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11 agosto 2021

Vuoto per pieno (luci ed ombre della riforma Cartabia) - di Michele Passione

Prosegue sul nostro blog il dibattito sulla Riforma Cartabia (il piano completo al link). Dopo gli interventi dei professori Giorgio Spangher (link), Bartolomeo Romano (link), Paolo Ferrua (link), il confronto tra Cataldo Intrieri (link) e Marco Siragusa (link), e l'intervento di Daniele Livreri (link), pubblichiamo oggi l'intervento del collega Michele Passione. 





Sommario : 1) Premessa; 2) Quel che resta del giorno. Lo scorrere del tempo; 3) Una certa idea della pena; 4) Spigolature


1) Vuoto per pieno; per chi intendesse leggere queste brevi note sul DDL A.C. 2435 – A, tenendo unicamente conto dello scampato pericolo rispetto al testo Bonafede l’invito è a fermarsi qui, dedicandosi ad altro. In Politica non è mai opportuno limitarsi al “poteva andare peggio” (dimenticare Frankenstein Junior). 

Specularmente, non ci si prefigge il compito di raffrontare il testo licenziato dalla Commissione Lattanzi con quello approvato dalla Camera dei deputati il 3 agosto u.s., poi trasmesso al Senato per l’esame in seconda lettura.

Com’è a tutti evidente, quel che oggi rileva è l’esame di un testo ancora in fieri e la sua corrispondenza alle finalità rese esplicite dalla delega, avuto riguardo delle diverse sensibilità politiche che hanno animato il dibattito.

Credo sia utile liberarsi dalla tentazione (un po' vanesia) di far prevalere la propria visione dello stato dell’arte senza tener conto delle ragioni dell’altro e (soprattutto) di quanto fuoriesce dal perimetro disegnato (le ragioni sono note) dal (raccogliticcio) legislatore delegante.

Fatte queste premesse, senza prefiggersi il compito del puntuale esegeta, vorrei qui limitarmi ad alcune osservazioni random, che tengano conto di quelle già svolte in precedenza da autorevoli commentatori, con qualche ulteriore aggiunta su aspetti meno commentati della novella.


2) Quel che resta del giorno. Lo scorrere del tempo - Si è osservato (cfr., in particolare, sul tema della rivisitata prescrizione nella sua ibrida veste sostanziale/processuale, le note critiche dei Proff. Marcello Daniele, Paolo Ferrua, Renzo Orlandi, Adolfo Scalfati, Giorgio Spangher su Il Dubbio del 27 luglio nonché di Ferrua e Spangher su questo blog, link e link), e non è il caso di scendere in ulteriori dettagli, che la disciplina licenziata in prima lettura si porrebbe in contrasto con diverse disposizioni costituzionali (25/2, 111/2 e 112, inter alia), esponendo tra l’altro le disposizioni di nuovo conio a censure della Corte EDU (in relazione all’art. 6 della Convenzione per ciò che concerne l’eventuale vanificazione delle misure disposte a favore della parte civile) e della Corte di Giustizia (laddove dovesse ritenersi un pregiudizio agli interessi dell’Unione, senza possibilità di invocare i controlimiti costituzionali, come accaduto per l’affaire Taricco).

A questi rilievi, certamente esenti da partigianerie e unicamente dettati dall’attitudine scientifica degli autori, mi permetto in primo luogo di rispondere con le parole della Corte (sent.n.12/2016), secondo la quale “una volta che il danneggiato, previa valutazione comparativa dei vantaggi e degli svantaggi insiti nella opzione concessagli, scelga di esercitare l’azione civile nel processo penale, anziché nella sede propria, non è dato sfuggire agli effetti che da tale inserimento conseguono”. Nell’occorso si è evidenziato che (anche richiamando l’art. 16, § 1 della Direttiva 2012/29/UE), “con riguardo all’asserita violazione del principio di ragionevole durata del processo, [la] Corte ha ripetutamente affermato che alla luce dello stesso richiamo al connotato di ragionevolezza che compare nella formula costituzionale, possono arrecare un vulnus a quel principio solamente le norme che comportino una dilatazione dei tempi del processo non sorrette da alcuna logica esigenza.” La stessa Corte EDU ha infine affermato (Sezione terza, 25.6.2013, Associazione delle persone vittime del sistema s.c. Rompetrol s.a. e s.c. Geomin s.a. e altri c. Romania; Sezione prima, 4.10.2007, Forum Maritime s.a. c. Romania) che la violazione dell’art. 6 emerge solo quando la vittima non fruisca di altri rimedi accessibili ed efficaci per far valere le sue pretese o siano indebitamente frustrate le sue aspettative per essere maturata la prescrizione  per ingiustificati ritardi nella conduzione del procedimento penale (Grande Camera, 2.10.2008, Atanasova c. Bulgaria; Sezione prima, 3.4.2003, Anagnostopoulos c. Grecia). A tal proposito, e ciò a prescindere dalla condivisibilità della scelta, non può sottacersi come il ddl contenga la modifica sul punto dell’art. 578 c.p.p., con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello in caso di dichiarata improcedibilità dell’azione penale per il superamento dei termini di cui al nuovo art. 344 bis c.p.p., e dunque non mi pare che la riforma, ove approvata, potrebbe presentare sul punto contrasti con l’art.117/1 Cost., in relazione agli artt. 6 e 7 Cedu.

Quanto ai controlimiti e al prospettato vulnus all’art.112 Cost., trovo del tutto condivisibili le acute osservazioni del Prof. Mazza (A Midsummer Night’s Dream: la riforma Cartabia del processo penale (o della sola prescrizione?), recentemente pubblicate su Archivio Penale.

In quel testo, per “sgombrare il campo dallo scandalo che susciterebbe la nuova categoria dell’estinzione dell’azione ai sensi dell’art. 344 bis c.p.p.” viene giustamente indicato l’art.27/2 Cost., poiché “nel corso del processo l’unico atto che può estinguersi è l’azione”, e dunque il fenomeno estintivo deve essere ricollegato “alla condotta processuale del pubblico ministero piuttosto che al fatto reato” (che ancora giuridicamente non esiste, giusta la presunzione di cui all’art. 27/2 Cost.).

Non solo; si afferma ancora che la frizione dell’improcedibilità con l’art. 112 Cost. provi troppo, dovendosi allora per coerenza considerare tale vulnus in relazione a tutte le altre similari ipotesi dogmatiche previste dall’ordinamento. Infine, si sostiene come il “nascituro” art. 344 bis c.p.p. andrebbe letto in relazione all’art.25/2 Cost., sottraendo la disposizione costituzionale dai confini sostanziali cui sembrerebbe formalmente riferita per estenderla alla “punibilità in concreto(e qui, sia pur in relazione a diversa vicenda processuale, mi pare indispensabile il richiamo alla storica sent.32/2020 Corte cost.).  

Come si vede, liberato il campo dalle strumentali diatribe politiche, alle quali per fortuna sfuggono gli autori delle tesi richiamate, resta in campo (e qui potrebbe e – a mio parere dovrebbe – esercitarsi l’azione politica modificativa del testo) il tema grande del controllo del tempo, rimesso al potere discrezionale di proroga da parte del giudice nei processi di appello e di legittimità, ovviamente condizionato (questo il nodo gordiano che andrebbe definitivamente reciso) dalle scelte compiute dal pubblico ministero.  Tra l’altro, in questo caso viene in gioco davvero la lesione dell’art. 7 Cedu, così come emergono evidenti frizioni con la ratio decidendi di cui alla sent. n. 140/2021 del Giudice delle leggi. 

Infine, con valutazioni che verranno riprese nel paragrafo che segue, la rinnovata damnatio del doppio binario, che pare aprirsi a nuove catalogazioni (non solo pentastellate), del tutto in contrasto con la presunzione di non colpevolezza, piegando il processo (non più solo la sanzione) ad arnese di lotta sociale.


3) Una certa idea della pena - Con (molto più che) apprezzabile coerenza rispetto alle affermate linee programmatiche, la Ministra ha fortemente spinto per l’inserimento nel testo della RJ (restorative justice, giustizia riparativa) in ogni stato e grado del procedimento (e dunque non più soltanto nella fase esecutiva, come accaduto nella precedente legge delega di riforma dell’ordinamento penitenziario). Del resto, la vis espansiva della Giustizia riparativa deve molto all’insufficienza della leva incapacitante del diritto penale. Forse anche per questo, ancora, tenendo conto del plurale costituzionale (“le pene”) da sempre tradito, si è prevista la possibilità per il giudice del merito di applicare sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (nel limite di quattro anni), tuttavia “assicurando il coordinamento con le preclusioni previste dall’ordinamento penitenziario per l’accesso alla semilibertà e alla detenzione domiciliare”. Pur dovendosi apprezzare la previsione citata, non ci si può esimere dal sollecitare maggiore coraggio nel superamento delle preclusioni dettate dal tipo di autore e dal titolo di reato, come del resto si è previsto per i LLPU (lavori di pubblica utilità, ndr), estesi per durata e per tipologia dei reati rispetto alla legislazione vigente. Per evitare eterogenesi dei fini, sarà dunque opportuno tener conto dell’esperienza maturata in ambito penitenziario da parte di tutti gli operatori che nel corso degli anni hanno portato al superamento delle preclusioni in materia, sì da evitare che la riforma riproduca ciò che si propone di superare.


4) Spigolature - Qualche annotazione sparsa, per chiudere.

In termini positivi va letto il controllo del rispetto dei termini per le indagini preliminari (com’è universalmente noto, il vero motivo del maturare dei termini di prescrizione) e della data di iscrizione, ex art. 335 c.p.p., ma ovviamente andrà particolarmente sorvegliata l’efficacia della verifica, affinché la riforma spieghi i suoi effetti auspicati.

Molto positive l’introduzione di uno strumento ad hoc per la revisione europea, l’estensione della messa alla prova, l’ampliamento dei poteri di controllo giurisdizionale della legittimità della perquisizione e l’introduzione di un provvedimento di deindicizzazione che garantisca in modo effettivo il diritto all’oblio di indagati o imputati.

In termini negativi, l’ampliamento dei delitti di competenza del Tribunale monocratico e di una preliminare valutazione da parte di un magistrato diverso rispetto a quello chiamato al giudizio sulla fondatezza dell’ipotesi di accusa (di difficile praticabilità nei Tribunali più piccoli e foriera di ulteriori allungamento dei termini).

Analogamente, la necessaria allegazione all’atto di appello di una formale elezione di domicilio dell’imputato (sul punto, si rinvia alle convincenti spiegazioni di Giovanna Ollà su il Dubbio del 10 agosto u.s.).

Forti le critiche alla necessità di richiedere la trattazione orale e partecipata dei giudizi di appello e di Cassazione, ipotesi sulle quali andrà certamente dispiegata l’azione politica autunnale.

Ancora, senza pretesa di esaustività (e pur dovendosi immaginare che la disposizione di cui all’art. 13 verrà difesa dalla magistratura associata, per intuibili ragioni di convenienza), trovo assolutamente pericolosa l’introduzione dell’Ufficio per il processo penale volto (tra l’altro) a “compiere tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giudiziaria da parte del magistrato, provvedendo, in particolare, allo studio dei fascicoli e alla preparazione dell’udienza, all’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale e alla predisposizione delle minute dei provvedimenti”. Una specie di “massimario dei precari”, previsto anche per le Procure e in Cassazione, non può certo vicariare l’ubi consistam del mestiere del giudice (qui, di nuovo, si fa rinvio alle considerazioni del Prof. Oliviero Mazza pubblicate su Il Sole 24 Ore del 23.6.2021). Altre sono le pratiche da adottare per concorrere ad una più rapida organizzazione del lavoro.

Come spero emerga da queste brevi considerazioni sparse, penso sia allora utile abbandonare il campo delle contrapposizioni, per più utilmente lavorare ad una riforma che pure non affronta, all’evidenza, i punti di debolezza del modello accusatorio italiano, ormai reso l’ombra di se stesso.

Non si tratta dunque di prender parte per questa o quella tesi (con Cataldo Intrieri o con Marco Siragusa, sarebbe davvero riduttivo “metterla giù così”), quanto cercare di fornire un contributo utile (non solo per lucrare i fondi del PNRR: link, link e link). 

L’orizzonte temporale è tiranno, e per esperienza personale so che i lavori delle Commissioni ministeriali sono lunghi e complessi. Invecchio male, ma non sono ancora diventato democristiano; non è la logica del compromesso che mi sta a cuore, quanto quella del confronto, della considerazione dell’altro da te, che può indurre a vedere ciò che in prima battuta non scorgevi. 

La consapevolezza che sia sempre più difficile un confronto con la Politica, sgombro da convenienze minute e teso ad un vero riformismo democratico, non può autorizzare timidezze. Andrà dunque rivendicata la necessità dell’avvocatura di fornire un contributo in tutte le sedi utili, com’è capitato in passato. Quanto all’inutile campagna referendaria, utile solo per i promotori (ma questa è l’opinione personale di chi scrive), credo sia chiaro a tutti (comunque la si pensi) che questa è un’altra storia.


Michele Passione

avvocato del Foro di Firenze