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23 settembre 2021

La Riforma del processo penale - 3. I riti speciali (immediato e decreto penale): tutte le risposte

Da qualche mese ci stiamo occupando della riforma del processo penale.

Lo abbiamo fatto, sin dal testo Bonafede, per sezioni e con il metodo dell'intervista, con poche domande rivolte a un giudice, un pubblico ministero, un avvocato e ad un docente universitario.

Abbiamo pubblicato i contributi secondo l'ordine di ricezione, in maniera casuale. Il piano completo dell'opera è consultabile al → link.

Terminate le varie sezioni pubblichiamo le risposte di tutti i professionisti del processo in un unico contributo.

Proseguiamo oggi con la sezione I riti speciali , per la quale abbiamo rivolto le nostre domande a Fabrizio Guercio (giudice), Maria Rosa Perricone (pm), Michele Calantropo (avvocato) e Paola Maggio (docente).




1- Per il giudizio immediato, la riforma concede una seconda chance per l’accesso ad un rito alternativo nell'ipotesi di rigetto della prima richiesta. Tuttavia nel caso del giudizio immediato tale seconda chance rischia di far interpretare l’art. 438 V bis c.p.p., in tema di abbreviato, nel senso di rendere obbligatoria la presentazione della contestuale richiesta di abbreviato condizionato con le altre richieste di riti alternativi? Qual è il suo parere?

Il giudice: La proposta di riforma del codice di procedura penale in materia di giudizio abbreviato non sembra, prima facie, rendere obbligatoria la presentazione contestuale della richiesta di abbreviato condizionato e, subordinatamente al rigetto della stessa, di eventuali ulteriori riti alternativi (nello specifico, l’abbreviato c.d. secco e l’applicazione della pena su richiesta delle parti), atteso che, nel prevedere che l’imputato possa richiedere uno dei suindicati riti alternativi, a fronte del rigetto dell’abbreviato condizionato, non definisce una precisa scansione temporale a pena di decadenza. Tuttavia, un’interpretazione sistematica della novella normativa induce a ritenere che, in ossequio al disposto di cui al comma 5 bis dell’art. 438 c.p.p., l’imputato debba manifestare, contestualmente alla richiesta di rito abbreviato subordinata a un’integrazione probatoria, la propria volontà di definire il processo, in caso di rigetto di tale richiesta, nelle forme di cui al comma 1 del medesimo art. 438 c.p.p. (c.d. abbreviato secco) ovvero nelle forme di cui all’art. 444 c.p.p.Diversamente opinando, infatti, si verificherebbe un’aporia sistemica tra la disciplina dettata dall’art. 438 c.p.p., in materia di rito abbreviato condizionato, e quella in materia di rito immediato, nel senso che una richiesta di accesso al rito abbreviato c.d. secco ovvero all’istituto negoziale dell’applicazione della pena su richiesta delle parti presentata a seguito del rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato sarebbe ammissibile soltanto nelle ipotesi in cui quest’ultima richiesta sia stata rigettata, da parte del giudice delle indagini preliminari, a seguito di notificazione del decreto di giudizio immediato. Sennonché, un simile trattamento derogatorio rispetto alla disciplina dettata, in via generale, dal comma 5 bis dell’art. 438 c.p.p. non troverebbe, nell’impalcatura del giudizio immediato post riforma, alcuna valida raison d’être.

Il PM: La previsione della riforma, con riferimento al giudizio immediato,  della possibilità di  una seconda opportunità per l’imputato di proporre riti alternativi, a seguito del rigetto della prima istanza formulata, potrebbe in astratto condurre, in base ad una interpretazione a contrario, ad un’applicazione più restrittiva delle facoltà previste dal  comma V bis dell’art. 438 c.p.p. Al riguardo, infatti, il tenore letterale dell’art. 438 c.p.p. farebbe propendere  per  una tempistica temporale più rigorosa, ai fini della presentazione delle richieste subordinate al giudizio abbreviato condizionato; tali richieste infatti dovrebbero essere già anticipate nell’istanza di cui al comma 5 del medesimo articolo. Tuttavia si ritiene che la doppia chance, prevista specificatamente in tema di riti alternativi a seguito della notifica del decreto di giudizio immediato, non intacchi l’attuale concreta applicazione del comma 5 bis dell’art. 438 c.p.p., in base alla relativa interpretazione fornita dalla giurisprudenza di merito e di legittimità.Una diversa conclusione, in tema di giudizio abbreviato, contrasterebbe infatti con le stesse finalità di speditezza ed immediata definizione dei procedimenti, cui intende mirare la riforma. La specifica previsione della doppia chance, con riferimento al giudizio immediato, non sembra infatti possa intaccare,  sul diverso versante dell’art. 438 c.p.p., il principio in base al quale il giudizio abbreviato condizionato e quello cd “secco” non sono riti alternativi, ma modalità differenziate dello stesso rito; con la possibilità di proporli  entro la discussione dell’udienza preliminare. Inoltre rimane impregiudicato l’ulteriore principio secondo cui sono  incompatibili il giudizio abbreviato  e l’applicazione della pena su richiesta delle parti, salva la facoltà di proporre la richiesta di abbreviato in subordine, per l’ipotesi in cui la richiesta ex art. 444 c.p.p. sia respinta a seguito del diniego del pm e o del rigetto da parte del giudice.

L'avvocato: Innanzi tutto grazie per avermi invitato ad un dibattito sulle riforme del processo penale. Devo premettere per onestà intellettuale che sono sostanzialmente poco favorevole agli interventi asistemici da anni perpetrati dal Legislatore sul Codice di rito. Invero, la Giurisprudenza Comunitaria, Costituzionale e di Legittimità hanno avuto un loro ruolo non indifferente in questa direzione, soprattutto in considerazione del fatto che molte di queste iniziative legislative non hanno coinvolto le Camere Penali italiane, rimanendo quasi di esclusivo appannaggio di docenti universitari e correnti di pensiero della magistratura. Sullo sfondo di questo l’Art. 111 Cost. che pare, oggi, l’articolo della Carta meno applicato dell’era repubblicana. Partendo dal giudizio immediato, mi pongo il problema a monte. E’ orientato costituzionalmente siffatto tipo di procedimento e rispettoso dei canoni ermeneutici dell’art. 6 della CEDU? L’eliminazione della fase della discovery dell’art.415 bis cpp consente l’esercizio effettivo di un diritto di difesa, vieppiù nel cd Immediato cautelare? A mio avviso, il fatto che, in un sistema orientato al principio di parità tra accusa e difesa, anche i termini concessi per la scelta del rito da parte dell’imputato siano così brevi, appare lesivo dell’obiter dictum del 111 Cost. La modifica proposta, anziché partire dal principio della presunzione di non colpevolezza, evidenzia ancora una volta quello che è l’orizzonte del legislatore e cioè l’efficienza. Ora un processo, civile o penale che sia, non deve, a mio parere essere efficiente, ma giusto, equo, rispettoso della Costituzione, della tutela effettiva dei diritti dell’indagato/imputato. La riforma di cui mi viene chiesto, in realtà, sembra racchiudere tutto nel cerchio dell’efficienza e non del Giusto Processo, consentendo all’imputato solo la scelta se essere condannato con il rito abbreviato, o con l’applicazione della pena su richiesta delle parti. In questo senso sarebbe a mio avviso molto più utile l’abolizione del giudizio immediato, ed il potenziamento del giudizio abbreviato, con la possibilità di rendere meno discrezionali le ammissioni di abbreviato condizionato e regolarle in maniera da consentirne un utilizzo nomofilatticamente più puntuale e l’ampliamento dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, non solo sul quantum poena, ma anche sulle scansioni temporali, consentendone l’ammissione anche nel corso del dibattimento. 

Il Docente: In premessa vorrei chiarire un dato metodologico sulle riforme in discussione e in itinere. A mio modo di vedere, è necessario venir fuori da una visione parcellizzata e di contesto per guardare sinotticamente al processo e al versante sostanziale, se davvero – come si dice di volere fare – si intende porre rimedio alla grave crisi che attraversa il sistema. Come osservato da più parti, l’ampia convergenza politica che sostiene l’attuale governo dovrebbe anzitutto prendere in carico l’approvazione di un’amnistia, premessa ineludibile per una reale deflazione dei carichi e per dare respiro al versante penitenziario sovraffollato. A essa potrebbero seguire ragionate manovre di indulto e una sempre più convinta depenalizzazione. Guardo con altrettanto favore alle annunciate forme di archiviazione condizionata, a un’ulteriore spinta verso la messa alla prova con differenti manifestazioni di diversion, a un ampliamento di meccanismi risarcitori alternativi non sfocianti in bis in idem sanzionatori, nonché all’implementazione di meccanismi riparativi anche in sede esecutiva. Con specifico riguardo agli interventi sull’immediato e sul decreto penale di condanna, li ritengo destinati ad avere minore incidenza rispetto alle più ampie linee di riforma previste in materia di abbreviato e di patteggiamento, ove però continuano a registrarsi ampie preclusioni oggettive e soggettive per la pena negoziata e rimane invariato il divieto di accesso al procedimento abbreviato per i reati punibili con l’ergastolo. Tali fattori freneranno inevitabilmente il reale esito deflativo dei due principali procedimenti speciali. Quanto alle direttiva di delega in tema di giudizio immediato e di procedimento per decreto, la scelta del legislatore intende semplificare la conversione tra il primo rito e il patteggiamento e l’abbreviato, cosicché (come chiarisce la relazione illustrativa) l’imputato che si vede negare l’abbreviato condizionato possa optare per l’abbreviato secco o per l’applicazione della pena su richiesta. Anzitutto, la scelta trascura la possibilità di una forma di conversione analoga tra il rito di cui all’art. 453 e ss. c.p.p. e la messa alla prova per adulti. Sebbene poi le modifiche in discussione sembrino escludere formalmente automatismi fra la richiesta dell’abbreviato e le successive trasformazioni non contemplando forme decandenziali, temo, tuttavia, che l’intarsio che si va componendo possa determinare, nella sostanza, una anticipazione della volontà negoziale in sede di conversione nel rito abbreviato, che appare già gravemente appesantito dagli stretti criteri di ammissibilità dell’integrazione probatoria, rispetto ai quali il giudice esercita una discrezionalità ampia ed incontrollata. Segnalo infine che l’intento di facilitazione dei meccanismi di conversione fra i riti speciali, deve tenere conto della bassissima incidenza statistica dell’immediato, affetto da talune anomalie croniche (penso in particolare alla natura e alla sovrapponibilità delle regole decisorie sulla cautela e sul rinvio a giudizio, nell’immediato cautelare), cui il legislatore non sembra volere porgere attenzione né porre rimedio.


2-La riforma del procedimento per decreto ci pare più sbilanciata sulle esigenze di cassa che su quelle di una reale rianimazione del rito. Condivide questo giudizio?

Il giudice: Da una prima lettura della proposta di riforma del procedimento per decreto non è possibile escludere, in effetti, che le esigenze di cassa costituiscano il vero movente della novella legislativa concernente tale rito, ma – a modesto parere dello scrivente – quali che siano le ragioni sottese all’operato del Legislatore, appare cionondimeno evidente come la rinnovata configurazione del procedimento speciale in esame possa apportare dei significativi vantaggi in chiave deflattiva del dibattimento. È noto, invero, che una delle ragioni principali per cui il procedimento per decreto non ha mai apportato alcun significativo contributo all’abbattimento del contenzioso ordinario risiede nel fatto che, nella prassi giudiziaria, tale procedimento speciale risulta spesso più svantaggioso, sotto il profilo della determinazione del quantum di pena, rispetto a un qualunque altro rito alternativo e, talvolta, financo al giudizio ordinario. Se è vero infatti che il decreto penale di condanna garantisce all’imputato l’assoggettamento ad una pena esclusivamente pecuniaria, è altrettanto vero che costituiscono un non indifferente incentivo alla sua impugnazione l’esosità della pena pecuniaria medesima, così come calcolata in ossequio al disposto di cui al comma 1 bis dell’art. 459 c.p.p., e la ‘‘certezza della pena’’ (circostanza, quest’ultima, tutt’altro che da sottovalutare in un sistema processuale nel quale fatica a ridursi il numero delle sentenze di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato).  Inoltre, così come attualmente concepito, tale rito alternativo appare fisiologicamente inadeguato a stigmatizzare quelle condotte processuali ascrivibili a persone che abbiano ceduto agli impulsi a delinquere in ragione delle proprie condizioni di difficoltà economiche e che, per effetto dell’applicazione del decreto penale di condanna, si trovino a dover ottemperare ad una non indifferente sanzione pecuniaria. Per contro, la previsione di un abbattimento della stessa pena pecuniaria, a fronte della rinuncia a proporre opposizione avverso il decreto penale di condanna, potrebbe restituire nuova linfa a tale istituto, oltre che giovare alle casse dello Stato.


Il PM: La riforma mira a rianimare l’utilizzo del decreto penale di condanna, in prima battuta  ampliando il termine (da semestrale ad annuale) concesso al pubblico ministero per inoltrare al gip la relativa  richiesta. Tuttavia si rileva che, in base all’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, tale termine è del tutto ordinatorio; al riguardo, sebbene il gip possa legittimamente rigettare la richiesta una volta oltrepassato il semestre dall’iscrizione nelle notizie di reato, nella prassi è del tutto infrequente che l’autorità giudiziaria disponga il rigetto solo sulla scorta di tale motivazione. Al contempo, anche con riferimento all’abbassamento del tetto massimo di pena pecuniaria ai fini della conversione di quella detentiva, si rileva che, già nella prassi, veniva utilizzato un indice giornaliero ben al di sotto dei 180 euro indicati nella riforma.Sembra invece sbilanciata sulle esigenze di cassa la previsione della subordinazione dell’estinzione del reato all’effettivo pagamento della pena pecuniaria. Dall’altra parte, tuttavia, contrasta proprio con l’esigenza sopra citata la diversa previsione dell’ulteriore riduzione della pena nella misura di un quinto, nel caso di rinuncia all’opposizione entro 10 giorni dalla notifica del decreto penale: si ritiene infatti che tale disposizione introduca un’ ingiustificata riduzione della pena, senza che a ciò si accompagni una significativa diminuzione dei tempi di definizione del procedimento, che comunque, in caso di mancata opposizione, sarebbe ugualmente intervenuta dopo ulteriori 5 giorni.

L'avvocato: In merito al secondo quesito, valgano le stesse questioni di fondo affrontate per il giudizio immediato. Mi chiedo, per i reati sussumibili nel procedimento per decreto, quale convenienza possa avere il cittadino a corrispondere delle somme elevate se in sede di opposizione può ottenere anche l’assoluzione. 

Il Docente: Sì, in effetti, al di là di una più ampia presa in carico della alternatività fra sanzione detentiva e sanzione pecuniaria che tenga conto delle intrinseche differenze e finalità, le esigenze di cassa sembrano fare ‘la parte del leone’ in questa scelta del legislatore. Inoltre, allungando il lasso temporale entro il quale il rappresentante dell’accusa può formulare la richiesta del rito monitorio, si rischia di incidere negativamente sulla durata ‘irragionevole’ del giudizio: vero dramma esistenziale del nostro sistema processuale. Ugualmente erroneo mi pare subordinare l’estinzione del reato nei casi previsti dall’art. 460, comma 5, c.p.p. all’effettivo pagamento della sanzione monetaria (art. 4, comma 1, lett. d, n. 2). Tale previsione è affetta da palese irragionevolezza in quanto potrebbe discriminare l’effetto estintivo in base a situazione cetuali. Sarebbe più opportuno un generale contenimento del quantum sanzionatorio, dato, quest’ultimo, che ha sinora rappresentato uno dei fattori limitanti in concreto il successo del rito monitorio.


3-Non le pare che per fare cassa si potesse ampliare il meccanismo delle oblazioni, più incentivante anche per i prevenuti?

Il giudice: Se la ratio (ancorché non dichiarata) della riforma in commento fosse effettivamente quella di fare cassa, sicuramente il Legislatore avrebbe potuto e dovuto ampliare il meccanismo delle oblazioni e, pertanto, sotto questo profilo, la novella codicistica costituisce certamente un’occasione mancata. Tuttavia, l’implementazione dell’istituto dell’oblazione sarebbe stato un quid pluris, non certo un quid minus, rispetto alla riconfigurazione del procedimento per decreto che, così ripensato, appare – come superiormente esposto – potenzialmente idoneo a fare cassa e, al contempo, a deflazionare il dibattimento, non apparendo tali due risultati ontologicamente contrastanti tra loro. In altri termini, non bisogna scivolare nell’errore di sovrapporre i due piani del ‘‘de iure condito’’ e del ‘‘de iure condendo’’, nel senso che l’ampliamento del meccanismo delle oblazioni avrebbe quasi certamente apportato degli effetti benefici per le casse dello Stato – e per quel che più rileva per noi ‘‘operatori del diritto’’ – per la deflazione del contenzioso (‘‘de iure condendo’’), ma la scelta del Legislatore di non intervenire sul punto non può certamente oscurare, da sé sola considerata, l’astratta bontà della riforma del procedimento per decreto (‘‘de iure condito’’).Tanto più in considerazione del fatto che l’implementazione di un istituto procedimentale non esclude l’implementazione dell’altro. 

Il PM: Il meccanismo delle oblazioni allo stato trova una limitata applicazione, sia per la ristretta cerchia di reati per i quali è previsto, sia per alcuni prescrizioni dell’istituto, come quella avente ad oggetto  l’immediato versamento della metà della pena pecuniaria, all’atto di presentazione della domanda.  In ogni caso si evidenzia che la pena per l’oblazione  è comunque più alta rispetto a quella in astratto concedibile con decreto penale. Ciò premesso, sebbene condivida l’auspicio di una maggiore ampliamento dell’istituto dell’oblazione che, diversamente dal Decreto penale, è nella disponibilità dello stesso imputato, tuttavia ritengo che sarebbe ancor più preferibile ricorrere a meccanismi di estinzioni del reato simili a quelli previsti dagli artt. 21 e 24 del D. Lvo. N. 758/94. Al riguardo infatti, con tale modus operandi, si garantiscono al contempo due finalità: quella di garantire effettiva tutela al bene giuridico sotteso alla fattispecie incriminatrice; nonché assicurare il pagamento di una pena pecuniaria, condizione quest’ultima per la successiva ed immediata estinzione del reato. I citati meccanismi inoltre si collocano in un’ottica più vicina a quella della giustizia riparativa, oggetto di numerose raccomandazioni a livello europeo.

L'avvocato: In realtà molti dei reati ricompresi nell’alveo di quelli definiti con decreto penale di condanna, oggi, ben potrebbero essere sostituiti con provvedimenti di natura amministrativa e quindi ritenere le condotte presupposte come estranei all’alveo del penalmente rilevante. Grazie ancora per l’invito. 

Il Docente: Anche in questo caso vedrei meglio l’accesso a meccanismi di diversion mediante forme di archiviazione condizionata in grado di anticipare la messa alla prova anteriormente all’esercizio dell’azione penale, cui si potrebbero accostare, l’ampliamento delle fattispecie contravvenzionali oblabili, un incremento delle ipotesi di non punibilità per particolare tenuità del fatto e ben congegnate forme di estinzione del reato in relazione a condotte riparatorie.