale potrebbero seriamente in futuro porsi problemi di procedibilità, la norma, stando ancora una volta alla sua lettera, sembrerebbe limitare il deposito alla sola ipotesi in cui il difensore sia munito della procura speciale di cui all’art. 122 c.p.p.

In altri termini, è il caso, affatto frequente, in cui il legale rediga in nome proprio l’atto querelatorio. Nel caso in cui invece la querela sia sottoscritta personalmente dalla parte, la cui firma viene autenticata dal difensore ex art. 39 disp. att. c.p.p., a sua volta semplicemente delegato al deposito ex art. 337 c.p.p., l’atto dovrà certamente essere depositato in formato cartaceo.

Si tratta, in realtà, di una interpretazione non unanime. Si registrano infatti direttive delle singole Procure, attraverso le quali, in una sorta di federalismo giudiziario, si “invitano” gli avvocati a depositare al portale anche le querele per le quali abbiano ricevuto solamente la delega ex art. 337 c.p.p., anche qui con l’impegno di non opporre questioni di procedibilità per il futuro.

Il problema, come è agevole comprendere, è che queste interpretazioni rimangono tali e non sollevano il difensore dal rischio di future eccezioni, che potrebbero trovare sponda nell’accoglimento dei giudici delle successive fasi processuali.
Gli avvocati che non vogliano dunque correre alcun pericolo in questa direzione, non possono far altro che invitare il proprio assistito a depositare la querela personalmente o, se delegati ex art. 337 c.p.p., procedere dinanzi a un ufficiale di polizia giudiziaria, così come previsto dall’art. 333 c.p.p., richiamato dall’art. 336 c.p.p. Quest’ultima interpretazione appare confermata dallo stesso art. 24 del Decreto ‒ legge 137 del 2020, che disciplina come obbligatorio al portale solo il deposito dinanzi all’Ufficio di Procura.

5. Il deposito di allegati in formato diverso dal PDF o eccedenti i 30 MB

Come noto, il portale non consente il deposito di un allegato in formato diverso dal PDF (es. audio, video, immagini) o eccedente le dimensioni di 30 MB. Cosa fare in questo caso? È chiaro che l’unica

alternativa è quella di produrre l’allegato fisicamente alla segreteria del Pubblico Ministero, magari specificando nell’atto principale caricato al portale ‒ es. memoria ex art. 415 bis c.p.p., opposizione alla richiesta di archiviazione ‒ che tale allegato sarà depositato con quella modalità necessaria. Non si è in grado di prevedere, però, nel silenzio della normativa, quali conseguenze potranno derivare dal deposito effettuato con modalità non espressamente consentite, con il rischio concreto, ancora una volta, di una compressione del diritto di difesa.

6. L’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione

L’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione ‒ definita dal D.M. 13.1.21 “opposizione alla archiviazione” ‒ rientra tra gli atti che devono essere depositati al portale.
Dovrebbe essere solo apparente la contraddizione tra tale disposizione e quella introdotta dalla legge di conversione dell’art. 24, che ha espressamente previsto che l’atto di opposizione si deposita tramite PEC, secondo le modalità previste dai commi 6 bis e seguenti per l’atto di impugnazione.

La contraddizione, sollevata a caldo in alcuni commenti, dovrebbe però superarsi alla luce del comma 6, il quale prevede infatti che, per gli atti di cui al comma 1 e per quelli che “saranno individuati” ai sensi del comma 2 con il Decreto del Ministro ‒ come l’atto di opposizione indicato dal D.M. 13.1.21 ‒ “l’invio tramite posta elettronica certificata non è consentito e non produce alcun effetto di legge”.

7. Termine per il deposito

Un’ultima questione riguarda i termini di deposito dell’atto tramite portale. L’art. 24, per come recentemente convertito, nulla disciplina in ordine alla tempestività del deposito tramite portale. Nel silenzio della legge, appare quindi consigliabile rispettare gli orari di chiusura della cancelleria della Procura, ex art. 172 c.p.p.

Ciò si dice ragionando a contrario. L’art. 24 introduce infatti espressamente il principio per il quale il deposito degli atti via PEC, a chiunque rivolti, compresa quindi anche la Procura, è tempestivo quando è eseguito entro la fine del giorno di scadenza.


(*) Mattia Serpotta: Avvocato penalista, iscritto all'albo del Foro di Catania dal 2007 e a quello dei cassazionisti dal 2019. Membro del Direttivo della Camera penale 'Serafino Famà'' di Catania.  Dottore di ricerca in Diritto privato generale. Si occupa di diritto penale di impresa e di responsabilità ex D. lgs. 231/2001. 

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