Sezioni

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28 febbraio 2023

I primi contrasti delle Sezioni semplici sul regime transitorio Cartabia e sul tempus regit actum. La questione rimessa alle Sezioni Unite

 



Proprio ieri, su questo blog, abbiamo dato notizia di una sentenza della Corte di Cassazione, Sezione quarta (al link), di segno opposto a quella che pubblichiamo oggi della Quinta penale.

La Quinta Sezione ha affermato che l’art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. a), n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nella parte in cui dispone che «Quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile», è applicabile esclusivamente alle impugnazioni per i soli interessi civili proposte avverso sentenze emesse a partire dal 30/12/2022. (In motivazione, la Corte ha precisato che, in assenza di disciplina transitoria, il regime delle impugnazioni deve essere determinato, conformemente alla regola di cui all’art. 11 disp. prel. cod. civ., in base alla normativa vigente al momento della pronunzia della sentenza impugnata, posto che è in rapporto a tale atto e al tempo del suo perfezionarsi che devono essere valutati la facoltà di impugnazione, la sua estensione, nonché i modi e i termini del suo esercizio, ivi comprese le peculiarità che incidono sulla formulazione dell’atto impugnatorio).

Scarica la sentenza Cass, pen, Sez. V, n. 3990/23 al link


27 febbraio 2023

Riforma Cartabia e assenza della disciplina transitoria: NON si applica il tempus regit actum



 

La Quarta Sezione ha affermato che l’art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. a), n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, a decorrere dal 30/12/2022 ex art. 6, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, nella parte in cui dispone che «quando la sentenza è impugnata per i soli interessi civili, il giudice di appello e la Corte di cassazione, se l’impugnazione non è inammissibile, rinviano per la prosecuzione, rispettivamente, al giudice o alla sezione civile competente, che decide sulle questioni civili utilizzando le prove acquisite nel processo penale e quelle eventualmente acquisite nel giudizio civile», è applicabile anche nei giudizi d’impugnazione per i soli interessi civili introdotti prima o relativi a sentenze precedenti alla sua entrata in vigore. (In motivazione, la Corte ha precisato che, per l’assenza di disciplina transitoria, in caso di impugnazione ai soli fini civili, il principio del “tempus regit actum” impone di fare riferimento, onde individuare la normativa applicabile, a quella vigente al momento in cui è verificata dal giudice penale la non inammissibilità dell’impugnazione, cui consegue l’automatica prosecuzione del giudizio davanti al giudice civile).


La questione è però controversa e domani pubblicheremo una sentenza di segno opposto della quinta sezione (link).

Riteniamo importante la sentenza perché, ponendo l'accento sull'assenza della disciplina transitoria dalla quale discende la inapplicabilità del principio processuale del tempus regit actum, si presta ad applicazioni anche per altri aspetti della Riforma Cartabia, prima fra tutte quella relativa alla necessità che l'atto impugnazione rechi, a pena di ammissibilità, l'elezione o la dichiarazione di domicilio presso il difensore ai fini della notifica del decreto di fissazione dell'udienza.

26 febbraio 2023

La ferocia del nuovo sistema processuale italiano: il rinviato a giudizio è un guilty man walking

 



A margine del Convegno organizzato dalla Camera Penale "G. Bellavista di Palermo, pubblichiamo l'intervento del presidente della Camera Penale di Trapani, avv. Marco Siragusa.

Nei prossimi giorni pubblicheremo gli interventi del dott. Giuliano Castiglia e dell’avv. Maurizio Gemelli. 


- La ferocia del nuovo sistema processuale italiano: il rinviato a giudizio è un guilty man walking - 


Buongiorno e grazie agli amici della Camera Penale di Palermo per questo invito particolarmente gradito per varie ragioni sulle quali ne prevalgono almeno tre: 1) il tema dell’incontro; 2) l’affetto per la Camera Penale Bellavista e il Foro di Palermo, essendomi formato qui, da praticante, presso lo studio dell'avvocato Nino Mormino all’epoca (1996) in cui egli era il Presidente della CP Bellavista; 3) i miei compagni di avventura, colleghi e magistrati seri ed apprezzati.


Io credo che il tema di questo incontro sia particolarmente stimolante.

Oggi discuteremo di “Le Udienze Filtro. Deflazione?” e ritengo che il punto interrogativo finale sia più che opportuno.


Perché - vedete - sullo sfondo delle riflessioni che faremo vi è certamente la Riforma Cartabia, cioè una legge di “scopo” che ha un fine dichiarato: ridurre il carico del contenzioso per centrare gli obbiettivi del PNRR con le conseguenze in termini di finanziamento che ormai tutti conosciamo.


Ma - io credo - noi faremmo torto a noi stessi se ci limitassimo a ragionare sulla modificazione della regola del giudizio preliminare introdotta dalla Riforma Cartabia, senza ragionare sui fini propri del filtro preliminare. Perché se omettessimo questa riflessione non centreremo l’obbiettivo che ci siamo dati: cercare di rispondere alla domanda del titolo di questo convegno.


E allora io vi propongo una sintesi storica, intanto senza riferimenti a norme e leggi. Una riflessione, insomma, che miri ai principi generali.


La prima considerazione da fare è che ogni procedura processuale si regge su un delicato sistema di equilibri.

L’alterazione di questi equilibri - nei quali gioca un ruolo fondamentale l’obbiettivo che il sistema persegue - non è indifferente nella “economia” della procedura.


Farò subito un esempio che spiegherà: se parliamo di udienza preliminare non possiamo trascurare il giudizio abbreviato, e non solo perché medesimo è il giudice di entrambi e analoghe sono le “piattaforme cognitive” di quel giudice (il fascicolo), sebbene come sappiamo siano “tarate” diversamente. 

Ma perché la modificazione della regola di accesso al rito abbreviato ridonda necessariamente sull’udienza preliminare e, ancor prima, sulle indagini preliminari.


Facciamo un passo avanti nel ragionamento: quando s’immaginò il nuovo codice di procedura penale - che non esiste ormai più - si cercò un “equilibrio” di sistema che tendesse al fine dichiarato: il dibattimento è la sede “naturale” per l’accertamento di un fatto. 

Il dibattimento è pubblico per consentire il controllo dei cittadini nel cui nome la giustizia è amministrata; la prova si forma nel contraddittorio tra le parti per la formazione di essa; il processo è senza fronzoli, easy quanto alle formalità; vige la libertà delle forme, il favor (impugnationis, libertatis) e via di seguito.


In questo sistema le indagini erano necessariamente preliminari e celeri; le “testimonianze” erano informazioni testimoniali sommarie; i tecnicismi erano “accertamenti”. 


Tutto il materiale raccolto dal PM, nel segreto dell’indagine, era una mera - e sottolineo mera - fonte di prova destinata ad una ed una sola funzione: determinare l’accusa all’archiviazione oppure all’azione.


Guardate che non a caso ho detto all’archiviazione, perché chi scrisse il codice del 1989 sapeva il fatto suo, al contrario dei legislatori e della giurisprudenza successiva … La regola era l’archiviazione perché la Costituzione prevede il principio di non colpevolezza.

Dunque le risultanze delle indagini - che dovevano essere per ontologia brevi - servivano solo al PM e per decidere il da farsi (art. 125 n. att. c.p.p. pre-vigente).


In quel “sistema” era coerente che laddove il PM si determinasse all’azione e chiedesse al GUP il processo, la richiesta dell’imputato di trasformare le fonti di prova in prova sulla quale rendere il giudizio di merito (id est: l’abbreviato) fosse subordinata al consenso/dissenso del pubblico ministero. E sia l’uno (il consenso) sia l’altro (il dissenso) non necessitavano di una motivazione. Necessitavano di quel che il questo disgraziato Paese rifuggiamo sempre: della responsabilità della decisione!


Sappiamo com’è andata finire: prima la giurisprudenza costituzionale e poi il Legislatore hanno trasformato l’abbreviato in un diritto potestativo: lo chiedo, e ne ho diritto.


Questa scelta - non discuto se giusta o sbagliata - non è stata indifferente per il “sistema processuale”. 

Da allora il pubblico ministero ha dovuto immaginare e costruire la sua indagine non più soltanto come preliminare ma come autosufficiente, capace cioè di resistere all’esercizio del diritto potestativo dell’imputato richiedente il giudizio abbreviato e pertanto capace di fondare non più solo le determinazioni dell’accusa sull’azione ma anche quelle sulla colpevolezza.

Con una sola eccezione che conferma la regola: l’abbreviato ostativo per i delitti puniti con l’ergastolo, voluto dallo scellerato legislatore pentastellato.

Ma qui, vedete, siamo alla cartina di tornasole: con una mano vieto di abbreviare e impongo il dibattimento; con l’altra recupero la premialità se, alla fine del dibattimento, escludo il titolo che vieta l’accesso al rito speciale. L’esatto contrario della deflazione … e dell’economicità …


Questa rivoluzione copernicana - la prima, non quella sull’abbreviato ostativo - è stata indifferente rispetto alla alterazione sistematica del codice originario? 


Da allora, e per l’effetto di quella modifica legislativa, le indagini sono diventate elefantiache nella “raccolta” di informazioni e nei “tempi” di svolgimento.


Una tendenza - quella dell’anticipazione e dell’allontanamento del dibattimento - che nel tempo è stata costante e che oggi è massima: le indagini e la cautela sono il cuore della procedura penale nel 2023.

L’esatto contrario di quell’ideologia che animava il codice del 1989…


E’ giusto? E’ sbagliato? Io ho la mia idea che non esprimo. Non lo faccio non certo per reticenza, ma perché voglio qui limitarmi a ragionare su piani di oggettività affinché ciascuno maturi un proprio convincimento sull’analisi che propongo.


Dunque la procedura è cambiata e con essa è cambiato (e cambierà ancora) il modo di esercitare la professione. Non saremo più chiamati ad imparare le magnifiche sorti e progressive della faccenda accusatoria, le indagini difensive, la comunicazione persuasiva, le tecniche dell’esame e del controesame … Non più o, per meglio dire, non più prevalentemente.


Saremo invece chiamati ad imparare a far altro: i negoziatori per l’assistito ovvero gli artificieri della bomba feroce che il sistema processuale gli appronta contro, riducendo il luogo delle garanzie: il dibattimento!


Anzi dirò di più: saremo finanche chiamati a domandare, con odiose formalità, che il nostro assistito, un cittadino presunto innocente, debba chiedere di accedere fisicamente all’aula nella quale si celebra il suo processo. Che se non lo facciamo o lo facciamo in modo formalmente scorretto non è neppure detto che l’imputato veda in faccia il suo giudice …


Affermo quindi che il sistema processuale è stato stravolto; è stato inferocito e mostra oggi il suo volto più autoritario.


Il processo non è più il luogo delle garanzie costruito intorno all’imputato per la pacificazione sociale nell’amministrazione della giustizia in nome di tutti i cittadini.


Il processo è ormai diventato “uno strumento di difesa sociale, [che è una] tipica della funzione dell’accusa”, ma che, con altrettanta certezza, non si appartiene al processo (così, Valerio Spigarelli su Il Dubbio del 16.2.2023).


E torno ancora una volta al passato: questo cambio di concezione ideologica del processo ha avuto inizio all’indomani delle stragi mafiose del 1992, quando la giurisprudenza prima e il legislatore poi hanno ritenuto di utilizzare le regole processuali come strumenti di prevenzione, funzione che è invece tipica del diritto sostanziale. E chiudo la parentesi.


Torniamo a noi, alla deflazione e riponiamoci la domanda: lo stravolgimento della regola di accertamento di un fatto (che non è più dibattimentale, ma che è  stata spostata verso l’investigazione) ridonda sulla deflazione?


Io credo che a questa domanda debba darsi - con dolore - risposta affermativa!


Una risposta affermativa che reca con sé tutte le conseguenze di quel che affermo: il processo non è più un luogo di garanzia, ma è un sistema feroce dal quale uscire nel modo meno dannoso possibile.

Prima il processo poteva essere una pena esso stesso.

Oggi rischia di diventare una tortura.

Ma la pena si può espiare, anche con cristiana rassegnazione per chi è credente.

Dalla tortura ci si può solo liberare, pietendo che essa cessi nel più breve tempo possibile.


Conosco già l’obiezione al ragionamento: il processo accusatorio “funziona” solo e soltanto se una percentuale ridotta di “casi” arriva al dibattimento.

Non funziona se la deflazione da rito speciale fallisce.


E’ una considerazione vera, verissima, ma che a mio modo di vedere prova troppo, come si dice, e si presta a numerose repliche.

Vediamone alcune.


Se si vuole veramente la deflazione del dibattimento:


  1. non v’è ragione di mantenere così tanti riti speciali, tutti differenti quanto ad effetti, scopi e procedure. E dunque tutti potenzialmente fonte di ritardi, errori e inefficienze del sistema;
  2. non v’è ragione per impedire che oggetto dell’accordo tra le parti sia anche il titolo del reato contestato;
  3. occorrerebbe consentire il “patteggiamento” senza alcun limite edittale;
  4. occorre abbandonare il panpenalismo;
  5. è necessario attuare una seria depenalizzazione;
  6. è necessario introdurre la discrezionalità dell’azione penale con l’assunzione della responsabilità conseguente alla scelta;
  7. è necessario introdurre diversi modelli di accertamento in funzione della “natura” e del “titolo” di reato;
  8. e potrei continuare …



Riassumendo e tirando le fila, prima delle conclusioni.


Abbiamo negli anni interpolato la proceduta penale del 1989, violentandola e stravolgendola.


Abbiamo spostato l’asse sulla indagini e sulla cautela, allungando i tempi e allontanando il dibattimento.


Oggi sperimentiamo anche il divieto di accesso fisico dell’imputato al palazzo di giustizia e pretendiamo la soluzione della vicenda secondo dispute alternative, che vengono offerte con “clemenza”, quasi a lenire la ferocia di una procedura che è diventata autoritaria.



Io trovo che sia sconvolgente ritrovare la cartina di tornasole del ragionamento nella modificazione della regola del giudizio preliminare e nell’estensione del filtro preliminare addirittura al giudizio monocratico.


Dico da subito che né l’una (la modifica della regola di giudizio) né l’altra (l’estensione al monocratico del filtro preliminare) avranno effetti deflativi.


Vediamo perché.

Noi veniamo da un passato in cui l’udienza preliminare era inutile.

Lo era, come ho accennato in premessa, perché negli anni abbiamo reso autosufficiente l’indagine del PM, e il GUP era chiamato a decidere su una domanda semplice postagli dall’accusa: mi fai celebrare il processo?

La risposta a quella domanda era scontata: sì, certamente.


E lo era proprio per l’autosufficienza del fascicolo del PM, che doveva essere capace non solo (come lo si era immaginato in origine) di fondare la prosecuzione della sequenza processuale (il rinvio a giudizio), ma in ipotesi di fondare la colpevolezza (in caso di richiesta di abbreviato).

E siccome la regola del giudizio preliminare era (ed è) prognostica tanto bastava a rispondere affermativamente alla richiesta di azione avanzata dal PM.


Qual era la funzione dell’udienza preliminare? 

E quali erano le caratteristiche del giudizio che la definiva? Poteva definirsi “giudizio di merito” la valutazione del giudice dell’udienza preliminare?


Queste le domande che ci ponevamo in tempi pre Cartabia e che rimangono ancora attuali.


L’udienza preliminare era un orpello della sequenza procedimentale al quale aveva cercato di restituire dignità l’art. 1 della L. 105/1993, che aveva“espunto” l’evidenza dal criterio di giudizio del non luogo a procedere.


A monte del non luogo a procedere v’era l’ontologica differenza della discussione da udienza preliminare: l’accusa insiste perché il procedimento acceda al processo; la difesa perché s’arresti. Entrambi “taravano” la discussione sul piano prognostico: di idoneità a sostenere l’accusa in giudizio, da una parte; di superfluità della ribalta dibattimentale, dall’altra.

Non è casuale che la terminologia utilizzata dal codice sia “non luogo a procedere”, anziché assoluzione.

Del resto - ricordo - la sentenza di non luogo a procedere è revocabile in caso di sopravvenienza o di scoperta di nuove fonti di prova. 

La valutazione che era richiesta al g.u.p. era predittiva e atteneva all’utilità del giudizio.


Fuori dalle ipotesi c.d. “chiuse”, nelle quali cioè l’arresto del procedimento s’imponeva per l’evidente insufficienza degli elementi di prova a carico e per la valutazione negativa della loro integrazione, permanevano dubbi sui criteri di giudizio nel caso di soluzioni c.d. “aperte”.

Si tratta di tutti quei casi in cui il materiale offerto dall’accusa a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio appare, in potenza, capace di ricevere un ulteriore apporto nella fase dibattimentale. Se ne ha conferma dai parametri del comma 3 dell’art. 425 c.p.p.: gli elementi insufficienti o contraddittori non rappresentano la regola del “giudizio preliminare”. 

Invero, anche elementi contraddittori a “carico” possono, in prognosi, risultare insuscettibili di ulteriore sviluppo dibattimentale e impongono il non luogo a procedere. 

Di converso s’imporrà il rinvio a giudizio, laddove la valutazione consenta di prevedere la soluzione dibattimentale degli elementi contraddittori.

Infatti, il “giudizio preliminare” non pronuncia(va) sulla colpevolezza o sull’innocenza dell’imputato e, per quanto esso “tenda” verso il merito, si colloca nella sequenza degli atti come se fosse una decisione procedimentale. 

Esso era coerentemente calibrato sugli stessi parametri del

giudizio di archiviazione (art. 125 disp. att. c.p.p. pre Cartabia).


In quest’ottica, si spiegano anche i poteri officiosi in materia di “prova” dei quali dispone il g.u.p.. 

Essi sono distinti in “poteri di impulso” integrativo (art. 421 bis c.p.p.) oppure di integrazione vera e propria (art. 422 c.p.p.), e “tendono a superare le incertezze del proscioglimento” (Marandola e Bronzo, Procedura Penale teoria e pratica del processo, vol. II, a cura di A. Marandola, Milanofiori Assago, 2015, 1013).


Ma proprio le prerogative “probatorie” del g.u.p. offrono un ulteriore spunto nel tentativo di delineare il “giudizio preliminare”, muovendo dalla similitudine del disposto di cui all’art. 422 c.p.p. con quello di cui all’art. 441 comma 5 c.p.p.. 

In entrambi i casi la “disposizione delle nuove prove” trova ragione in una situazione di stallo (impossibilità di decidere allo stato degli atti) che è tuttavia differente quanto agli epiloghi decisori.

Infatti, nel primo caso (art. 422 c.p.p.) l’opzione probatoria s’atteggia come facoltativa: vi si accederà se la contraddizione e/o l’incompletezza degli elementi a carico possono risolversi nel non luogo a procedere, ma nulla toglie che la soluzione del contrasto venga “affidata” alla sede (dibattimentale) propria.


Nel caso del giudizio abbreviato (art. 441 comma 5 c.p.p.) la regola di giudizio è calibrata sul ragionevole dubbio, sicché l’opzione integrativa della piattaforma probatoria è obbligatoria laddove il surplus di prove appaia (l’unico) idoneo a risolvere lo stallo (fermo restando che, non risolto il dubbio, la decisione dovrà essere assolutoria).


Il che acclara la prevalente natura processuale del “giudizio preliminare”. 


Se, come è, si tratta di un giudizio nel quale rimane estranea l’affermazione o meno di colpevolezza, l’obbligo di

integrazione probatoria rileva ai soli fini della inutile sperimentazione del dibattimento e dunque per la (eventuale) emissione della sentenza di non luogo a procedere.


A ragionare diversamente, dovrebbe immaginarsi l’anticipazione all’udienza preliminare del contraddittorio sulla prova mediante un’istruzione che si formi “lontano” dagli occhi e dalle orecchie del giudice dibattimentale.


Fino a prima della Cartabia, in conclusione, la regola del giudizio preliminare era invertita: nel giudizio di accertamento della responsabilità il dubbio opera(va) pro reo; nel giudizio preliminare, al contrario, il dubbio era il propellente dell’azione penale. 


Una conseguenza che, al di là dei tecnicismi, appariva irragionevole e in contrasto con la “percezione di giustizia”: justice must not only be done, it must also be seen to be done.


E su questa giudizio - credo da tutti condiviso, tranne forse dalla Corte di Cassazione - s’innesta l’improvvida idea di aggiungere alla norma l’inciso ragionevole previsione di condanna”.


Un’idea che trova concordi - stranamente concordi, devo dire - sia l’Avvocatura sia la Magistratura.


Mi avvio alla conclusione.


Cambierà qualcosa nella regola di giudizio preliminare? Non credo.


La funzione dell’udienza preliminare rimane prevalentemente processuale.


Se voi foste il giudice preliminare vietereste al PM di sperimentare al dibattimento la fondatezza delle ipotesi aperte?


Dunque l’unica differenza con il passato è che da adesso lo stigma del rinvio a giudizio recherà anche quello della ragionevole previsione di condanna.


Tanto sarebbe valso, come suggerisce Paolo Ferrua, prevedere l’udienza preliminare su richiesta dell’imputato oppure obbligare il GUP a motivare - assumendosene la responsabilità! - il decreto di rinvio a giudizio.


La mia opinione è dunque che con la Riforma Cartabia non cambierà nulla quanto alla regola di giudizio dell’udienza preliminare.


E credo anche che noi avvocati dovremmo seriamente pensare di proporre ai nostri assistiti la rinuncia all’udienza preliminare (io ho ormai inserito la procura speciale alla rinuncia nel modello di studio).


A meno che non si debba abbreviare o patteggiare, è preferibile che l’imputato arrivi al dibattimento per la (sua) rinuncia all’udienza preliminare, senza ipoteche sulla sua responsabilità e senza vantaggi per il PM (il rinvio a giudizio conferirà di per sé legittimazione all’indagine, snellendo la ricostruzione dibattimentale che tenderà a presumere fondata l’indagine).


Affermo: che l’imputato arrivi al dibattimento senza quello che ho definito lo stigma di un colpevole presunto, quando invece egli è un presunto innocente.


Un colpevole presunto in cammino per le fasi e i gradi del processo la cui destinazione finale sembra essere una sola: la condanna! O almeno così sono stati “ritarati” gli equilibri di sistema (si veda ad esempio l’art. 545 bis cpp).


Insomma: un guilty man walking 



Rispondo, alla fine, alla domanda del nostro incontro.


Nel caso dell’udienza preliminare, la Riforma potrà avere un effetto deflattivo: in udienza preliminare si definirà alternativamente oppure si rinuncerà ad essa.


Tuttavia per la gran parte dei reati, cioè per quelli da “citazione diretta a giudizio”, l’udienza pre-dibattimentale non è rinunciabile com’è l’udienza preliminare.


La conseguenza è che nelle ipotesi pre-dibattimentali non solo non si deflazionerà, ma si dovrà subire il processo sotto l’insegna di ragionevole colpevolezza.


Un risultato mostruoso, orribile e inutile. Anzi, feroce.


La ferocia del nuovo sistema processuale italiano: il rinviato a giudizio è un guilty man walking.


Vi ringrazio.



24 febbraio 2023

Detenzione di materiale pedopornografico – Archiviato in un “account” di “cloud storage” consultabile dall’imputato – Configurabilità del reato – Sussistenza.

 



La Terza Sezione ha affermato, con riferimento al reato di cui all’art. 600-quater cod. pen., che nel concetto di detenzione di materiale pedopornografico rientra anche disponibilità di file fruibili, senza limiti di tempo e di luogo, mediante accesso ad un archivio virtuale integralmente consultabile con credenziali di autenticazione esclusive o comunque note a chi le utilizzi.

23 febbraio 2023

Trasferimento fraudolento di valori – Modifiche aziendali che determinino l’intestazione fittizia di un’ulteriore azienda – Nuovo reato – Sussistenza – Identità degli interponenti e degli interposti – Irrilevanza.

 


La Seconda Sezione, in tema di trasferimento fraudolento di valori, ha affermato che, anche nel caso in cui rimangano identici i soggetti interponenti e quelli interposti, integra un nuovo reato, rispetto al preesistente, il mutamento della denominazione sociale, lo spostamento della sede o l’acquisto di nuovi beni strumentali, ove determinino l’intestazione fittizia di un’ulteriore azienda, intesa quale complesso di beni materiali e immateriali.

22 febbraio 2023

Patrimoniali – Confisca – Termini di efficacia del sequestro – Sospensione – Deposito della decisione oltre il termine ordinario – Indicazione nel verbale di udienza – Necessità.

 



La Prima Sezione penale, in tema di misure di prevenzione patrimoniali, ha affermato che la sospensione dei termini per il deposito del decreto di prevenzione di cui all’art. 7, comma 10-septies, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, incidente anche ai fini del computo del termine di efficacia del sequestro, come previsto dall’art. 24 dello stesso d.lgs., postula l’indicazione, nel verbale di udienza, della volontà del collegio giudicante di avvalersi della facoltà di depositare la decisione oltre il termine ordinario di quindici giorni.

21 febbraio 2023

PNRR e Cartabia, le prime applicazioni della deflazione statistica;: la sentenza di NDP ex art. 420 quater cpp

 



Prime applicazioni della nuova deflazione da PNRR: la sentenza di non doversi procedere per irreperibilità.

Pubblichiamo la sentenza del GUP di Trapani anche per i pertinenti aspetti "organizzativi"; la sentenza infatti oltre alla dovuta individuazione della data di prescrizione e alla disposizione di ricerche fino a tale data, con senso pratico, individua sin da subito la data di prosecuzione del processo per l'eventualità del rintraccio dell'imputato.

Nei prossimi giorni pubblicheremo una sentenza del Tribunale monocratico di Trapani sul tema.




- SVOLGIMENTO DEL PROCESSO -

All’udienza del 12 gennaio 2022, veniva disposta la sospensione del procedimento ex art. 420 quater c.p.p., con gli adempimenti conseguenti.

All’udienza del giorno 1 febbraio 2023, il giudice revocava l’ordinanza di sospensione del processo, invitava le parti a concludere e, all’esito della camera di consiglio, pronunciava la presente sentenza.

- MOTIVI DELLA DECISIONE -

I.L.N. è chiamata a rispondere del delitto di appropriazione indebita di cui in epigrafe, commesso a B. P. il 4 ottobre 2019.

L’imputata è stata dichiarata irreperibile con decreto del pubblico ministero del 13 maggio 2021 e le notifiche nei suoi confronti dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare sono state regolarmente effettuate con le modalità previste per gli irreperibili.

All’udienza del 12 gennaio 2022, è stata disposta la sospensione del procedimento ex art. 420 quater c.p.p., nella formulazione all’epoca vigente. In data 1 febbraio 2023, è pervenuto il verbale di vane ricerche redatto da militari della stazione dei carabinieri di Castellammare del Golfo.

Allo stato, non risulta dagli atti e non si può in alcun modo ritenere che l’imputata abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la sua mancata comparizione sia dovuta ad una scelta volontaria e consapevole.

Pertanto, in base alle previsioni dell’art. 420 quater c.p.p., come novellato dall’art. 23, comma 1, lett. e), D.Lgs. n. 150/2022 ed applicabile al caso di specie in virtù della disposizione transitoria di cui all’art. 89 del predetto D.Lgs. n. 150/2022, va emessa sentenza inappellabile di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputata.

Le ricerche della N. a cura della polizia giudiziaria dovranno, però, proseguire fino a quando non sia superato il termine previsto dal novellato art. 159, ultimo comma, c.p.p., ossia il 4 ottobre 2031. 

P.Q.M.

Visti gli articoli di legge in rubrica, 157 e 159, ultimo comma, c.p., 420quater c.p.p.,

dispone

non doversi procedere nei confronti di I. L. N. per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputata;

dispone

che le ricerche della predetta N. a cura della polizia giudiziaria proseguano fino al 4 ottobre 2031 e che, in caso di rintraccio, le sia personalmente notificata la sentenza;

avvisa

l’imputata eventualmente rintracciata che il processo a suo carico sarà riaperto davanti alla stessa autorità giudiziaria che ha pronunciato la presente sentenza, ossia innanzi al G.U.P. presso il tribunale di Trapani, e che l’udienza per la prosecuzione del processo è fissata presso il tribunale di Trapani, sito in via XXX gennaio, VI piano, aula GIP/GUP: 
il primo giorno non festivo del successivo mese di settembre, alle ore 9,30 e ss., se sarà rintracciata nel primo semestre dell’anno; 
il primo giorno non festivo del mese di febbraio dell’anno successivo, alle ore 9,30 e ss., se sarà rintracciata nel secondo semestre dell’anno; 

avvisa

altresì l’imputata eventualmente rintracciata che, qualora non comparirà e non ricorra alcuno dei casi di cui all’articolo 420 ter c.p.p., si procederà in sua assenza e sarà rappresentata in udienza dal difensore;

precisa

che, decorso il termine del 4 ottobre 2031 senza che l’imputata sia stata rintracciata, la presente sentenza non potrà più essere revocata;

visto l’art. 143bis disp. att. c.p.p.,

dispone

la trasmissione della presente sentenza alla locale sezione di polizia giudiziaria per l’inserimento nel Centro elaborazione dati di cui all’art. 8 della legge 1 aprile 1981, n. 121 e successive modificazioni.

Motivazione contestuale.

Trapani, 1 febbraio 2023

Il giudice

Caterina Brignone

20 febbraio 2023

Il riesame che vorrei di Erika Di Carlo






Per la sezione "La Riforma che vorrei" pubblichiamo l'intervento della dr.ssa Erika Di Carlo e a seguire una breve nota del Presidente della nostra Camera penale, avvocato Marco Siragusa.

 

IL RIESAME CHE VORREI 

Il Tribunale per il riesame, noto anche come Tribunale della Libertà, è il primo baluardo della libertà personale, essendo la prima sede in cui l’indagato, privato della libertà personale a seguito di ordinanza cautelare emessa inaudita altera parte (per la maggior parte dei casi), ha effettivamente la possibilità di esplicare la sua difesa, nel contraddittorio con l’altra parte.



Il riesame che vorrei.

Ho riflettuto molto su questo tema da quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo al riguardo, e nel farlo ho cercato di mettermi dal punto di vista dell’indagato, nonché, in caso di sequestro, del titolare del bene oggetto di ablazione in via cautelare.

Le mie riflessioni si sono concentrate essenzialmente sul rimedio del riesame ex art. 309 c.p.p., avverso le ordinanze in tema di libertà personale - e, a cascata, sul riesame ex art. 324 c.p.p., avverso i provvedimenti in tema di sequestro - proprio perché si tratta del primo rimedio esperibile da parte dell’indagato avverso il provvedimento genetico, che applichi per la prima volta la misura cautelare.

Meno criticità presenta, dal mio punto di vista, l’appello ex art. 310 c.p.p., sia perché si tratta di un mezzo di impugnazione che viene in rilievo in un momento successivo, dopo che il giudice che ha applicato la misura cautelare è già stato invitato dalla Difesa a rivedere la sua precedente decisione, sia per la maggiore ampiezza dei termini ricollegati alla decisione sui motivi di impugnazione, peraltro non perentori.

Diverso è, invece, il caso del riesame, collegato a termini decisionali perentori e più ristretti, proprio al fine di garantire al massimo la libertà fondamentale dell’indagato, che potrebbe esserne stato privato solo a seguito di una conoscenza incompleta della situazione sottostante, in assenza di un confronto con la Difesa, stante l’emissione del provvedimento cautelare inaudita altera parte (salvi i casi di arresto in flagranza di reato, cui segue l’udienza di convalida dell’arresto, nel contraddittorio tra le parti). 

L’idea che mi tornava sempre in mente era quella di un riesame limitato all’ “essenziale”, ossia ai casi in cui, effettivamente, una volta esplicato il contraddittorio, sussista davvero un margine di discrezionalità del Tribunale nel confermare o meno la misura cautelare già applicata, ovvero nella scelta della stessa, e non, invece, di un riesame esteso a tutti i casi, anche a quelli in cui l’applicazione della misura cautelare sia pressoché “inevitabile”.

Per quanto banale possa sembrare, non lo è affatto.

Nel fare questa riflessione mi riferisco essenzialmente ai casi in cui, una volta appurata la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, l’ago della bilancia verta realmente sulla sussistenza e sull’eventuale grado delle esigenze cautelari.

Ed infatti, essendo il rimedio del riesame proponibile senza limitazioni, oltre che integralmente devolutivo, senza onere di specificazione dei relativi motivi di impugnazione, accade sovente che si faccia riesame incondizionatamente avverso qualsiasi ordinanza cautelare.

Succede, dunque, che venga proposto riesame anche per i cosiddetti casi di scuola, in cui ad esempio un soggetto, arrestato in flagranza di reato o comunque raggiunto da gravissimi indizi per un reato contro il patrimonio, pur essendo gravato da plurimi precedenti penali dello stesso tipo (commessi anche nel più recente passato) e destinatario della misura cautelare più blanda in assoluto, faccia comunque riesame. 

Ciò, pur essendo incontestabili sia la sussistenza del quadro indiziario a suo carico, che la qualificazione giuridica dei fatti, o la sussistenza nel caso di specie dell’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione di reato.

Sussistenza talmente incontestabile che lo stesso impugnante si limita a fare richiesta di riesame senza specificarne in alcun modo i relativi motivi.

A mio avviso in queste ipotesi l’applicazione della misura cautelare potrebbe dirsi quasi obbligata.

Certamente differente è l’aspetto relativo alla scelta della misura da applicare, nel senso che a fronte di un quadro così grave, l’applicazione della misura cautelare più lieve in assoluto appare quasi un non-senso, in quanto potrebbe sembrare fin da subito inefficace.

Ma certamente l’ultimo a potersi dolere di tale scelta è l’indagato, se non per il fatto che tale misura potrebbe essere aggravata, dimostrando così in concreto la sua inefficacia e la necessità di applicare, fin dall’inizio, una misura più gravosa.

Circostanza, quest’ultima, che dovrebbe comunque lasciare soddisfatto l’indagato per il fatto che una misura più restrittiva non sia stata applicata da subito. Tale eventualità, peraltro, riguarda un momento successivo, e non certo quello del riesame.

Appare carente, quindi, in tali casi l’interesse ad impugnare. 

Come dimostrato, del resto, dal rigetto pressoché integrale di tutte le impugnazioni di tal fatta.

Nel “riesame che vorrei”, invece, la mancata proposizione di queste impugnazioni consentirebbe al Tribunale di potersi concentrare con la massima attenzione possibile sulle ipotesi più controverse - in cui la lettura del quadro indiziario non è affatto così univoca come nei casi appena menzionati – esaminando anche questioni non sottoposte dalla difesa, a causa della ristrettezza dei perentori termini processuali e, spesso, della notevole mole delle risultanze dell’attività di indagine.

Questo, sì, consentirebbe la massima esplicazione della garanzia delle libertà personali dell’indagato, oltre che del rispetto dei suoi diritti di proprietà.

E questo è il riesame che io vorrei.

Ma non solo.

Vorrei anche un riesame in cui la Suprema Corte di Cassazione non annulli per mancanza di motivazione le ordinanze del Tribunale della Libertà, su punti che non erano neanche stati allegati dalla Difesa in sede di riesame.

Circostanza, anche questa, che accade spesso. 

Viceversa, trovo pienamente efficace e rispondente agli effettivi interessi dell’indagato, il sistema dell’appello cautelare, ancorato a specifici motivi di ricorso, da argomentarsi puntualmente per iscritto al momento della proposizione del mezzo di gravame, ovvero nei 5 giorni antecedenti l’udienza, in modo da lasciare al Tribunale il tempo di approfondire la questione e di maturare pienamente la decisione. 

In conclusione, vorrei un riesame parzialmente devolutivo, al pari dell’appello ex art. 310 c.p.p., subordinato a specifici motivi di ricorso.

O, meglio ancora, un riesame che dipenda esclusivamente dal buon senso dell’impugnante, senza bisogno di ricorrere ad un intervento legislativo che ne limiti la proposizione.

In alternativa, vorrei che al Tribunale fossero garantiti gli stessi “privilegi” della Difesa, con la conseguenza di potere rigettare direttamente a verbale i gravami non sorretti da un reale interesse con formula sintetica (“ritenuta la sussistenza di un grave quadro indiziario e delle esigenze cautelari già ravvisate, il Tribunale rigetta il riesame”), in modo da guadagnare, per casi ben più problematici, quel tempo per la decisione che è ormai sempre più ristretto, in conseguenza della nota e ormai cronica assenza di risorse giudiziarie umane. 




Erika Di Carlo: Giudice della sezione misure di prevenzione. Laureata all’università di Palermo. Prima sede di servizio a Trapani dal 2006 al 2010: misure di prevenzione/ dibattimento/riesame, dal 2010 a tutt’oggi in servizio presso il Tribunale di Palermo, prima presso la seconda sezione penale (in cui si è occupata prevalentemente di reati contro la famiglia, reati sessuali e ex art. 416 bis c.p.) fino al 2017, e dal 2017 al 2020 presso la sezione per il riesame, per poi tornare a quella incaricata delle misure di prevenzione. Ha svolto anche funzioni di commissario per gli esami di abilitazione all’ Avvocatura, nonché di coordinatrice Got e Mot.


Nota di Marco Siragusa:
Con la libertà di opinioni e la voglia di confronto che da sempre anima questo blog, riceviamo e pubblichiamo il commento della Giudice dott.ssa Erika di Carlo, auspicando che si apra il dibattito sulla riforma invocata (la trasformazione del riesame da gravame a devoluzione integrale ad appello devolutivo) e su talune considerazioni contenute nel commento (noi non c'eravamo mai accorti che nel riesame - luogo in cui si agita il diritto inviolabile di libertà dell'indagato non ancora condannato e presunto innocente - la Difesa godesse di alcun "privilegio").

17 febbraio 2023

La rassegna delle sentenze delle Sezioni Unite Penali del 2021

 


Grazie a DIRITTO di DIFESA, la rivista dell'Unione delle Camere Penali Italiane, pubblichiamo la rassegna della sentenze delle Sezioni Unite Penali del 2021.

La rassegna al link e al link.

Molte delle sentenze le troverete pubblicate e commentate sul nostro blog accedendo alla Dashboard a sinistra e cliccando sulla voce Sezioni Unite.

16 febbraio 2023

Prescrizione dall'o.d.g. al disegno di legge Costa sulla prescrizione.

 


Avevamo già dato conto di un odg a firma Costa e altri con cui si impegnava il Governo a predisporre, con una rivisitazione organica, il ripristino della disciplina della prescrizione sostanziale in tutti i gradi di giudizio. Successivamente il primo firmatario dell'ordine del giorno ha predisposto un disegno di legge volto a modificare l'articolo 159 e ad abrogare l'articolo 161-bis del codice penale. In sostanza si tornerebbe alla riforma Orlando, però tenendo in vita quella Cartabia nella parte in cui prevede la improcedibilità nei gradi di giudizio successivi al primo: cioè la prescrizione decorrerebbe anche nei giudizi di impugnazione, ma con un'ampia sospensione dei termini dopo la condanna di primo grado, e salva comunque la possibilità che scatti la improcedibilità. Il testo è stato assegnato alla commissione giustizia in sede referente (testo al link)

15 febbraio 2023

❌ UTILITA'❌ IL MODELLO DI PROCURA SPECIALE CHE AUTORIZZA A TUTTO ... ANCHE A SPOSARE?




Il processo penale si sta "civilistizzando" (non è un complimento) con l'aggiunta di formalità spesso inutili, dalla cui mancanza derivano conseguenze spesso drastiche (la sanzione di inammissibilità su tutte).
Doveva esser un rito semplice, senza formalità, che tutelava il favor (impugnationis, cautelare etc.). Si è trasformato in un percorso ad ostacoli con trappole disseminate qua e là con il dichiarato intento di deflazionare (sarà da vedere se ci riuscirà; noi scommettiamo che non avverrà).
Gli avvocati, inutile nasconderlo, sono  gli obiettivi dichiarati delle trappole, se e quando dovessero verificarsi.
E mentre nei circondari più illuminati si protocollano le buone prassi, ad esempio sulle novità dell'art. 545 bis c.p.p., in altre realtà si confida sugli effetti deflattivi delle trappole (con un po' di sadismo?).
Riteniamo intanto di proporre un modello, non esaustivo, di nomina e procura speciale, nel quale abbiamo inserito (speriamo) tutto il possibile. Manca forse la procura speciale a coniugare ed a sciogliere il vincolo matrimoniale ...
Ciascuno lo adatti alle proprie esigenze, come meglio crede.
Qui a seguire il modello proposto



AUTORITA' GIUDIZIARIA

Dichiarazione di nomina, conferimento di procura speciale ed elezione di domicilio

Procedimento penale numero: 

Dottor/Dottoressa


Il sottoscritto

NOME E COGNOME

residente in ... , nato il ... a ... indagato/imputato, come in atti, nel procedimento penale in epigrafe per il reato p. e p. dagli artt. ...

DICHIARA

di nominare quale proprio difensore di fiducia l'avvocato ... , del Foro di ..., con studio in ... .

Conferisce al nominato difensore procura speciale, affinché formuli, secondo la sua valutazione e nel momento in cui lo ritenga utile alla posizione difensiva, le seguenti richieste che gli sembri opportuno proporre, nei termini ed alle condizioni che saranno da lui stabiliti: richiesta di messa alla prova ex articolo 464 bis codice di procedura penale e norme seguenti come introdotte dalla Legge 67/2014, giudizio immediato, giudizio abbreviato, richiesta di applicazione della pena ovvero presenti, domanda di oblazione ex articoli 162 e 162 bis codice penale.

Conferisce, ancora, al nominato difensore procura speciale affinché, secondo la sua valutazione, rinunci all'udienza preliminare ai sensi dell'art. 419 comma 5 c.p.p.

Conferisce inoltre espressa procura speciale al nominato difensore affinché acconsenta alla sostituzione della pena detentiva con una sanzione sostitutiva, ai sensi dell'art. 545 bis c.p.p..

[Attenzione, in questo caso la procura speciale deve essere rilasciata dopo la sentenza da impugnare] Conferisce infine procura speciale al nominato difensore ad impugnare il provvedimento/sentenza n. ... reso in data ... , da ... dott./dott.ssa ... nel procedimento/processo penale n. ... RGNR, n. ... RG/Giudicante, nonché le ordinanze e i provvedimenti interinali non autonomamente impugnabili, all'uopo eleggendo domicilio presso lo studio del suo difensore e procuratore speciale, in ... , ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio secondo quanto previsto dall'art. 581 comma 1 ter c.p.p..

Il sottoscritto ratifica sin d'ora le decisioni che, in virtù del presente atto saranno assunte dal suo difensore suindicato.

Luogo, data


Firma



è vera, per autentica

avv.