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29 ottobre 2021

❌Novità Corte Costituzionale: L’abbreviato ostativo è legittimo (ma discutibile)


Avevamo anticipato che il 19 ottobre 2021 la Corte Costituzionale si sarebbe pronunciata sulla importante attesa questione (link).

Qui l'ordinanza di rimissione (link).

È stata ora pubblicata la sentenza 208/2021, il cui testo riproduciamo a seguire.


SENTENZA N. 208

ANNO 2021


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giancarlo CORAGGIO; Giudici : Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), promosso dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Rimini nel procedimento penale a carico di A. B., con ordinanza del 19 gennaio 2021, iscritta al n. 41 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 ottobre 2021 il Giudice relatore Francesco Viganò;

deliberato nella camera di consiglio del 7 ottobre 2021.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 19 gennaio 2021, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Rimini ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), «laddove non prevede che l’imputato infermo di mente, riconosciuto incapace di intendere e di volere al momento del fatto, con perizia accertata in sede di incidente probatorio, possa chiedere di definire il processo con giudizio abbreviato nel caso di reato astrattamente punibile con la pena dell’ergastolo».

1.1.– Il giudice a quo deve pronunciarsi sulla richiesta – formulata in apertura dell’udienza preliminare dal difensore di A. B., imputato di omicidio aggravato ai sensi degli artt. 575 e 577, primo comma, numero 1), del codice penale – di essere giudicato con rito abbreviato.

Rilevato che il giudizio abbreviato non è ammesso per i delitti puniti in astratto con la pena dell’ergastolo, in forza della disposizione di cui all’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., introdotta dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge n. 33 del 2019, ed evidenziato come una perizia assunta in incidente probatorio abbia già riconosciuto l’imputato nel giudizio a quo come totalmente incapace di intendere e di volere al momento della commissione del fatto e socialmente pericoloso, ancorché in grado di partecipare al processo, il rimettente sottopone al vaglio di questa Corte, su conforme richiesta del pubblico ministero, la questione se la disposizione in parola sia compatibile con l’art. 111, secondo comma, Cost. anche in casi come quello all’esame.

1.2.– Dopo aver ricostruito le complesse vicende normative che, a partire dall’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale nel 1989, hanno interessato la questione dell’ammissibilità del giudizio abbreviato per i reati puniti con la pena dell’ergastolo, e dopo aver dato conto della recente sentenza n. 260 del 2020 di questa Corte, con la quale la disciplina in questa sede censurata è stata ritenuta non in contrasto con una pluralità di parametri costituzionali, il rimettente ritiene tuttavia che tale disciplina sia incompatibile con l’art. 111, secondo comma, Cost. in relazione alla specifica situazione di un imputato già riconosciuto, con le garanzie del contraddittorio, incapace di intendere e di volere.

In tale ipotesi, infatti, ad avviso del rimettente sarebbe del tutto superflua la celebrazione di un «processo dibattimentale e collegiale, che nulla potrebbe aggiungere al materiale probatorio già esistente, e non potrebbe rafforzare in alcun modo i diritti della difesa»: nel caso di specie, l’incapacità di intendere e di volere dell’imputato sarebbe già stata «incontrovertibilmente accertata», con conseguente inutilità del dibattimento, la prova essendo già «cristallizzata» e «non modificabile». Ed invero, l’art. 431, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. prevede l’inserimento nel fascicolo per il dibattimento dei verbali degli atti assunti nell’incidente probatorio, che saranno pertanto – unitamente alla stessa perizia – pienamente utilizzabili dalla corte d’assise per la decisione, in quanto assunti con tutte le garanzie del contraddittorio.

Né la celebrazione di un dibattimento innanzi alla corte d’assise potrebbe condurre, osserva il rimettente, ad un diverso esito sul piano sanzionatorio rispetto al giudizio abbreviato: in entrambi i casi, infatti, dovrà essere applicata soltanto una misura di sicurezza.

Conclude, pertanto, il giudice a quo che l’auspicata dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata «consentirebbe di definire il processo in tempi brevi senza inutile dispendio di preziose risorse organizzative, con l’applicazione, in via definitiva, di una misura di sicurezza e senza nessuna compressione del diritto di difesa».

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.

Osserva anzitutto l’interveniente che, contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, il difetto di imputabilità ritenuto da una perizia assunta in incidente probatorio non può ritenersi un dato processualmente accertato sino a che sia intervenuto un vaglio da parte di un giudice, il quale ben potrebbe discostarsi dalle conclusioni peritali, che non assurgono mai alla valenza di prova legale.

In ogni caso, i profili di asserita illegittimità costituzionale della disposizione censurata sarebbero stati già esaminati ed esclusi da questa Corte con la sentenza n. 320 (recte: 260) del 2020, anche riguardo al parametro ora invocato dell’art. 111 Cost. L’allungamento dei tempi processuali inevitabilmente connesso alla necessaria celebrazione di un dibattimento innanzi alla corte d’assise non potrebbe dirsi irragionevole nemmeno nei casi in cui l’esito decisorio sia scontato, dal momento che il dibattimento sarebbe la sola forma di giudizio nella quale possono estrinsecarsi i diritti riconosciuti alle vittime del reato dalla direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI.


Considerato in diritto

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Rimini ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), «laddove non prevede che l’imputato infermo di mente, riconosciuto incapace di intendere e di volere al momento del fatto, con perizia accertata in sede di incidente probatorio, possa chiedere di definire il processo con giudizio abbreviato nel caso di reato astrattamente punibile con la pena dell’ergastolo».

2.– La questione è ammissibile, le eccezioni formulate dall’Avvocatura generale dello Stato attenendo, in realtà, ai profili di merito della decisione, come di seguito precisato.

3.– Essa, tuttavia, non è fondata.

3.1.– Anzitutto, occorre sottolineare che – come giustamente rilevato dalla difesa statale – le risultanze di una perizia assunta in incidente probatorio, relativa allo stato mentale dell’imputato al momento del fatto, attendono ancora di essere valutate dal giudice ai fini della decisione, e non assurgono certo al valore di prova “incontrovertibile” in giudizio, come assume invece il rimettente. Quale che sia il rito adottato – giudizio abbreviato o dibattimento –, le parti avranno infatti piena facoltà di porre in discussione le valutazioni peritali, eventualmente attraverso propri consulenti tecnici, e il giudice potrà sempre motivatamente discostarsi da quelle valutazioni, eventualmente previa nomina di un diverso perito. Così come sarà evidentemente possibile, per le parti, chiedere l’ammissione di prove e discutere su quelle acquisite in relazione a tutti gli altri elementi – positivi e negativi – del reato, a cominciare dalla sua effettiva commissione da parte dell’imputato.

La questione che questa Corte è chiamata a decidere è, piuttosto, se debba essere giudicata manifestamente irragionevole la scelta legislativa di imporre la celebrazione del rito ordinario di fronte a una corte di assise, anche laddove la prova dei fatti costitutivi del reato e delle circostanze che escludono la responsabilità dell’imputato – come, appunto, il vizio totale di mente – sia (non già incontrovertibile, ma) particolarmente agevole, sulla base delle risultanze di una perizia assunta mediante incidente probatorio.

3.2.– Il rimettente muove dall’assunto – reiterato nella recente sentenza di questa Corte n. 260 del 2020 (Considerato in diritto, punto 10.2.) – secondo cui «una violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. potrà essere ravvisata soltanto allorché l’effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza, e si riveli invece privo di qualsiasi legittima ratio giustificativa (ex plurimis, sentenze n. 12 del 2016, n. 159 del 2014, n. 63 e n. 56 del 2009)».

Il giudice a quo ritiene, per l’appunto, che in un caso come quello all’esame la regola della celebrazione di un dibattimento pubblico in corte d’assise non abbia alcuna ragione giustificativa, risolvendosi in un allungamento dei tempi processuali non funzionale ad alcuna esigenza della difesa dell’imputato nonché, dal punto di vista dell’intero ordinamento, in un «inutile dispendio di preziose risorse organizzative».

3.3.– La sentenza n. 260 del 2020 ha già affrontato, e risolto negativamente, la questione se la disposizione all’esame violi l’art. 111, secondo comma, Cost., confrontandosi specificamente con l’argomento dell’asserita inutilità di un dibattimento pubblico nell’ipotesi in cui i fatti siano di agevole accertamento, ad esempio per essere intervenuta la piena confessione dell’imputato.

L’ipotesi ora all’esame del giudice rimettente è parimenti caratterizzata da fatti agevolmente accertabili, sebbene il prevedibile esito del processo in questo caso sia l’assoluzione dell’imputato per vizio totale di mente, sulla base delle risultanze della perizia assunta in incidente probatorio. Ciò, ad avviso del rimettente, priverebbe di senso l’obbligo di celebrare il dibattimento anche sotto il profilo del quantum della sanzione, posto che all’imputato dovrebbe al più essere applicata una misura di sicurezza, la cui durata non dipende dalla tipologia del rito con il quale il processo sarà celebrato.

La sentenza n. 260 del 2020 (Considerato in diritto, punto 7.6.) ha peraltro già sottolineato come tra le finalità ispiratrici della legge n. 33 del 2019 non vi fosse solo quella (emersa nella proposta di legge C. 392 del 27 marzo 2018) di conseguire un generale inasprimento delle pene concretamente inflitte per reati punibili con l’ergastolo, ma anche quella (evidenziata nella parallela proposta di legge C. 460 del 3 aprile 2018, poi assorbita nella prima) che rispetto ai reati più gravi previsti dall’ordinamento sia celebrato un processo pubblico innanzi alla corte di assise e non a un giudice monocratico, «con le piene garanzie sia per l’imputato, sia per le vittime, di partecipare all’accertamento della verità».

Quest’ultima finalità non viene meno neppure a fronte di fatti di reato per i quali l’imputato non possa essere ritenuto personalmente responsabile – in particolare perché non imputabile –, ma rispetto ai quali l’ordinamento può comunque avere interesse a svolgere un processo pubblico avanti a una corte a composizione mista, con «partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia» (art. 102, terzo comma, Cost.).

Il perseguimento di tale finalità rientra nel novero delle scelte discrezionali del legislatore, rispetto alle quali non è consentito a questa Corte sovrapporre la propria autonoma valutazione.

Si deve pertanto ribadire, in questa sede, come «non possa qualificarsi in termini di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà la scelta legislativa – magari discutibile sotto vari profili, e certo foriera di aggravi processuali – di prevedere comunque la celebrazione di un pubblico dibattimento, nel quale trova piena garanzia il “diritto di difendersi provando”, per accertare il fatto e ascrivere le relative responsabilità » (sentenza n. 260 del 2021, Considerato in diritto, punto 7.6.), restando ferma la possibilità per la corte d’assise di celebrare e concludere il dibattimento in modo spedito, sulla base dell’eventuale consenso dell’imputato all’acquisizione degli atti di indagine al fascicolo del dibattimento.


Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), sollevata, in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Rimini con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 ottobre 2021.




❌ESCLUSIVA❌ Messa alla prova per reati connessi ma giudicati separatamente: il Tribunale di Bologna solleva incidente di legittimità costituzionale



È rilevante e non manifestamente infondata in relazione all'art. 3 Cost. la questione di legittimità costituzionale dell'art. 168-bis comma 4 c.p. nella parte in cui, disponendo che la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato non può essere concessa più di una volta, non prevede che l'imputato ne possa usufruire per reati connessi ex art. 12 comma 1 lett. b) c.p.p. ad altri oggetto di procedimenti già definiti.
Si osserva nell'ordinanza che <<Prima del passaggio al Senato della legge n. 67 del 2014, infatti, era prevista la possibilità che un soggetto godesse per «due volte» della sospensione, a meno che la precedente esperienza non fosse correlata a un reato «della stessa indole» di quello per il quale il soggetto si trova a essere indagato o imputato. Non appare senza importanza, a parere di questo Giudice remittente, la circostanza che l'evoluzione giurisprudenziale creatasi sulla messa alla prova per minorenni aveva riconosciuto (si veda, sul punto, Cassazione n. 46366/12 e 40312/14) che, in caso di continuazione tra reati giudicati e giudicandi, la sospensione del processo e la messa alla prova disposti per i primi, pur non estendendosi automaticamente ai secondi, erano ammissibili qualora il Giudice avesse potuto riconoscere (ed adeguatamente motivare) non solo il vincolo della continuazione tra reati accertati in giudizi diversi ma anche verificare (ed adeguatamente motivare) la sussistenza di elementi idonei per una prognosi di positiva evoluzione della personalità del minore al fine di redigere un progetto idoneo al raggiungimento dell’obiettivo di rieducazione e reinserimento nella vita sociale. Se così è, ritornando all’istituto in esame riguardante gli adulti, l'applicazione dell'art. 168-bis comma IV del Codice penale è oltre modo problematica nel caso sottoposto all’attenzione di questo Giudice remittente. La possibilità che l'imputato ne possa fruire una sola volta non esclude, in linea di principio, che in caso di simultaneus processus aventi ad oggetto più fatti di reato, il Giudice possa riconoscere il vincolo della continuazione e giungere (con adeguata motivazione) ad un giudizio di meritevolezza del programma di trattamento redatto dall'UEPE anche attraverso l'esercizio dei poteri (integrativi e/o aggiuntivi) in tema di condotte riparatorie a favore della persona offesa e di commisurazione dei tempi e modi di espletamento del lavoro di pubblica utilità.>>.



28 ottobre 2021

Le comunicazioni sul sito dell'Autorità giudiziaria non sostituiscono le notifiche, neppure in tempo di pandemia.

Con la pronuncia n. 37876, la V sezione della Corte di legittimità precisa che, in caso di anticipazione dell'orario di udienza, la pubblicazione sul sito dell'ufficio giudiziario (nel caso di specie il sito internet della Corte di appello di Bologna) non è idonea a sostituire la formale notifica dovuta ex lege, di talché deve ritenersi integrata una nullità assoluta ove la parte non abbia partecipato all'udienza (sentenza al link).  

Nel frangente, per come risulta dalla sentenza di legittimità <<l'udienza di trattazione era stata originariamente fissata per il 6 maggio 2020, ma veniva rinviata d'ufficio al 18 giugno 2020 con provvedimento presidenziale del 14 aprile 2020 notificato alla parte ed adottato in forza della normativa speciale introdotta a seguito del sopravvenire dell'emergenza pandemica. Successivamente, con provvedimento del 25 maggio 2020 del presidente della sezione della Corte d'appello cui il procedimento era stato assegnato, l'udienza, in precedenza fissata alle ore 14.00, veniva infine anticipata alle ore 9.00. 

 Il 18 giugno 2020 al nuovo orario la Corte procedeva alla trattazione del procedimento in assenza dell'imputato e del suo difensore, i quali comparivano invece all'orario in precedenza loro comunicato, lamentando - per come risulta dal verbale - di non aver ricevuto alcun avviso dell'avvenuta anticipazione. Eccezione cui il giudice del merito replicava -che il relativo provvedimento era stato ritualmente pubblicato sul sito internet della Corte d'appello in attuazione di quanto stabilito dalle linee guida emanate dal Presidente della stessa>>.

L'imputato interponeva allora ricorso per cassazione eccependo <<la nullità del giudizio di rinvio, celebrato all'udienza del 18 giugno 2020 in assenza dell'imputato e del difensore di fiducia, sostituito ex art. 97 c.p.p., comma 4, previa anticipazione dell'orario originariamente fissato con provvedimento presidenziale non comunicato alle parti>>. 

I Giudici di legittimità hanno ritenuto la violazione dell'art. 465 c.p.p., a mente del quale, in caso di "variazione" dell'udienza  <<il provvedimento è comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti private , alla persona offesa e ai difensori>>.

Né rileva, secondo la pronuncia di legittimità, che, <<nell'esercizio dei poteri conferiti ai dirigenti degli uffici giudiziari dall'art. 83 commi 6 e 7 lett. d), d.l. n. 18/2020 (convertito con modificazione nella I. n. 27/2020), il Presidente della Corte abbia eventualmente stabilito - come evocato nel verbale dell'udienza - la pubblicazione sul sito dell'ufficio giudiziario dei provvedimenti ad oggetto la fissazione e la trattazione delle udienze. Tale misura non può ritenersi infatti sostitutiva della notifica alle parti di tali provvedimenti, quando dagli stessi dipenda l'informazione alle stesse dovuta al fine di consentire loro l'effettiva partecipazione al processo>>. 

A sostegno di tale affermazione, nella sentenza si considera anzitutto che <<alcunché in proposito è previsto dalla lett. d) del citato comma 7 dell'art. 83, il quale si limita genericamente ad autorizzare i dirigenti degli uffici giudiziari ad adottare linee guide vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze coerenti con le finalità di contrasto dell'emergenza pandemica indicate nel precedente comma 6 dello stesso articolo, ma non stabilisce alcuna deroga espressa al regime delle notificazioni degli atti funzionali all'instaurazione del contraddittorio processuale. Ma ad ulteriore conferma che la formulazione della disposizione evocata non legittima l'instaurazione di forme di pubblicità degli atti sostitutive della loro notificazione soccorrono i successivi commi 13, 14 e 15 dello stesso art. 83, nei quali il legislatore ha invece espressamente predisposto una disciplina speciale delle comunicazioni e delle notificazioni degli avvisi nel periodo emergenziale, dimostrando così di voler sottrarre la materia all'autonomia dei dirigenti dei singoli uffici giudiziari. E' dunque indubbio che questi ultimi avevano il potere, ad esempio, di imporre una riorganizzazione dei ruoli d'udienza, ma è altrettanto pacifico che alla comunicazione alle parti dei relativi provvedimento, qualora comunque incidenti sui diritti di partecipazione delle medesime, doveva procedersi nelle forme previste dai commi da ultimi menzionati>>. 

27 ottobre 2021

Il delitto di partecipazione all'associazione mafiosa alla luce della recente sentenza SSUU 36958/2021 - di Mariangela Miceli (*)

Avevamo già dato notizia del recente soffermo delle SS.UU. (Le Sezioni Unite definiscono la tipicità della partecipazione all'associazione mafiosa alla luce dei principi di materialità e offensività. Depositata la sentenza n. 36958 dell'11.10.2021, ud. 27.5.2021 al link).

Contiamo di fornire ai lettori una serie di commenti sulla sentenza. Iniziamo con il commento che segue della Collega Mariangela Miceli, socia di CP Trapani.




Il presente commento trae origine dall'ordinanza n.5071 del 25 gennaio 2021, con la quale la Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito: “se la mera affiliazione ad una associazione a delinquere di stampo mafioso cd. storica, nella specie ‘Ndrangheta’, effettuata secondo il rituale previsto dalla associazione stessa, costituisca fatto idoneo a fondare un giudizio di responsabilità in ordine alla condotta di partecipazione, tenuto conto della formulazione dell’art. 416-bis c.p. e della struttura del reato dalla norma previsto”.

Al quesito di cui sopra, le Sezioni Unite (sentenza n. 36958/2021 al linkhanno dato la seguente soluzione: “La condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si sostanzia nello stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa della associazione. Tale inserimento deve dimostrarsi idoneo, per le caratteristiche assunte nel caso concreto, a dare luogo alla “messa a disposizione” del sodalizio stesso, per il perseguimento dei comuni fini criminosi.

Nel rispetto del principio di materialità ed offensività della condotta, l’affiliazione rituale può costituire indizio grave della condotta di partecipazione al sodalizio, ove risulti – sulla base di consolidate e comprovate massime di esperienza – alla luce degli elementi di contesto che ne comprovino la serietà ed effettività, l’espressione non di una mera manifestazione di volontà, bensì di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un’offerta di contribuzione permanente tra affiliato e associazione”.

La soluzione del Supremo Consesso a Sezione Unite ha messo in discussione il modello delle SS.UU. Mannino, le quali accoglievano  una nozione di partecipazione ridotta alla mera affiliazione rituale. [In Cass. Sez. V, 3 giugno 2019, Geraci n. 27672], difatti, si era stabilito che “Il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si consuma nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell’organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta” programmata (riferendosi al reato di pericolo presunto).

Da quanto sopra premesso, tenuto conto dell’espresso riferimento ai principii di materialità ed offensività, le SS.UU. in ossequio al principio cogitationis poenam nemo patitur, hanno ribadito come non possa esservi reato se la volontà criminosa non si materializza in un comportamento esterno. Ed ancora, ottemperando al c.d. principio di necessaria lesività o offensività, è stato evidenziato come essendo fine ultimo del diritto penale quello della tutela di beni giuridici socialmente rilevanti, ai fini della sussistenza non basta la realizzazione di un comportamento materiale, ma è necessario che tale comportamento leda o metta in pericolo beni giuridici.

Appare chiaro che le SS.UU. abbiano chiarito se la mera affiliazione rituale alla ‘ndrangheta non accompagnata da ulteriori indicatori fattuali, sia fatto idoneo a fondare la conferma del giudizio di gravità indiziaria espresso ai sensi dell’art. 416 bis

 A questo punto, non appare superfluo ricordare che, l’art. 416 bis c.p. abbia avuto più di una ragione giustificatrice, poiché, si pone sia in rapporto di specialità rispetto al precedente art. 416 c.p. da un lato, sia perché dall’altro, la configurazione di una fattispecie incriminatrice ad hoc, tende ad un obiettivo pratico: rimediare alla spesso lamentata inadeguatezza della tradizionale fattispecie incriminatrice dell’associazione per delinquere. 

Posto che, la norma di cui si discute oggi, dal punto di vista degli interessi protetti ha natura plurioffensiva e che soggetto attivo del reato può essere chiunque, per ciò che qui ci interessa, deve essere ricordato l’ultimo comma dell’art. 416 bis, il quale estende l’applicabilità delle disposizioni “alla ‘ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”. 

La formula appena richiamata, presa alla lettera, sembra esporsi a obiezioni sotto il profilo del principio di tassatività, per porlo a riparo da censure di incostituzionalità, non rimane che considerarlo una puntualizzazione superflua, nel senso che, l’associazione che viene in questione dovrà pur sempre presentare tutti gli elementi tipici dell’associazione mafiosa: quindi si dovrà tenere conto sia dei mezzi usati sia dei fini perseguiti dagli associati di mafia. 

Proprio sulla base di questo ultimo punto, le SS.UU. hanno tenuto conto sia della natura della norma, sia del  suo profilo ‘strumentale’, ovvero, che l’associazione di tipo mafioso si caratterizza per la circostanza che i suoi membri si avvalgono della “forza intimidazione del vincolo associativo”.

Pertanto, nello sforzo definitorio posto in essere dal Supremo Consesso, si è posto l’accento sul carattere ‘dinamico’ e non statico della lettera della norma di cui all’art. 416 bis, posto che dalle attività di intercettazione emergevano le modalità rituali con cui i soggetti venivano ‘battezzati’ dall’associazione e ciò aveva consentito al Tribunale del riesame di Reggio Calabria di affermare l’esistenza di rapporti consortili tra i ricorrenti e i vertici del sodalizio. Tuttavia, rispetto a tali risultanze probatorie, il Collegio si è posto un problema ermeneutico preliminare, di qui l’intervento chiarificatore delle SS.UU. 

Queste ultime, infatti, hanno posto in luce con la soluzione al quesito, come nel caso de quo fosse necessario sottolineare il carattere unitario degli elementi tipici del reato al fine di verificare l’unitario momento funzionale del bene giuridico protetto dalla norma, ponendo in risalto la specifica funzione strumentale nel processo di interazione sociale tra associazione mafiosa, ordine democratico e pubblico, libertà di  mercato e di iniziativa economica. 

Del resto, la soluzione delle SS. UU. ci ricorda come il principio di legalità con i suoi corollari quali, i principii di materialità ed offensività, abbia una genesi non strettamente penalistica, ma squisitamente politica e garantista. 

Del resto abbracciando soltanto un’interpretazione della prova del fatto istantaneo della cerimonia rituale, anche la natura giuridica del reato permanente verrebbe svilita. Il rischio, nondimeno, potrebbe essere quello di dar vita ad una nuova fattispecie incriminatrice – di sola matrice interpretativa estensiva o addirittura analogica -  che si porrebbe in contrasto con il principio di tipicità e di offensività, fondando l’incriminazione del reo per “chi è” e non per “ciò che ha posto in essere”, tesi nota e biasimata in dottrina, conosciuta come “diritto penale d’autore”. 

In conclusione, la soluzione in commento ha evidenziato come il precetto penale, nella sua funzione di norma comando, abbia come scopo primario quello di tutelare il diritto del privato alla prevedibilità delle conseguenze penali di una condotta contraria all’ordinamento. 

Tale giudizio dovrà seguire sempre un procedimento d’interpretazione della norma “sulla mera condotta”,  adeguatamente sviluppato nei suoi requisiti minimi, qualora l’interprete argomenti sia sulle somiglianze che sulle differenze tra classi di casi raffrontate. Pertanto, un giudizio che non comporti il riconoscimento di tutti gli elementi di fattispecie dedotti dalla lettura della norma, dovrà concludersi con una incriminazione differente, non potendosi discostare nel procedere ad un giudizio di rilevanza dei beni giuridici protetti e dalle condotte poste dall’imputato che fanno capo  alla  ratio legis, quale perno dell’azione penale e delle ragioni incriminatrici. 


(*) Mariangela Miceli: Avvocato del Foro di Trapani. Già dottoranda di ricerca in diritto commerciale e docente a contratto presso l'Università di Roma Unitelma Sapienza. Autrice di pubblicazioni scientifiche.  Contributor per il blog Econopoly24 del Sole24ore

26 ottobre 2021

Carcere e green pass, una circolare del DAP esclude l'obbligo per i difensori, prevalenza del diritto di difesa - Intervista all'avv. Daniele Livreri

Ci eravamo già occupati dell'innovativa e importante circolare del DAP in tema di accesso agli istituti penitenziari e green pass, anticipandola in anteprima (Carcere e certificazione verde. La circolare del DAP: prevale il diritto di difesa; nessun obbligo per i difensori al link).

Sul tema, gli amici di Iuslaw Webradio hanno intervistato il responsabile del nostro blog, Daniele Livreri.

Potete ascoltare l'intervista a Daniele Livreri, che offre interessanti spunti estensivi sui principi della circolare del DAP, al link.









25 ottobre 2021

La Corte offre alcune precisazioni in tema di violenza per abuso delle condizioni di inferiorità.


Con la sentenza che si annota (Cass. sez. III n. 37129 dep. 13 ottobre 2021), la Corte ribadisce che <<in tema di violenza sessuale su persona che si trova in stato di inferiorità fisica o psichica, l'induzione a compiere o a subire atti sessuali si realizza quando, con un comportamento attivo di persuasione sottile e subdola, l'agente spinge, istiga o convince la vittima ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto (Sez.3, n. 38011 del 17/05/2019,Rv.277834 - 01; Sez.3,n. 38787 del 23/06/2015, Rv.264698 - 01)>>, aggiungendo però che <<l'induzione punibile, attuata mediante l'abuso, non si configura come attività di persuasione, ma come vera e propria sopraffazione nei confronti della vittima, la quale non è in grado di aderire perché convinta, ma soggiace al volere del soggetto attivo, ridotta a strumento di soddisfazione delle sue voglie (Sez. 3, n. 4426 del 13/5/1997, Masu, Rv. 208453, successive conformi Sez. 3, n. 20766 del 14/04/2010, T., Rv. 247654; Sez. 3, n. 32513 del 19.6.2002, P., Rv. 223101)>>. Con riguardo all'elemento dell'abuso, i Giudici nomofilattici hanno ribadito che lo stesso <<consiste nel doloso sfruttamento da parte dell'autore del reato, delle condizioni di menomazione della vittima, che viene strumentalizzata con l'obiettivo di accedere alla sua sfera intima a fini di soddisfacimento degli impulsi sessuali (cfr., tra le altre, sez.4, n. 40795 del 3/10/2008, Cecere, Rv. 241326; sez. 3, n. 2646 del 27/1/2004, Laffy, Rv. 227029)>> 

In sintesi, <<indurre ad un atto sessuale mediante abuso delle condizioni di inferiorità psichica altro non è che approfittare delle condizioni di inferiorità psichica e l'abuso si verifica quando le condizioni di inferiorità vengono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della sessualità della persona, che a causa della sua vulnerabilità connessa all'infermità psichica, viene ad essere utilizzata quale mezzo per soddisfare le voglie sessuali dell'autore del comportamento di induzione>>. 

Con riguardo al trattamento sanzionatorio, in particolare in tema di denegata con cessione della speciale attenuante di cui all'art. 609 bis u.c. , pur a fronte delle concesse circostanze attenuanti generiche, la sentenza precisa che <<ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità ..., deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima, anche in relazione all'età, mentre ai fini del diniego della stessa attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità.... Non sussiste, inoltre, incompatibilità tra la concessione delle circostanze attenuanti generiche ed il diniego dell'ipotesi attenuata ..., essendo diversi i rispettivi criteri di concedibilità>>. 

Infatti, la Corte regolatrice ha affermato che mentre <<per la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche rilevano tutti i parametri indicati nell'art. 133 c.p., per la concedibilità dell'attenuante speciale rilevano solo gli elementi indicati nel comma 1 e non quelli indicati nel comma 2 del predetto articolo>>. 

22 ottobre 2021

Nuovo abuso d'ufficio e violazione di regolamento: la sesta sezione della Corte di Cassazione "allarga" le maglie del penalmente rilevante

 


Con la sentenza in commento (Cass. pen., sez. VI n. 33240/2021 al link) la Sesta Sezione ha affermato che, anche a seguito della riformulazione del reato di abuso di ufficio (art. 323 c.p.) ad opera dell’art. 23, d.l. 16 luglio 2020, n. 76, conv. con mod. nella legge 11 settembre 2020, n. 120, ai fini della integrazione del reato, la violazione di norme contenute in regolamenti può rilevare nel caso in cui esse, operando quali norme interposte, si risolvano nella specificazione tecnica di un precetto comportamentale già compiutamente definito nella norma primaria e purchè questa sia conforme ai canoni della tipicità e tassatività propri del precetto penale.

21 ottobre 2021

Intercettazioni: ammissibile l'istanza di accesso alle registrazioni trasmessa a mezzo PEC. Annullata l'ordinanza del riesame di Brescia


 

In questo blog ci siamo più volte occupati dei nuovi aspetti del processo telematico (pagina dedicata al link), fornendo più volte indicazioni su come si inviano gli atti tramite il portale oppure a mezzo Pec (la guida al link)

È per queste ragioni che diamo notizia di una importante sentenza della Corte di Cassazione, sez. VI, n. 35290 del 6.9.2021 al link, con la quale in tema di disciplina dell’impiego della posta elettronica certificata nel procedimento penale, è stata ritenuta ammissibile l’istanza del difensore di accesso alle registrazioni di conversazioni intercettate utilizzate ai fini dell’emissione di un’ordinanza applicativa di una misura cautelare, trasmessa mediante posta elettronica certificata, all’indirizzo PEC della Procura, in formato PDF e sottoscritta con firma digitale o con firma elettronica qualificata, così come prescritto dal provvedimento del 9 novembre 2020 del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia emanato ai sensi dell'art. 24, comma 4, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, contenente disposizioni per contrastare l'emergenza da Covid-19 .

Nel caso in esame il ricorrente si doleva della conferma del provvedimento cautelare genetico da parte del tribunale del riesame, che aveva disatteso l'eccezione di nullità della difesa perché il pubblico ministero non aveva dato seguito alla richiesta di ascolto delle intercettazioni, avanzata a mezzo Pec dalla difesa. Nella specie, il tribunale distrettuale aveva (erroneamente) rigettato l'eccezione difensivo sul rilievo che la relativa istanza era stata trasmessa a mezzo pec.


20 ottobre 2021

❌Interruzione dei servizi informatici del Portale del Processo Penale Telematico❌



Interruzione dei servizi informatici del settore civile, del Portale dei Servizi Telematici e del Portale del Processo Penale Telematico. Modifiche correttive, migliorative ed evolutive


Per attività di manutenzione evolutiva straordinaria si procederà all'interruzione dei sistemi civili al servizio di tutti gli Uffici giudiziari dei distretti di Corte di Appello dell’intero territorio nazionale, nonché del Portale dei Servizi Telematici, incluso il Portale del Processo Penale Telematico, e del Portale delle Vendite Pubbliche con le seguenti modalità temporali:
​​dalle ore 17:00 di venerdì 22 ottobre sino alle ore 08:00 di lunedì 25 ottobre c.a., salvo conclusione anticipata delle operazioni.

Durante l’esecuzione delle attività di manutenzione, rimarranno attivi i servizi di posta elettronica certificata e saranno, quindi, disponibili le funzionalità relative al deposito telematico del settore civile da parte degli avvocati, dei professionisti e degli altri soggetti abilitati esterni anche se i messaggi relativi agli esiti dei controlli automatici potrebbero pervenire solo al riavvio definitivo di tutti i sistemi.

Non sarà invece possibile consultare in linea i fascicoli degli uffici dei distretti coinvolti dal fermo dei sistemi.
Per tutti gli utenti “interni” (magistrati e cancellieri) non saranno disponibili i registri di cancelleria e quindi, per i cancellieri, non sarà possibile procedere all’aggiornamento dei fascicoli, all’invio dei biglietti di cancelleria e all’accettazione dei depositi telematici; non sarà altresì possibile aggiornare i dati dei fascicoli della Consolle del Magistrato e della Consolle del PM.

Si rammenta che l’attività di manutenzione del Portale dei Servizi Telematici renderà indisponibili tutti i servizi informatici ivi esposti e, in particolare:
l’aggiornamento (anche da fuori ufficio) della consolle del magistrato;
il deposito telematico di atti e provvedimenti da parte dei magistrati;
tutte le funzionalità del portale dei servizi telematici;
tutte le funzioni di consultazione da parte dei soggetti abilitati esterni;
i pagamenti telematici compreso il pagamento del contributo di pubblicazione di un’inserzione sul Portale delle Vendite;
l'accesso al Portale Deposito atti Penali per il deposito con modalità telematica di atti penali;
l’accesso al Portale di consultazione dei SIUS distrettuali per Avvocati;
l'accesso agli avvisi degli atti penali depositati in cancelleria.

19 ottobre 2021

Tabulati e diritto intertemporale: quando la rinuncia della politica consente alla giurisprudenza di creare il diritto

Era prevedibile che accadesse, ed è accaduto.



Diamo conto di un provvedimento di merito con cui il GUP di Grosseto ha rigettato una eccezione di inutilizzabilità dei tabulati telefonici, acquisiti in forza della pregressa disciplina. 

L'A.G. si è limitata a richiamare il principio del tempus regit actum.

Tuttavia, la questione sollevata dalla difesa appariva meritevole di un qualche approfondimento.  

Se infatti si può convenire con la Corte di Cassazione (cfr. Cass. sez. II n. 28523/2021) che dalla sentenza del Giudice europeo (link) non può ricavarsi una indicazione puntuale dei reati per i quali è consentito l'accesso al dato, per contro, riguardo ad altra questione, la Corte di Giustizia ha posto invece un principio chiaro: l'Autorità chiamata a valutare la ricorrenza delle condizioni per l'accesso ai dati deve essere terza rispetto a chi richiede l'accesso e comunque alle parti processuali, quand'anche perseguano interessi pubblici. Né pare che nell'economia della pronuncia europea la circostanza che il Pubblico Ministero baltico sia dipendente dall'esecutivo abbia avuto un ruolo determinante, pur avendo la Corte aggiunto anche questa considerazione. 

In altri termini, si rischia, sulla scorta del principio tempus regit actum, di porre accanto a casi conformi al diritto europeo, lì dove sia il Giudice a consentire l'accesso ai dati dei tabulati, situazioni che non lo sono, poiché, in applicazione della vecchia normativa, i tabulati sono stati acquisiti direttamente dal richiedente, senza un controllo del giudice terzo (come, ora, prescrive il decreto legge 132/2021). 

Abbiamo già osservato che la norma transitoria, in un primo tempo prevista, avrebbe risolto tale problematica (facciamo rimando al link). 

Scarica l'ordinanza del GUP di Grosseto al link

18 ottobre 2021

Il Massimario dispensa la relazione sulla riforma dei tabulati





Dando seguito ai post  in cui abbiamo trattato il tema dell'acquisizione e utilizzabilità dei tabulati telefonici  ("La nuova disciplina per l'acquisizione dei tabulati parifica le parti, ma l'assenza di una norma transitoria apre scenari controversi" post al link , "❗TABULATI TELEFONICI: OCCORRE L'AUTORIZZAZIONE DEL GIP - Il decreto legge 132/2021❗post al link ), informiamo che l'Ufficio del massimario, il 13.10.2021, ha dispensato la relazione n. 55 inerente le novità normative introdotte con il d.l. 30 settembre 2021, n. 132 (relazione al link).

La relazione, dopo aver ampiamente analizzato la nuova normativa e i suoi presupposti, affronta anche il tema della utilizzabilità dei dati acquisiti dal Pubblico Ministero, ante riforma, analizzando la tesi del tempus regit actum, quella della sopravvenuta inutilizzabilità e quella del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. 

Ancora una volta si coglie l'opportunità, in sede di conversione, della introduzione di una norma transitoria. 

SAVE THE DATE: il 20 ottobre la Corte Costituzionale si pronuncia per l'ennesima volta sull'art. 34 cod. proc. pen.

È certamente la norma del codice di procedura penale che ha subito più dichiarazioni di "incostituzionalità" di tutti  tempi. Parliamo dell'art. 34 cod. proc. pen. che, come tutti sanno, possiamo definire norma di "creazione giurisprudenziale costituzionale", tante sono le pronuncia additive pronunciate dalla Consulta.

Sebbene nel tempo il giudice delle leggi abbia "diradato" gli interventi, dettando le regole interpretative che sottendono alla corretta applicazione della norma come "letta" nelle pronuncia di incostituzionalità, il prossimo 20 ottobre 2021 tornerà a pronunciarsi giusta la questione che è stata rimessa dal Tribunale di Macerata.

Il giudice remittente dubita che vi sia compatibilità tra il Giudice per le indagini preliminari che abbia rigettato la richiesta di emissione di decreto penale per ritenuta diversità del fatto e il medesimo Giudice (persona fisica) chiamato a pronunciarsi su una nuova richiesta di emissione di decreto penale avanzata dal pubblico ministero in conformità ai rilievi precedentemente formulati.

17 ottobre 2021

Caso Regeni: l’ordinanza della Corte d’Assise di Roma (l'assenza di conoscenza effettiva del processo impedisce l'instaurazione del rapporto processuale)



Per l’importanza e la particolare rilevanza della questione, pubblichiamo l’ordinanza della Corte d’assise di Roma sulla procedibilità in assenza degli imputati.

Si legge nell'articolata ordinanza che "un processo può considerarsi equo solo se da parte dell'imputato vi è stata conoscenza effettiva della vocatio in iudicium, sicché, nel rispetto dei principi convenzionali, i giudici di primo grado sono tenuti ad usare particolare rigore nel valutare la procedibilità in assenza. Questo è necessario per garantire un processo “giusto" ad ogni imputato. In caso contrario, l'art. 420-quater cod. proc. pen. prevede che, quando il giudice non abbia raggiunto la certezza della conoscenza della chiamata in giudizio da parte dell'imputato, deve disporre la notifica «personalmente ad opera della polizia giudiziaria». 
La disposizione, quindi, dimostra come il sistema sia incentrato esclusivamente sulla effettività di tale conoscenza, senza alcuna presunzione.
L'ordinamento prevede una sola ipotesi in cui possa procedersi in absentia e il processo possa instaurarsi senza che l'imputato abbia ricevuto il decreto di citazione a mani proprie pur in assenza della conoscenza effettiva della vocatio in iudicium, ed è la volontaria sottrazione «alla conoscenza del procedimento o di atti del procedimento.
L'art.420 bis c.p.p. non tipizza alcuna situazione e certamente ad essa non può equipararsi la mancanza di diligenza, né possono ritenersi in astratto neanche la latitanza, ovvero l'indicazione di un domicilio falso o inidoneo, la sopravvenuta irreperibilità; si tratta soltanto di elementi che possono essere considerati nel caso concreto, cioè nel rigoroso accertamento di fatto che deve essere compiuto dal giudice per poter sostenere che la compiuta conoscenza della vocatio in iudicium possa essere sostituita da una conoscenza soltanto legale. Ritiene, tuttavia, la Corte che questi approdi della giurisprudenza di legittimità debbano essere letti alla luce delle puntuali argomentazioni contenute nella citata sentenza della Corte Edu Sejdovic c/Italia" (sintesi al link).

Circa gli elementi di conoscenza del processo - che dev'essere effettiva e non presuntiva - l'ordinanza osserva che sono "dati presuntivi [ricavati dalla rilevanza mediatica internazionale del caso, dai contatti diplomatici e dalle indagini egiziane oltre che italiane] quelli dai quali può inferirsi,in termini di ragionevole certezza, soltanto la conoscenza da parte degli imputati, dell'esistenza di un procedimento penale a loro carico avente ad oggetto gravi reati ai danni del ricercatore Giulio Regeni". Ai fini della corretta instaurazione del rapporto processuale occorre invece "quella più pregnante conoscenza ... relativa alla vocatio in iudicium davanti al GUP (e poi davanti a questa Corte), con riferimento alla specifiche imputazioni elevate a loro carico, afferenti a plurime fattispecie di reato, una soltanto delle quali ascritta a tutti gli imputati, caratterizzate dunque da specifici e distinti ruoli ... L'assioma offerto dall'accusa nella propria prospettazione non appare condivisibile poiché si fonda sulla mera presunzione che gli imputati, in quanto appartenenti alla National Security, dato non vero per Athar e di cui non è vi prova dell'attualità per gli altri, sarebbero destinatari delle propalazioni illecite degli investigatori sulla base di un preteso spirito di corpo".


La sentenza delle SS.UU. n. 36959 dell'11.10.21 (ud. 24.6.21): sequestro preventivo e confisca oneri motivazionali




Avevamo già dato notizia dell'informazione provvisoria circa l'esito della decisione delle Sezioni Unite dello scorso 24 giugno 2021 (Il periculum in mora deve indicarsi anche in caso di sequestro finalizzato alla confisca . Fa eccezione la confisca obbligatoria al link).


Le Sezioni Unite penali hanno affermato che il provvedimento di sequestro preventivo di beni ex art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all’art. 240 cod. pen, deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca prima della definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili ex lege.

14 ottobre 2021

Le Sezioni Unite definiscono la tipicità della partecipazione all'associazione mafiosa alla luce dei principi di materialità e offensività. Depositata la sentenza n. 36958 dell'11.10.2021 (ud. 27.5.2021)




Avevamo già dato notizia dell'informazione provvisoria (Mafia: l’affiliazione rituale con la santina bruciata è grave indizio di appartenenza, ma occorrono ulteriori elementi per dimostrare la partecipazione. Le SS.UU. del 27 maggio 2021, contributo al link) sul quesito rimesso alla decisione delle Sezioni Unite <<Se la mera affiliazione ad un'associazione di stampo mafioso (nella specie 'ndrangheta), effettuata secondo il rituale previsto dall'associazione stessa, costituisca fatto idoneo a fondare un giudizio di responsabilità in ordine alla condotta di partecipazione, tenuto conto della formulazione dell'art. 416-bis cod. pen. e della struttura del reato>>. Al quesito è stata data la seguente soluzione (dall'informazione provvisoria): <<La condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si sostanzia nello stabile inserimento dell'agente nella struttura organizzativa della associazione. Tale inserimento deve dimostrarsi idoneo, per le caratteristiche assunte nel caso concreto, a dare luogo alla "messa a disposizione" del sodalizio stesso, per il perseguimento dei comuni fini criminosi. Nel rispetto del principio di materialità ed offensività della condotta, l'affiliazione rituale può costituire indizio grave della condotta di partecipazione al sodalizio, ove risulti - sulla base di consolidate e comprovate massime di esperienza - alla luce degli elementi di contesto che ne comprovino la serietà ed effettività, l'espressione non di una mera manifestazione di volontà, bensì di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un'offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione>>.

È stata ora depositata la sentenza n. 36958/2021 (al link).

Le Sezioni Unite penali hanno affermato che:

1. la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si sostanzia nello stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa dell’associazione che deve dimostrarsi idoneo, per le caratteristiche assunte nel caso concreto, a dare luogo alla “messa a disposizione” del sodalizio stesso, per il perseguimento dei comuni fini criminosi;

2. nel rispetto del principio di materialità ed offensività della condotta, l’affiliazione rituale può costituire indizio grave della condotta di partecipazione al sodalizio, ove risulti ― sulla base di consolidate e comprovate massime di esperienza ― alla luce di elementi di contesto che ne comprovino la serietà ed effettività, l’espressione non di una mera manifestazione di volontà, bensì di un patto reciprocamente vincolante e produttivo di un’offerta di contribuzione permanente tra affiliato ed associazione.