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28 febbraio 2021

Ancora sulle pec desaparecidos

Ci eravamo già occupati del caso delle PEC disperse, A.A.A. - Cercasi pec disperatamente: il caso delle pec desaparecidos. Il caso è ancora sub iudice dopo che è stata presentata l'istanza di correzione.

Diamo, frattanto, notizia di un'altra pec dispersa, poi ritrovata, che ha "costretto" la Corte d'Appello di Palermo, sezione seconda penale, a provvedere con ordinanza alla correzione della sentenza.

Com'è noto, costituisce principio consolidato quello per cui <<è emendabile, ai sensi dell'art. 130 cod. proc. pen., la sentenza di conferma resa dal giudice di appello all'esito di rito ordinario che abbia omesso di condannare l'imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile nel grado, qualora non risultino dalla motivazione elementi indicativi della volontà del giudice di disporre la compensazione, totale o parziale, di dette spese ed emerga, invece, la giustificazione del pagamento in favore della parte civile (vedi Cass. Sez. V, 4.3.19 n. 14702, in CED Cass. Rv. 275254)>>.

Nel caso di specie, una delle (tante) parti civili in un processo di truffa, aveva concluso inviando telematicamente le conclusioni. Anche in questo caso, a causa della verosimile omessa stampa delle conclusioni e del loro inserimento nel fascicolo, era sfuggito alla Corte di provvedere alla liquidazione delle spese del grado. DA qui la necessità di correggere la sentenza.

La via al processo penale telematico si presenta piena di insidie da inefficienze del sistema ... 

Scarica la 👉sentenza n. 5027/2020 dep. il 22.2.2021 della Corte d'Appello di Palermo, Sezione seconda penale, e l'ordinanza di correzione.

❌Utilità❌ è ora possibile accedere al portale depositi atti penali con spid anche da smartphone

È stato abilitato l’accesso al portale dei depositi atti penali mediante Spid. L’opzione consente di accedere al portale anche attraverso smartphone e device senza lettore di Smart card.


27 febbraio 2021

Non è abnorme il provvedimento del GIP di Palermo che ha dichiarato inammissibile la richiesta di incidente probatorio della P.G. avocante le indagini



È stata ora depositata la sentenza della Cass. pen., Sez. IV n. 30287-2020.

In sentenza si riassume così il caso: <<Il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Palermo ricorre avverso il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari del capoluogo siciliano, in data 17 febbraio 2020, ha dichiarato inammissibile la richiesta di incidente probatorio mediante perizia medico - legale avanzata ex art. 392, comma 2, cod.proc.pen. dal Pubblico ministero ... Il procedimento aveva formato oggetto di avocazione da parte della Procura generale, in data 3 ottobre 2019, a seguito della fissazione di udienza camerale conseguente a richiesta di archiviazione (con opposizione) presentata il 2 maggio dello stesso anno dal P.M. procedente. Il G.i.p., nel provvedimento impugnato, ha rilevato che la richiesta di incidente probatorio era tardiva, essendo stata presentata dopo lo spirare del termine per il compimento delle indagini preliminari e senza la presentazione di una tempestiva richiesta di proroga;... Quale unico, ampio motivo del ricorso, il P.G. ricorrente deduce l'abnormità del provvedimento, sul rilievo che l'intervenuta avocazione del procedimento comporta l'inapplicabilità del termine per il compimento delle indagini preliminari, cui fa riferimento l'ordinanza impugnata per la richiesta di incidente probatorio (in quanto proposta ex art. 392, comma 2, cod.proc.pen.), dal che discende che il provvedimento del G.i.p. contiene una decisione al di fuori delle norme giuridiche che non trova nessun appiglio nel sistema ... >>.

La motivazione -  La sentenza fa il punto sul tema dell'atto abnorme: <<... dai principi generali affermati dalla giurisprudenza di legittimità ... é affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L'abnormità dell'atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l'atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo (Sez. U, Sentenza n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, Di Battista, Rv. 209603; conforme Sez. U, Sentenza n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, Magnani, Rv. 215094). L'elaborazione della nozione di atto abnorme, peraltro, ha trovato compiuta espressione nella sentenza a Sezioni Unite Toni (Sez. U, Sentenza n. 25957 del 26/03/2009), in cui si é affermato che l'abnormità, «più che rappresentare un vizio dell'atto in sé, da cui scaturiscono determinate patologie sul piano processuale, integra - sempre e comunque - uno sviamento della funzione giurisdizionale, la quale non risponde più al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale é riconosciuta dall'ordinamento» ... (ciò che contraddistingue l'abnormità dell'atto rispetto alla non abnormità é proprio «l'esistenza o meno del potere di adottarlo»)>>. 

La soluzione adottata - La sentenza in commento ha quindi ritenuto inammissibile il ricorso della Procura Generale presso la Corte d'Appello di Palermo non potendo il provvedimento impugnato qualificarsi come atto abnorme. 
La decisione è conforme alle conclusioni del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione e alle memorie difensive degli indagati.
Invero, come si osserva in sentenza, <<... il provvedimento impugnato, indipendentemente dalla corretta applicazione delle norme di riferimento, non é stato emesso "al di fuori" del perimetro dei poteri e delle facoltà accordate all'organo giudicante in subiecta materia, avendo [il G.i.p.] comunque provveduto in forza della propria prerogativa di decidere sulla richiesta di incidente probatorio, riconosciutagli dall'ordinamento. Sotto altro profilo, d'altronde, la decisione impugnata non ha comunque comportato né una stasi, né una regressione del procedimento. Ne discende che essa non é inquadrabile ad alcun titolo nell'anzidetta nozione di abnormità processuale>>. 

Scarica la sentenza al 👉 link

26 febbraio 2021

Nuove utilità del nostro blog: tutti i provvedimenti del processo telematico

A sinistra e in fondo alla pagina del nostro blog, nella sezione Pagine, troverete una nuova funzionalità:Utilità Telematiche, DGSIA e Manuale

All'interno della pagina troverete tutti i provvedimenti del DGSIA, gli indirizzi PEC, il Manuale del Portale Depositi Atti Penali e il Formulario delle istanze.






Postepay evolution e truffe contrattuali "on-line": qual è il giudice competente per territorio? (*) di Fabrizio Guercio




Il Tribunlale di Marsala si dichiara incompetente per territorio in favore del Tribunale di Bolzano, Sezione distaccata di Bressanone (scarica la sentenza n. 230/2021 al 👉 link).


Premesso che il reato di truffa si consuma nel momento e nel luogo in cui il soggetto agente consegue effettivamente l'ingiusto profitto con correlativo danno patrimoniale altrui (cfr., ex pluribus, Cass. Pen., Sez. II, n. 27833/2019, secondo cui «il momento consumativo del reato è quello in cui l'imputato ha incassato il denaro e non quello in cui l'ente indotto in errore ha deliberato i mandati di pagamento»), con riferimento alle truffe contrattuali e, in particolare, a quelle ‘‘on-line’’, la Suprema Corte – nell’individuare il tempus e il locus commissi delicti – ha effettuato una fondamentale distinzione a seconda del metodo di pagamento utilizzato dal deceptus, statuendo nel senso che:


1.in caso di «accredito su carta di pagamento ricaricabile (nella specie "postepay"), il tempo e il luogo di consumazione del reato sono quelli in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta, poiché tale operazione ha realizzato contestualmente sia l'effettivo conseguimento del bene da parte dell'agente, che ottiene l'immediata disponibilità della somma versata, e non un mero diritto di credito, sia la definitiva perdita dello stesso bene da parte della vittima» (cfr., da ultimo, Cass. Pen., Sez. II, n. 23781/2020), di guisa è territorialmente competente il Tribunale nel cui circondario ha avuto luogo la ricarica della carta di pagamento;


2. nel caso di pagamento effettuato tramite bonifico bancario, posto che l’ordine impartito alla banca di effettuare il pagamento non comporta l’immediata percezione dalla somma da parte del beneficiario e, quindi, un’effettiva deminutio patrimonii per l’ordinante (e invero, l’accredito avviene a distanza di alcuni giorni e, prima di tale momento, l’ordinante può sempre revocare il bonifico), «il reato si consuma con l'accreditamento della somma di denaro sul conto corrente del destinatario», con la conseguenza che, «ai fini della determinazione della competenza per territorio, occorre fare riferimento all'istituto bancario del luogo in cui il destinatario del bonifico ha aperto il conto corrente» (cfr. Cass. Pen., Sez. F., n. 37400/2016, nonché, più di recente, Cass. Pen., Sez. II, n. 54948/2017).


Alla luce dei suesposti e condivisibili orientamenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione, dunque, con riferimento alle ipotesi di pagamento effettuato in favore di una carta di debito ‘‘Postepay evolution’’ (che, com’è noto, consente di ricevere pagamenti anche mediante bonifico bancario, in quanto associata ad un codice IBAN), deve aversi esclusivo riguardo alle concrete modalità di accredito della somma di danaro oggetto dell’atto di disposizione patrimoniale, nel senso che:


  • in caso di ricarica immediata della carta di pagamento de qua, la fattispecie delittuosa deve ritenersi consumata nel tempo e nel luogo in cui la persona offesa ha effettuato la ricarica, tale operazione avendo determinato, simultaneamente, il conseguimento di un ingiusto profitto da parte del reo (il quale ha ottenuto l’immediata disponibilità del danaro) e di un correlativo danno patrimoniale per il soggetto passivo del reato (definitivamente privatosi della somma versata);

  • in caso di pagamento a mezzo bonifico bancario, il reato deve ritenersi consumato soltanto con l’effettivo accreditamento della somma di danaro sul conto corrente del destinatario e nel luogo in cui si trova la filiale dell’istituto bancario presso cui il reo ha aperto il proprio conto corrente.



(*) Fabrizio Guercio: è Magistrato Ordinario con funzioni giudicanti penali presso il Tribunale di Marsala dal novembre del 2020. Laureato nel marzo del 2014 con il massimo dei voti in tutte le discipline e con la valutazione finale di 110/110, con lode, menzione al curriculum studiorum, nonché alla tesi di laurea, redigendo un elaborato di tipo sperimentale, nelle discipline della deontologia del diritto e del diritto processuale penale, dal titolo ‘‘L’imparzialità come virtù del giudice: un approccio all’etica professionale nella prospettiva dell’agente e delle sue qualità’’. Nel corso dell’anno accademico 2012/2013 ha svolto, nell’ambito del progetto ‘‘Erasmus’’, un periodo di studi della durata di alcuni mesi presso la ‘‘Kozminski University’’ di Varsavia (Polonia).

25 febbraio 2021

❌Attenzione. Novità DGSIA del 24 febbraio 2021❌ Non se ne sentiva la necessità❗



Siamo alle solite.

L'ineffabile DGSIA, in piena trance agonistica, emana l'ennesimo documento di specifica sul processo penale telematico.

Un documento pieno di acronimi inutili (del resto già imparare il significato di DGSIA è impresa da destinare ai cervelli della NASA) e, per il resto, infarcito di novità delle quali, francamente, non si sentiva la necessità.

Ne diamo notizia per fatto di cronaca e attendiamo quando cesserà questo stillicidio di inutili circolari burocratiche ....

Ecco la 👉 circolare DGSIA del 24 febbraio 2021

A.A.A. - Cercasi pec disperatamente: il caso delle pec desaparecidos- di Marco Siragusa


A.A.A. non è un’abbreviazione ma un espediente grafico per mettere un annuncio in testa agli altri con lo scopo di dargli maggiore visibilità. Tuttavia, al tempo della faccenda telematica del processo penale, potrebbe essere anche un acronimo: Atto Abilitante Avvocato.

Su questo blog ci siamo più volte occupati delle novità, cercando di comprenderle, talvolta di semplificarle, altre volte di criticarle. 
La materia ha costituito oggetto di una "linea editoriale", tanto seguita quanto incomprensibili sono le ragioni e le scelte che hanno animato la informatizzazione del processo penale. Tra i tanti contributi che qui troverete, i più "seguiti" sono:

Talvolta ci siamo occupati delle "eccentricità" locali come nel caso "Così (non) fan tutti"; altre volte abbiamo ospitato le riflessioni di prestigiosi colleghi "Buon senso l'è morto

***

Oggi, come avevamo anticipato qualche giorno fa, ci occuperemo delle pec desaparecidos.


Il caso -
Due persone offese dal reato,
 a mezzo dei rispettivi procuratori speciali, si sono costituite parte civile e il processo è stato definito in primo grado con condanna, appellata dall'imputato. Com'è noto, per il “principio di immanenza” che governa la materia, la costituzione di parte civile determina la permanenza processuale della parte civile per l’intero processo.
In data 03 febbraio 2021, innanzi alla Corte d’Appello, si è celebrata (in camera di consiglio) l’udienza per la trattazione cartolare dell’appello proposto dall'imputato. 
I difensori delle parti civili hanno rassegnato le proprie conclusioni con deposito telematico inviato agli indirizzi p.e.c. degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati (DGSIA).
Com'è noto, alla Corte d'appello di Palermo, il DGSIA ha assegnato i seguenti indirizzi pec: depositoattipenali.ca.palermo@giustiz
iacert.it
depositoattipenali2.ca.palermo@giustiziacert.itdepositoattipenali3.ca.palermo@giustiziacert.it.
Due dei tre difensori di parte civile, hanno utilizzato l'indirizzo contraddistinto dal numero arabo "3". Un terzo avvocato, difensore di un'altra parte civile, ha utilizzato l'indirizzo senza numerazione araba.
Il 3 febbraio 2021, è
stato notificato il dispositivo di sentenza privo della condanna dell'imputato alle spese del grado in favore delle parti civili assistite dai difensori che avevano utilizzato per la spedizione delle conclusioni la pedepositoattipenali3.ca.palermo@giustiziacert.it. Il dispositivo reca invece la condanna in favore della parte civile il cui difensore ha utilizzato la pec senza numero arabo.

Per quanto il verbale di udienza contenga un generico riferimento alla lettura delle conclusioni scritte delle parti, più approfonditi accertamenti di un collega interessato hanno consentito di comprendere quel che è accaduto: la cancelleria non ha stampato le pec inviate all'indirizzo depositoattipenali3.ca.palermo@giustiziacert.it e, pertanto, le conclusioni scritte, regolarmente depositate dai primi due difensori, non sono confluite nel fascicolo della Corte. Da qui il non liquet in sentenza.

La vicenda sottostante e la "denuncia" di errore 

Ad alimentare la preoccupazione, che è ormai diffusa in tutta l'Avvocatura, non è il fatto che la pec contenente le conclusioni sia stata dimenticata (càpita nelle attività umane), quanto il timore che la pec non sia stata neppure presa in considerazione dalla cancelleria. Occorre dunque capirne le ragioni e divulgare il caso per evitare che simili errori siano reiterati nel futuro.

La soluzione corretta - 

In forza della ripartizione interna che il primo Presidente della Corte d'appello di Palermo ha decretato, i tre indirizzi messi a disposizioni dal DGSIA sono ripartiti tra le sezioni (qui il decreto del Presidente Frasca).

Ciò tuttavia non significa che l'avvocato non possa utilizzare indifferentemente e validamente uno qualunque degli indirizzi pec che il DGSIA ha messo a disposizione dell'Autorità giudiziaria innanzi alla quale effettua il deposito, dal momento che la ripartizione interna non ha effetti sulla validità del deposito e/o sul mancato inserimento nel fascicolo.

Invero, giusta le nuove disposizioni normative in materia di deposito telematico e, in particolar modo, nel giudizio di appello, in assenza di qualsivoglia indicazione di legge sulla necessità di adoperare un indirizzo p.e.c. piuttosto che l’altro, deve ritenersi che tutti (e tre nel caso della Corte d'appello di Palermo) siano ugualmente validi.
Ne segue che l'eventuale indicazione da parte della Corte D’Appello sulla necessità che gli avvocati utilizzino unicamente uno degli indirizzi p.e.c. indicati nell’allegato al provvedimento del DGSIA, non può avere alcuna efficacia vincolante per il soggetto che deposita, sia perché non risulta che un siffatto provvedimento sia mai stato reso pubblico, sia perché la normativa nazionale in materia - rispetto alla quale non può certo derogare un provvedimento di regolamentazione interna di un ufficio giudiziario - ha indistintamente previsto la possibilità di inviare in via alternativa ad uno dei tre indirizzi di cui sopra.

Il risultato -
L'inaccettabile confusione che i burocratici ministeriali stanno creando nella informatizzazione del processo penale reca con sé l'aggravamento del carico e va quindi in direzione opposta all'ansia di "semplificazione sanitaria" che le novità telematiche dovrebbero assicurare.
Infatti, per rimediare all'errore, le parti civili saranno costrette a presentare istanza di correzione dell’errore materiale e, in difetto di emenda, a proporre ricorso per Cassazione.

Quando a Roma si chiederà la collaborazione di chi - avvocati, magistrati e cancellieri - ogni giorno frequenta le aule dei tribunali?

23 febbraio 2021

Il Tribunale di Marsala sul delitto colposo di danno in un caso di "disastro" ferroviario - sentenza del giudice dott. Massimiliano Alagna





La presente pronuncia giurisprudenziale si caratterizza per la posizione assunta dal Giudice rispetto all’aperto contrasto giurisprudenziale relativo alla natura del reato di disastro ferroviario colposo.

Infatti, nella motivazione della sentenza si può scorgere, dopo un’iniziale pregevole definizione di “disastro”, un’analisi logico-sistematica a favore della configurabilità del reato di cui all’art. 449, comma 2, c.p. come autonoma fattispecie criminosa, con evidenti conseguenze in termini di eventuale bilanciamento. 

Tale posizione può riassumersi nella seguente massima: “Il reato di disastro ferroviario colposo costituisce autonomo titolo di reato, non trovandosi in rapporto di specialità con le altre ipotesi di disastro richiamate dal comma 1 dell’art. 449 c.p. e non possedendo, quindi, le caratteristiche tipiche del reato circostanziato”.

La pronuncia si caratterizza anche per la presa di posizione del Giudice in ordine all’utilizzabilità ai fini del decidere di prove video-fotografiche la cui paternità è rimasta ignota nel corso del processo e riassumibile nel seguente passaggio: “Spetta al Giudice il compito di accertare caso per caso l’autenticità della prova, al fine di verificare che il filmato o le fotografie prodotte non siano il frutto di un’attività di manipolazione: nell’impossibilità di vagliare l’attendibilità della fonte per mancata identificazione dell’autore, pertanto, soltanto la visione del filmato può orientare la decisione del Giudice.

22 febbraio 2021

PPT - Processo Penale Telematico: nuova sezione di Foro e Giuriasprudenza


In questi mesi sono aumentate le pubblicazioni sulle novità telematiche del processo penale. 

Abbiamo sin qui cercato di dare notizia delle novità telematiche che nel prossimo futuro sono destinate ad aumentare.

Per "raccogliere" le pubblicazioni sul PPT abbiamo creato una pratica etichetta (a lato del nostro sito) dove potrete trovare tutti i contriubiti sul tema.

Buona lettura


“Codice Rosso” e fenomenologia della legislazione emergenziale. Brevi considerazioni a distanza di più di un anno dall’entrata in vigore della L. 19 luglio 2019, n. 69 - di Simone Alecci (*)

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il contributo del dott. Simone Alecci, GIP del Tribunale di Palermo.


La sempre più pervasiva prassi di ragionare (e giudicare) in virtù di principi e non sulla base di fattispecie esprime compiutamente il fregio sistematico nell’alveo del quale incastonare, ancora oggi ed a distanza di più di un anno dalla relativa entrata in vigore, il dibattito polarizzato sugli ingranaggi procedimentali introdotti nella trama codicistica dalla L. 19 luglio 2019, n. 69 (icasticamente etichettata come Codice Rosso).

Va sin da subito rimarcato, a scanso di equivoci e concettualismi, che un nitido approccio metodologico all’orizzonte problematico rappresentato dalla tutela della persona offesa non può prescindere dalla constatazione che la repressione (così come la prevenzione) in via prioritaria di determinati reati correlati all’ambiente familiare e alle relazioni affettive evoca i tratti di una questione culturale ancor prima che giuridica.

Tale puntualizzazione si rende necessaria allo scopo di evitare, quantomeno in chiave applicativa, che pericolose dilatazioni della discrezionalità giudiziale in ambito penalistico possano sublimare (o meglio degenerare) in spirali di populismo giudiziario (fenomeno recentemente quanto icasticamente scandagliato da scrupolosa dottrina): e, d’altronde, il tasso di democraticità di un sistema penale contemporaneo è direttamente proporzionale ad un elevato gradiente di tipicità della disposizione incriminatrice, tenuto altresì conto del fatto che il diritto è essenzialmente esercizio del riconoscere più che del conoscere (e cioè di ricondurre una fattispecie concreta ad una astratta) e che gli spazi di quella che Paolo Grossi ha definito l’invenzione del diritto (e cioè quell’attività di mediazione tra l’ordito normativo ed il nuovo che ribolle nel vivo costantemente stratificato del tessuto sociale) dovrebbero in ambito penale essere ridotti ai minimi termini (almeno sul crinale della morfologia della fattispecie, ben potendo riespandersi la discrezionalità giudiziale sul versante – a valle dell’eventuale affermazione di responsabilità - della dosimetria della pena).

Ad un primo sguardo in prospettiva sistematica (che in questa sede ovviamente non si soffermerà sullo scrutino di ciascun ritocco normativo) sembra che il legislatore perseveri in un approccio riformatore sbilanciato sul rimedio anziché sulla fattispecie (innalzando, ad esempio, gli steccati massimi edittali dei delitti di maltrattamenti ed atti persecutori al precipuo fine – sicuramente apprezzabile in chiave di tutela della persona offesa – di prolungare i termini di durata massima delle misure cautelare), tralasciando tuttavia di considerare che un simile intervento, ove non accompagnato da una politica di incremento di risorse umane ed economiche nel comparto giudiziario, rischia di rivelarsi una semplice folata di ossigeno nel corpo di un malato terminale.

D’altronde, è innegabile che l’assenza di qualsiasi stanziamento in relazione all’espressa previsione per cui la concessione della sospensione condizionale per i delitti da “codice rosso” è sempre subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati restituisce i tratti di un dato normativo che evoca tutt’altro che trascurabili profili di incostituzionalità.

A più di un anno di distanza dall’entrata in vigore della L. 19 luglio 2019, n. 69 l’innesto nel dettato codicistico di fattispecie criminose quali quella delineata dall’art. 612 ter c.p., se per un verso riflette l’apprezzabile intento di ampliare la sfera di tutela delle cdd. fasce deboli, per altro verso sconta ancora una volta un deficit di tipicità in ordine, ad esempio, alla perimetrazione del concetto di atto a contenuto sessualmente esplicito o, ancora, all’individuazione del preciso sintagma “destinati a rimanere privati”: pare proprio, detto altrimenti, che il legislatore abbia smarrito lo slancio tassonomico esibito in passato, a titolo esemplificativo, sul fronte della pedopornografia virtuale o della diffusione di immagini pedopornografiche (allorquando si intervenne espressamente sulla trama codicistica offrendo – o quantomeno tentando di offrire - una definizione quanto più precisa e specifica dell’oggetto delle condotte al centro della tutela penale).

Non mancano, d’altra parte, ragguardevoli segni di afflato sistematico da parte del legislatore, il quale ha introdotto un ventaglio di garanzie per la persona offesa che si dipana lungo l’intero arco procedimentale (muovendo dalle indagini preliminari, con l’accelerazione dei tempi investigativi innestata agli articoli 347 e 362 c.p.p., sino ad approdare all’osmosi informativa con la giurisdizione civile imposta dall’art. 64 bis, disp. att., c.p.p., passando per la positivizzazione del concetto di violenza assistita, che, nondimeno, per la sua portata sistematica sarebbe stato opportuno inserire nella parte generale del codice e non soltanto ad appendice dell’art. 572 c.p.).

Difetta però la consapevolezza della necessità di costituire corpi di polizia giudiziaria specializzati (come accade per il contrasto delle altre forme di criminalità) nonché dell’esigenza di creare un proficuo “dialogo di rete” tra avvocatura, operatori sanitari attivi nel settore del supporto psicologico alle cdd. fasce deboli e magistratura, così come difetta – giova ribadirlo – un’autentica visione di riforma organica di un microsistema di tutela che, ove non foraggiato a livello economico tramite l’irrobustimento delle risorse umane chiamate a fronteggiare tali fenomeni emergenziali, rischia di tracimare in mero manifesto di populismo politico (e giudiziario).

Incomprensibile, poi, appare il mancato intervento sulla morfologia dell’art. 387 bis c.p., non essendo stata ancora innestata una disposizione che legittimi l’esecuzione della misura precautelare dell’arresto in flagranza nei confronti dell’autore della violazione delle prescrizioni avvinte alle misure non custodiali tratteggiate dall’art. 282 bis e 282 ter (violazione che non smarrisce la sua pregnanza antigiuridica – come è stato precisato dalla giurisprudenza di legittimità, evidentemente valorizzando il bene giuridico costituito dall’efficacia del provvedimento giudiziario – nemmeno allorquando il titolo genetico sia annullato dal Tribunale della Libertà).

Ed ancora, non si può certamente fare a meno di rimarcare che alcuni ritocchi normativi sul piano sostanziale (cui il legislatore non ha posto rimedio neanche in tempi recenti) hanno inciso in termini tutt’altro che positivi sul crinale processuale: si allude, ad esempio, alla “nuova” competenza collegiale per le fattispecie di maltrattamenti aggravate ai sensi del secondo comma dell’art. 572 (e, segnatamente, quelle asseritamente perpetrate ai danni ovvero in presenza di minori).

Tenendo presente che nella prassi giudiziaria le fattispecie concrete di maltrattamenti contemplano quasi sempre la presenza di minori, si ritiene opportuno proporre una modifica dell’articolo 33 ter, primo comma, del codice di procedura penale, prevedendo espressamente che la trattazione dei procedimenti per i delitti (comunque aggravati) di maltrattamenti contro familiari e conviventi ricada nello spettro di cognizione del giudice monocratico.

Tale indicazione, ove recepita dal legislatore, risponderebbe all’esigenza di assicurare un’efficace quanto rapida risposta giudiziaria ai fenomeni di violenza di genere e domestica nonché a garantire una sollecita definizione dell’istruttoria dibattimentale che, ove affidata ad un organo giudicante collegiale, determinerebbe un notevole allungamento dei tempi processuali con conseguente impossibilità di concludere il dibattimento in tempo utile ad evitare sia un’eventuale gogna giudiziaria dell’imputato sia l’estinzione della misura cautelare eventualmente applicata per il decorso del termine massimo di fase sia, infine, un ulteriore patimento rievocativo per la persona offesa (il cui contributo dichiarativo ancora oggi, purtroppo, in molte realtà giudiziarie non viene efficacemente cristallizzato in fase di indagini preliminari attraverso la capsula dibattimentale dell’incidente probatorio).

(*) Simone Alecci: 
Magistrato ordinario con funzioni giudicanti penali presso il Tribunale di Palermo dal 2017 (attualmente in servizio presso la Sezione GIP-GUP e già giudice del dibattimento nel triennio 2017-2020), è membro del comitato direttivo delle riviste “Diritto civile contemporaneo” e “La nuova procedura civile”. Laureato con lode presso l’Università degli Studi di Palermo, ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Diritto Privato presso la “Scuola Internazionale Tullio Ascarelli”. E’ autore di pubblicazioni in materia di obbligazioni, di società a partecipazione pubblica nonché in tema di sovraindebitamento del consumatore.





 


21 febbraio 2021

Buon senso l'è morto: le argute riflessioni di Carmelo Passanisi (*)




L’ARTICOLO 465 DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE: 
CHI ERA COSTUI? - di Carmelo Passanisi (*)

Chi si ricorda dell’esistenza dell’articolo 465 del codice di procedura penale alzi la mano? 

E fra chi se lo ricorda, quelli che lo hanno mai visto applicato le alzino tutt’e due. 

Quest’introduzione un po’ a sorpresa serve per richiamare l’attenzione di chi legge su un problema di fondo del processo penale. Un problema vero, che tutti conoscono, ma di cui nessuno parla: l’efficienza delle cancellerie. Che non riguarda, si badi bene, l’efficienza della singola cancelleria o del singolo addetto, ché ci sono cancellerie efficientissime, ma la cui efficienza è demandata soltanto allo spirito di iniziativa ed alle capacità organizzative del dirigente. Ma riguarda un’area di azione burocratica che grandemente incide con la durata e l’organizzazione del processo

Quando mai un giudice, sapendo che nel giorno in cui il processo è fissato l’udienza non si potrà tenere, ha applicato quanto previsto dall’articolo 465, con ciò caricando la cancelleria dell’onere della comunicazione e delle notificazioni? 

Si preferiva, all’inizio, comunicare il rinvio alle parti che regolarmente si presentavano all’udienza che non si sarebbe potuta tenere e, prima che le prassi e i protocolli si inventassero l’ "udienza di smistamento”, ai testimoni, la nuova data. Ed il costume è sopravvissuto anche all’avvento delle notifiche tramite PEC, che di certo sveltiscono di molto l’onere della cancelleria. 

È in questo contesto, nel contesto del non detto principio per cui “È BENE GRAVARE LE CANCELLERIE DI MENO LAVORO POSSIBILE” che devono essere lette, io penso, le recenti norme in tema di presentazione e deposito di atti per via telematica, con tutto il seguito ansiogeno di attesa di risposte e conferme e con tutto il corteo di inammissibilità previste, è un esempio, per la presentazione delle impugnazioni, per questioni di mera forma. Quelle ansie che prima contenevamo seguendo la mano del cancelliere fino a quando non avesse apposto il timbro del depositato e fino a quando non ci avesse dettato, viso a viso, il salvifico numero di protocollo.

Avete mai visto un cancelliere rifiutare un atto di appello sol perché la firma non è leggibile o perché la carta non è della grammatura prevista? O un cancelliere si è mai posto il problema dell’autenticità della firma apposta all’impugnazione proposta per raccomandata o telegramma, così come previsto dall’articolo 583 del codice di rito

La possibilità di sveltire certe parti del processo, consentita dalle moderne tecnologie, è frustrata dalla farraginosità delle procedure scelte. È certamente un mio limite, ma non comprendo perché le cose che si devono depositare attraverso il PST non si possano depositare tramite una PEC (strumento, peraltro, del tutto assimilabile alla raccomandata a.r.). Con un sistema che, prendendo esempio da quanto già accade nel processo civile telematico, spesse volte si inceppa e non funziona. E al quale non puoi accedere se magari sei tecnologicamente avanti, e usi la firma digitale da remoto e perciò non hai né chiavetta, né smart-card. 

Insomma, non riesco a comprendere perché, se sono debitore di un giudice o di un cancelliere, posso inviargli la somma dovuta in pochi secondi con il mio cellulare e se invece devo depositare una nomina devo farlo attraverso un apparato che mi chiede atti abilitanti e caselle da riempire senza saltarne manco una

Il dubbio è malizioso, me ne rendo conto, ma non riesco a liberarmene. Che dietro tutto questo ci sia ancora e sempre la vecchia regola nascosta ma inderogabile: È BENE GRAVARE LA CANCELLERIE DI MENO LAVORO POSSIBILE. 


(*) Carmelo Passanisi: Avvocato del Foro di Catania è stato Presidente della Camera Penale "Avv. Serfanino Famà" e Presidente del Consiglio delle Camere Penali Italiane. È un vero amico, del quale siamo lieti di ospitare le riflessioni, sempre argute.


20 febbraio 2021

20 febbraio '17 - 20 febbraio '21: il nostro ricordo di Ettore Randazzo

La vita non è quella che si è vissuta, 
ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. 
(Gabriel Garcia Marquez)



Sono passati quattro anni da quando l'Avvocato Ettore Randazzo ci ha lasciati ...
Poche righe sono insufficienti per descriverlo nel suo esempio di uomo, di avvocato, di scrittore, di autore teatrale. Di uomo di cultura. Tanto grande, quanto umile nell'esempio. Come solo i grandi sanno essere (curriculum).

Molti di voi troveranno, rileggendo i suoi scritti, le ragioni di una passione che si chiama Difesa, e molto, molto altro ancora (L'avvocato e la verità, La Giustizia nonostante, entrambi editi da Sellerio; e poi gli scritti giuridici su esame e controesame, indagini difensive, deontologia).


Nella prefazione del suo ultimo libro giuridico Ettore aveva scritto: <<Siamo tutti consapevoli come (e quanto) la Difesa nel processo penale sia il vessillo, il parametro, l'emblema più eloquente della libertà di un popolo. Siamo cittadini di un paese libero solo se gli avvocati sono liberi, la giustizia autentica, il processo giusto>>, Il penalista e il nuovo codice deontologico).

Per cercare di comprendere chi fosse veramente e quanta passione avesse per il processo, per la difesa e per la professione, sarà sufficiente leggere il suo "testamento", edito postumo dalla collana "Il Penalista" della Giuffrè. Lo alleghiamo perché possiate assumerlo ad esempio e ne siate, ogni giorno, paladini.

E' giusto che sappiate che la Scuola della Camera Penale di Trapani, come le altre in Italia, si definiscono "di tecnica e deontologia dell'avvocato penalista" per felice intuizione di Ettore che, da uomo colto, ben conosceva il significato delle parole.

Come ogni anno, vogliamo ricordare Ettore Randazzo con le sue parole:

<<Le sconfitte permangono a lungo nei rimorsi e nelle sofferenze di ogni avvocato. Fanno parte della sua esperienza, della sua formazione, persino del suo amore per la toga.

Nessuna sconfitta si addebita solo al giudice, abbiamo sempre dubbi sulle nostre strategie, sugli approfondimenti in fatto e in diritto, sulla nostra prontezza, sullo scrupolo, sull’efficacia della discussione finale.

Il nostro non è un mestiere che si insegna, è un mestiere che si impara.

Si impara battendosi contro gli errori, le ingiustizie, le angherie, a volta le meschinità.

Si impara indignandosi di ogni sopruso giudiziario, da chiunque provenga.

Si impara nelle notti insonni, nei tumulti delle nostre angosce.

Si impara soffrendo con i nostri assistiti, scusandoci con loro dei misfatti del sistema giudiziario e di chi lo gestisce.

Si impara coltivando una fede doverosa e irragionevole nella Giustizia.

Si impara tremando nell’indossare la toga, sentendoci penetrati dalla sua malia.

Si impara osservando all’opera - se possibile - i Maestri dell’Avvocatura, studiandone le mosse, cercando di emularli, illudendoci di capire il loro ingegno.

Si impara ringraziando i nostri Padri per aver custodito e tramandato l’incantevole seduzione della Difesa>>


Quattro anni fa, durante l'omelia funebre nella Cattedrale di Ortigia, il fratello di Ettore, il collega Giovanni Randazzo, lo ha ricordato così: “Ettore ci ha insegnato tre cose: la capacità di sognare, il talento nel saper realizzare, la voglia di lottare per migliorare“.

Ciao Ettore, vincili tutti i processi lì dove c’e giustizia


19 febbraio 2021

❗Abbiamo trovato l'atto abilitante ❗Il buon senso delle periferie e un ESEMPIO di ATTO ABILITANTE❗

Ci siamo già occupati della questione "atto abilitante", la nuova frontiere della burocrazia giudiziaria italiana (link), per ovviare alla quale la Procura di Trapani ha emanato la circolare esplicativa che alleghiamo in foto.



Da parte nostra, ci permettiamo di suggerire ai Colleghi un esempio di quella che, nella nota del Procuratore di Trapani, viene opportunamente definita "alternativa al 335 c.p.p." dell'atto abilitante.


ATTO ABILITANTE

(in formato word, poi convertito in pdf, firmato digitalmente e allegato sul portale unitamente alla nomina)


Procura della Repubblica di ...

Proc. pen. n. .... RGNR mod. 21


Il Sig. ... mi ha conferito mandato difensivo in relazione al procedimento penale in epigrafe indicato (allego in formato pdf, max 200 dpi, la scansione per immagine della nomina, da me firmata digitalmente).

Con la nota recante "Oggetto: Portale deposito atti Penali (PDP) - Aggiornamento SICP per il deposito nomina difensore in fase d indagini preliminari (DM 13 gennaio 2021 pubblicato in G.U. il 21 gennaio 2021)" è stato previsto che "l'avvocato deve allegare all'atto di nomina documento definito atto abilitante ... ".

Ritengo che la richiesta di allegazione del famigerato "atto abilitante" non sia dovuta, perché non è prevista da alcuna previsione del codice di procedura penale. Ritengo inoltre che la circolare del Direttore del DGSIA non trovi fondamento normativo in alcuna previsione di legge e/o regolamentare.

Tuttavia, allo stato attuale, il Portale depositi atti Penali impedisce il pieno esercizio del diritto di difesa e, in primo luogo, quello dell'indagato di nominare il suo difensore.

Per ovviare all'evidente lesione dell'inviolabile diritto di difesa, mi trovo pertanto costretto a comunicare, sotto il mio onore di Avvocato, di essere a conoscenza del procedimento in epigrafe. 

Quanto sopra al solo fine di costituire, con il presente atto in formato pdf nativo e firmato digitalmente, il "titolo" abilitante che è indispensabile al basilare esercizio delle elementari prerogative defensionali da parte del mio assistito.

M'adeguo dunque, ma al solo fine di ovviare alla ormai insopportabile burocrazia giudiziaria. 

Laddove riteniate che io sia illegittimamente a conoscenza del procedimento penale a carico del mio assistito, Vi invito ad iscrivermi nel registro notizie di reato, usandomi però la cortesia della notifica cartacea, a mezzo P.G., del verbale di identificazione. 

Ciò per consentirmi, in quella sede e cartaceamente, di esercitare il semplice diritto di nominare a mia volta un difensore senza utilizzare le vessatorie forme richieste al mio assistito dalla burocrazia telematica.

Data e luogo

Avv. 

(firmato digitalmente)


Roma qui Palermo: abbiamo un problema

 


Ci siamo occupati più volte delle 👉 disfunzioni della faccenda telematica e della lesione per i diritti dei cittadini (e dei loro avvocati) costretti a barcamenarsi tra 👉 Portale e 👉 Pec - spesso malfunzionanti - dalla visione burocratica della giustizia.

Il COA di Palermo prende posizione e chiede una rinvio di sei mesi.

Un'iniziatica ragionevole, che condividiamo. 

Sarà accolta? 

Sei mesi sono sufficienti?