A.A.A. non è un’abbreviazione ma un espediente grafico per mettere un annuncio in testa agli altri con lo scopo di dargli maggiore visibilità. Tuttavia, al tempo della faccenda telematica del processo penale, potrebbe essere anche un acronimo: Atto Abilitante Avvocato.
Su questo blog ci siamo più volte occupati delle novità, cercando di comprenderle, talvolta di semplificarle, altre volte di criticarle.
La materia ha costituito oggetto di una "linea editoriale", tanto seguita quanto incomprensibili sono le ragioni e le scelte che hanno animato la informatizzazione del processo penale. Tra i tanti contributi che qui troverete, i più "seguiti" sono:
Talvolta ci siamo occupati delle "eccentricità" locali come nel caso "Così (non) fan tutti"; altre volte abbiamo ospitato le riflessioni di prestigiosi colleghi "Buon senso l'è morto"
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Oggi, come avevamo anticipato qualche giorno fa, ci occuperemo delle pec desaparecidos.
Il caso -
Due persone offese dal reato, a mezzo dei rispettivi procuratori speciali, si sono costituite parte civile e il processo è stato definito in primo grado con condanna, appellata dall'imputato. Com'è noto, per il “principio di immanenza” che governa la materia, la costituzione di parte civile determina la permanenza processuale della parte civile per l’intero processo.
In data 03 febbraio 2021, innanzi alla Corte d’Appello, si è celebrata (in camera di consiglio) l’udienza per la trattazione cartolare dell’appello proposto dall'imputato.
I difensori delle parti civili hanno rassegnato le proprie conclusioni con deposito telematico inviato agli indirizzi p.e.c. degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati (DGSIA).
Com'è noto, alla Corte d'appello di Palermo, il DGSIA ha assegnato i seguenti indirizzi pec: depositoattipenali.ca.palermo@giustiziacert.it;
depositoattipenali2.ca.palermo@giustiziacert.it; depositoattipenali3.ca.palermo@giustiziacert.it.
Due dei tre difensori di parte civile, hanno utilizzato l'indirizzo contraddistinto dal numero arabo "3". Un terzo avvocato, difensore di un'altra parte civile, ha utilizzato l'indirizzo senza numerazione araba.
Il 3 febbraio 2021, è stato notificato il dispositivo di sentenza privo della condanna dell'imputato alle spese del grado in favore delle parti civili assistite dai difensori che avevano utilizzato per la spedizione delle conclusioni la pec depositoattipenali3.ca.palermo@giustiziacert.it. Il dispositivo reca invece la condanna in favore della parte civile il cui difensore ha utilizzato la pec senza numero arabo.
Per quanto il verbale di udienza contenga un generico riferimento alla lettura delle conclusioni scritte delle parti, più approfonditi accertamenti di un collega interessato hanno consentito di comprendere quel che è accaduto: la cancelleria non ha stampato le pec inviate all'indirizzo depositoattipenali3.ca.palermo@giustiziacert.it e, pertanto, le conclusioni scritte, regolarmente depositate dai primi due difensori, non sono confluite nel fascicolo della Corte. Da qui il non liquet in sentenza.
La vicenda sottostante e la "denuncia" di errore -
Ad alimentare la preoccupazione, che è ormai diffusa in tutta l'Avvocatura, non è il fatto che la pec contenente le conclusioni sia stata dimenticata (càpita nelle attività umane), quanto il timore che la pec non sia stata neppure presa in considerazione dalla cancelleria. Occorre dunque capirne le ragioni e divulgare il caso per evitare che simili errori siano reiterati nel futuro.
La soluzione corretta -
In forza della ripartizione interna che il primo Presidente della Corte d'appello di Palermo ha decretato, i tre indirizzi messi a disposizioni dal DGSIA sono ripartiti tra le sezioni (qui il decreto del Presidente Frasca).
Ciò tuttavia non significa che l'avvocato non possa utilizzare indifferentemente e validamente uno qualunque degli indirizzi pec che il DGSIA ha messo a disposizione dell'Autorità giudiziaria innanzi alla quale effettua il deposito, dal momento che la ripartizione interna non ha effetti sulla validità del deposito e/o sul mancato inserimento nel fascicolo.
Invero, giusta le nuove disposizioni normative in materia di deposito telematico e, in particolar modo, nel giudizio di appello, in assenza di qualsivoglia indicazione di legge sulla necessità di adoperare un indirizzo p.e.c. piuttosto che l’altro, deve ritenersi che tutti (e tre nel caso della Corte d'appello di Palermo) siano ugualmente validi.
Ne segue che l'eventuale indicazione da parte della Corte D’Appello sulla necessità che gli avvocati utilizzino unicamente uno degli indirizzi p.e.c. indicati nell’allegato al provvedimento del DGSIA, non può avere alcuna efficacia vincolante per il soggetto che deposita, sia perché non risulta che un siffatto provvedimento sia mai stato reso pubblico, sia perché la normativa nazionale in materia - rispetto alla quale non può certo derogare un provvedimento di regolamentazione interna di un ufficio giudiziario - ha indistintamente previsto la possibilità di inviare in via alternativa ad uno dei tre indirizzi di cui sopra.
Il risultato -
L'inaccettabile confusione che i burocratici ministeriali stanno creando nella informatizzazione del processo penale reca con sé l'aggravamento del carico e va quindi in direzione opposta all'ansia di "semplificazione sanitaria" che le novità telematiche dovrebbero assicurare.
Infatti, per rimediare all'errore, le parti civili saranno costrette a presentare istanza di correzione dell’errore materiale e, in difetto di emenda, a proporre ricorso per Cassazione.
Quando a Roma si chiederà la collaborazione di chi - avvocati, magistrati e cancellieri - ogni giorno frequenta le aule dei tribunali?