La vicenda (sentenza al link)
La difesa ha chiesto al Tribunale di emettersi sentenza di non doversi procedere nei confronti dell'imputato per il delitto di bancarotta per essere stata l'azione penale esercitata con riferimento a fatti già coperti dall'ordinanza di archiviazione emessa dal G.i.p. senza che fosse stata prima richiesta, e poi disposta, la riapertura delle indagini.
INQUADRAMENTO
Chi è stato già giudicato non può essere sottoposto ad un secondo giudizio che abbia ad oggetto il medesimo fatto.
Il divieto, previsto dall’art. 649 c.p.p., ha portata più ampia di quella stabilita ad litteram dalla norma, in quanto si estende anche alle sentenze non definitive ed è riconducibile al principio generale che vieta la duplicazione dell’azione conto lo stesso imputato.
Il divieto, in altri termini, “consuma” la successiva azione e quindi il potere di ius dicere in ordine all’identica regiudicanda.
Ne segue che, sull’identità del fatto, la domanda andrà dichiarata “improcedibile” e il giudice dovrà pronunciarsi per il non luogo a procedere (ex artt. 529 o 425 c.p.p.) ovvero con decreto di archiviazione laddove l’azione penale non sia stata ancora esercitata.
LE RAGIONI DEL DIVIETO
Si tratta di un insegnamento risalente al diritto romano (bis de eadem re non sit actio) posto a garanzia dell’imputato e volto ad impedire le azioni superflue o di abuso del processo.
La regola è, quindi, fondamentale per evitare l’incertezza sia delle decisioni giudiziali sia dello stesso sistema giuridico.
Il divieto del ne bis in idem ha rango di diritto dell’uomo a garanzia delle libertà fondamentali.
Il protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali dispone, all’art. 4, che “nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è stato già assolto o condannato a seguito di sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato”. Il principio è ribadito nella Carta dei diritti fondamentali dell’U.E, c.d. Carta di Nizza, che, all’art. 50, lo prevede come “diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato”.
Il divieto del doppio giudizio è, poi, previsto nelle convenzioni pattizie di diritto internazionale.
La garanzia ha carattere processuale e si estrinseca, come detto, nell’effetto di impedire un secondo pronunciamento giurisdizionale sul medesimo fatto.
«(1) La Corte EDU ha per lungo tempo insistito per un deciso ampliamento dell'ambito di applicazione dello stesso, sostenendo che, in presenza di due presupposti – a) la natura sostanzialmente penale di entrambe le sanzioni inflitte o da infliggersi; b) la presa in considerazione da parte dell'ordinamento nazionale di un medesimo fatto storico considerato nelle sue coordinate spazio-temporali – l'inizio (o la prosecuzione) di un successivo procedimento dopo che il primo fosse giunto a una pronuncia definitiva avrebbe automaticamente costituito una violazione dell'art. 4 prot. 7 Cedu.
Con riferimento alla nozione di stesso fatto i giudici di Strasburgo hanno da sempre ribadito che l'articolo 4 del protocollo n. 7 deve essere inteso nel senso che esso vieta di perseguire o giudicare una persona per un secondo «illecito» nella misura in cui alla base di quest'ultimo vi sono fatti che sono sostanzialmente gli stessi (Cfr. Cedu, Grande Camera, Sergueï Zolotoukhine c. Russia, n. 14939/03). Ciò significa dunque che perché vi sia identicità del fatto perseguito dal medesimo ordinamento in sedi diverse – non è necessaria una identità delle accuse in tutti i loro elementi ma più semplicemente – che i fatti ascritti al soggetto giudicato in più procedimenti siano riconducibili alla stessa condotta. In sostanza, la Corte europea da tempo utilizza una nozione sostanziale di materia penale».
[1 Tra virgolette, con gli adattamenti del caso, si riportano le osservazioni mutuate dal contributo di Ciro Santoriello, Il ne bis in idem nella giurisprudenza della Corte di Giustizia UE: “così è se vi pare” (o almeno se così riterrà il singolo giudice nazionale, pubblicate su Il Penalista]
Utile osservare come nella definizione della identità il fatto prescinde dalla diversa qualificazione giuridica che di esso si può dare.
In tal senso si è pronunciata anche la giurisprudenza europea (Corte Edu, Sez. I, 25 giugno 2009, Maresti c. Croazia) in un caso in cui un cittadino era stato condannato da due autorità giudiziarie diverse per aver prima ingiuriato (he firstly insulted) e poi percosso un soggetto (and then pushed him with both hands and … started to hit him with his fists many times). La Corte ha rilevato la violazione dell’art. 4 del protocollo 7 della Cedu per l’identità del fatto (in respect of the same event and the same facts) ed ha ritenuto operante il divieto di ne bis in idem (this had violeted his right non to be tried and punished twice for the same offence). Ne segue, ad esempio, che il potere di azione del pubblico ministero sarà “consumato” dall’esercizio della prima azione, senza possibilità di “sperimentare” la sussunzione del medesimo fatto in un’altra fattispecie illecita.
A fortiori nel caso in esame, nel quale ricorre la identità del fatto storico e della contestazione
I PRESUPPOSTI DEL DIVIETO: 1) IRREVOCABILITÀ, 2) EADEM PERSONA E 3) IDEM FACTUM
Nonostante la lettera dell’art. 649 c.p.p. faccia riferimento alla sentenza definitiva, è ormai ius receptum che la regola del divieto di doppio giudizio si applichi anche in presenza di decisioni non irrevocabili.
Il contrasto tra le sezioni semplici è stato risolto dalla sentenza a Sezioni Unite del 2005 (Cass. SSUU 28.06.2005 n. 34655) a favore della operatività del divieto di duplicazione del processo anche in assenza di un precedente giudicato definitivo, e ciò per evitare che per lo stesso fatto reato si svolgano più procedimenti e si emettano più provvedimenti, l’uno indipendente dall’altro (Cass. Sez. V 10 luglio 1995 n. 1919).
Invero, secondo le Sezioni Unite, la regola del divieto del secondo processo costituisce non solo “un diritto civile e politico dell’individuo”, ma tende anche a garantire la “proliferazione dell’unico processo” con una “evidente distorsione dell’attività giurisdizionale”.
La norma, al di là della sua espressione letterale, assicura anche l’efficienza del sistema e tende ad impedire la duplicità delle decisioni “al pari delle norme sui conflitti di competenza e dell’art. 669 c.p.p.”.
Il divieto di ne bis in idem informa quindi l’intero sistema processuale nel quale l’art. 649 c.p.p. “costituisce un singolo, specifico, punto di emersione del principio che permea l’intero ordinamento, dando vita ad un preciso divieto di reiterazione dei procedimenti e delle decisioni sull’identica regiudicanda” (Cass. SS.UU: cit.).
In questo filone, del resto, aveva cominciato a muoversi anche la Consulta che, abbandonato il suo precedente orientamento del 1976, aveva ritenuto:
a) “… precluso l’esercizio dell’azione penale … riguardante il medesimo fatto già oggetto di archiviazione, in carenza di autorizzazione del giudice a riaprire le indagini” (C. Cost. sent. n. 27/1995);
b) e, sia pure con obiter dictum, che l’operatività dell’art. 529 c.p.p. “non è limitata, secondo quanto questa Corte ha già chiarito nella sentenza , ai casi di difetto delle condizioni di procedibilità espressamente enumerate nel Titolo III del Libro V del codice di procedura penale, ma può essere ragionevolmente estesa fino a comprendere tutte le ipotesi in cui per quel medesimo fatto l’azione penale non avrebbe potuto essere coltivata in un separato procedimento perché già iniziata in un altro” (C. Cost. ord. n. 318/2001);
c) infine, ha ammesso l’interpretazione estensiva della regola del divieto di cui all’art. 649 c.p.p. tanto da escludere l’incompatibilità del giudice dell’udienza preliminare chiamato a pronunciarsi in un secondo giudizio rispetto a fatti per i quali il medesimo giudicante aveva già disposto il rinvio a giudizio ed era pendente il giudizio sull’appello proposto dall’imputato avverso la condanna di primo grado (C. Cost. ord. n. 39/2002).
Gli altri presupposti del divieto sono: l’identità soggettiva e l’identità oggettiva.
Quanto alla prima (eadem persona) non vi sono particolari difficoltà a definirla, e, nel caso in commento, risulta evidente.
Analogamente per la individuazione della identità oggettiva (idem factum): i fatti sono gli stessi.
Tradizionalmente con la nozione di identità del fatto s’intende la coincidenza tra tutte le componenti della fattispecie concreta. Pertanto, sussiste fatto identico quando si è in presenza di una corrispondenza storico naturalistica tra tutti gli elementi costitutivi della fattispecie: condotta, evento, nesso causale. Non rileva invece il fatto-reato in senso giuridico, sebbene, nel caso in esame, ricorra anche quello.
Ne segue che il potere di azione del pubblico ministero sarà “consumato” dall’esercizio della prima azione, senza possibilità di “sperimentare” la sussunzione del medesimo fatto in un’altra fattispecie illecita.
ASPETTI PROCESSUALI NEI CASI DI ASSENZA DI DEFINITIVITÀ DELLA SENTENZA
L’applicazione estensiva della regola di cui all’art. 649 c.p.p. è ammissibile nel caso in cui le duplicazioni si verifichino all’interno della stessa sede giudiziaria (come in questo caso) ed a prescindere dalla diversa fase o grado in cui versino, rimanendo invece la materia regolata dalle previsioni di cui all’art. 28 c.p.p. per l’eventualità in cui la duplicazione riguardi processi pendenti in sedi diverse (c.d. conflitto positivo proprio).
Ne segue che solo in tutte le situazioni in cui vi sia litipendenza che non implichi un conflitto di competenza, come nel nostro caso, l’azione penale andrà dichiarata impromovibile indipendentemente dalla esistenza di un giudicato penale. La regola del divieto di un secondo processo ha, infatti, carattere di principio generale dell’ordinamento e deve conformare l’interpretazione del giudice secondo il principio di cui all’art. 12 delle preleggi.
Infatti, "non può essere nuovamente promossa l'azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M., di talché nel procedimento eventualmente duplicato deve essere disposta l'archiviazione, oppure, se l'azione sia stata esercitata, deve essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità” (SS.UU. cit.).
In adesione al dictum delle SSUU, s'è pronunciata la giurisprudenza di merito: Trib. Terni, 27/11/2014: <<In materia penale, nel caso di contestuale pendenza presso lo stesso ufficio, o presso uffici diversi della stessa sede giudiziaria, di più procedimenti penali per uno stesso fatto e nei confronti della stessa persona, una volta esercitata l'azione penale nell'ambito di uno di tali procedimenti, deve considerarsi indebita la reiterazione dell'esercizio del potere di promuovere l'azione penale stessa, in ossequio al divieto di bis in idem dopo la formazione del giudicato; ne consegue che, nell'ambito del secondo procedimento, va chiesta e disposta l'archiviazione ovvero, nel caso in cui l'azione penale sia già stata esercitata, ne va dichiarata l'improcedibilità con sentenza>>. Si veda anche Trb. Santa Maria Capua Vetere Sez. I 6.8.2014.
In questo filone interpretativo si muove la sentenza del Tribunale di Trapani che pubblichiamo al link