17 settembre 2021

Falso in gratuito patrocinio e nozione penalmente rilevante di reddito - di Fabrizio Guercio (*)





Pubblichiamo un'interessante sentenza di merito (Tribunale di Marsala n. 1203/2021 al link) che fornisce un'interpretazione "estensiva" del concetto di reddito ai fini dell'ammissione al beneficio del patrocinio statale.



L’articolo 76 del D.P.R. n. 115/2002, nell’individuare le «condizioni per l'ammissione» all’istituto del patrocinio a spese dello Stato, in effetti, fa esclusivo riferimento alla nozione di reddito, che, in termini economico-contabili, può definirsi come l’incremento o il decremento, in un determinato lasso temporale, del patrimonio, ossia il complesso dei beni, mobili o immobili, di cui dispone una persona fisica o giuridica; cionondimeno, depongono nel senso di un’interpretazione (non ‘‘analogica’’, bensì) ‘‘estensiva’’ o, comunque, ‘‘atecnica’’ della disposizione normativa in commento plurimi argomenti.


In primo luogo, quello c.d. sistematico, che trova il suo addentellato normativo nel comma secondo dell’articolo 96 del medesimo testo normativo, alla stregua del quale, nel decidere sull’istanza di ammissione al patrocinio, il Giudice ‘‘deve’’ tenere conto del «tenore di vita» dell’istante e del suo nucleo familiare («il magistrato respinge l'istanza se vi sono fondati motivi per ritenere che l'interessato non versa nelle condizioni di cui agli articoli 76 e 92, tenuto conto delle risultanze del casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari, e delle attività economiche eventualmente svolte»): e – com’è ovvio – per consentire al Decidente di svolgere un simile accertamento sulle capacità economiche complessive dell’interessato, la di lui istanza non può limitarsi ad indicare i redditi percepiti in un determinato anno d’imposta, ma deve estrinsecare tutti quegli elementi effettivamente sintomatici di ricchezza.

In termini più esplicativi, in base ad una lettura sistematica degli artt. 76, 79, 92 e 96 del testo normativo in commento, l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio deve contenere l’indicazione di ogni elemento o dato descrittivo utile alla determinazione del tenore di vita dell’interessato e del suo nucleo familiare, in modo da consentire all’Autorità giudiziaria di effettuare le valutazioni di cui agli artt. 96 e 98 del D.P.R. n. 115/2002 disponendo di tutte le informazioni all’uopo necessarie.

Non a caso, la Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che «rientrano nella nozione di reddito (…) tutti i beni mobili e immobili che siano anche nella disponibilità di fatto del richiedente (nella specie, l'imputato in sede di dichiarazione sostitutiva di certificazione, presentata al fine di ottenere l'ammissione al gratuito patrocinio, aveva omesso di dichiarare la disponibilità di un appartamento e di altri beni mobili e immobili)» (cfr. Cass. Pen., Sez. IV, n. 2131/2021).

Dal combinato disposto di tali norme, pertanto, si desume che l’art. 76 del D.P.R. n. 115/2002 indica in via generale e astratta le condizioni per l’ammissione al beneficio de quo, ma non esaurisce gli obblighi di comunicazione all’Autorità Giudiziaria gravanti sull’istante, il quale deve indicare – per l’appunto – qualsiasi indice rivelatore di ricchezza.


Né del resto rileva in segno contrario l’art. 79 del medesimo testo normativo che, nello specificare il «contenuto dell’istanza», impone, a pena di inammissibilità, che la stessa contenga – tra l’altro – «una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell'interessato (…) attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell'articolo 76» (lett. c): tale indicazione, invero, costituisce il quid minimum indispensabile ai fini della stessa ammissibilità dell’istanza, ma non tutto quello e solo quello che l’interessato è tenuto a comunicare all’Autorità Giudiziaria.

E ancora, depone in favore di un’interpretazione ‘‘estensiva’’ dell’art. 76 del Testo Unico in materia di spese di Giustizia anche l’argomento teleologico o della ratio legis, la quale – come è noto – è quella di garantire ai non abbienti i mezzi necessari per agire e difendersi in giudizio, in ossequio al precetto scolpito nell’art. 24 della Carta costituzionale.


E invero, un’interpretazione dell’art. 76 D.P.R. n. 115/2002 rigidamente ancorata al dato letterale cozzerebbe, anzitutto, con la finalità dell’istituto del gratuito patrocinio, che – come anzidetto – è quella di consentire il pieno esplicarsi del diritto di difesa in favore di quanti non abbiano risorse economiche complessivamente adeguate (tant’è vero che l’art. 74 della disposizione normativa in commento, nell’individuare i beneficiari dell’istituto, si riferisce al cittadino «non abbiente»), non già quella di garantire un legale a coloro i quali percepiscano un reddito esiguo, quale che sia il loro patrimonio complessivo e, dunque, il loro tenore di vita.


Diversamente opinando, infatti, si avallerebbe un impiego distorto (per non dire difforme al dettato costituzionale e, in particolare, al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.) di questo straordinario istituto di civiltà giuridica che è il patrocinio a spese dello Stato: per effetto di una considerazione ‘‘atomistica’’ del reddito dell’istante, infatti, si potrebbe verificare il paradosso di ammettere al beneficio de quo quanti, pur percependo un reddito inferiore al limite di legge, abbiano la disponibilità di ingenti risorse finanziarie accantonate presso un istituto di credito ovvero beni mobili di lusso, escludendo invece coloro i quali, pur avendo un tenore di vita modesto, percepiscano un reddito di poco superiore al limite stabilito dal Legislatore (argomento c.d. ad absurdum).


La stessa Suprema Corte, inoltre, è pacifica nell’attribuire rilevanza ai redditi di provenienza illecita, che l’istante ha l’obbligo di indicare e la cui esistenza può essere altresì provata ricorrendo a presunzioni semplici (cfr., da ultimo, Cass. Pen., Sez. IV, n. 44900/2018): anche sulla scorta di tale principio giurisprudenziale, dunque, non può non attribuirsi rilevanza a tutte quelle forme lecite di manifestazione di ricchezza diverse dal reddito in senso tecnico, come, appunto, la disponibilità in capo all’istante di risparmi o di beni mobili di pregio (ad esempio, un’autovettura di lusso).

E invero, se per la Cassazione, ai fini della determinazione dei limiti reddituali, rilevano anche i presunti redditi di provenienza illecita, a maggior ragione non possono non considerarsi le forme certe e lecite di manifestazione di ricchezza (argomento a fortiori).


Peraltro, quella testé prospettata non costituisce un’inammissibile interpretazione analogica in malam partem dell’art. 76 D.P.R. n. 115/2002, in quanto rientra tra i possibili significati del sintagma ‘‘reddito’’ – ove inteso in senso ‘‘atecnico’’, sulla scorta delle precedenti argomentazioni – anche quello di ‘‘capacità economica’’ tout court.


In estrema sintesi, ai fini della disposizione normativa esame, la nozione di reddito dev’essere intesa non come flusso di ricchezza, bensì come manifestazione di ricchezza.

Ne consegue che integra il reato di cui all’art. 95 del D.P.R. n. 115 del 30.5.2002 qualunque falsità od omissione nella dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante la sussistenza delle condizioni (non strictu sensu reddituali, bensì) economiche per l’accesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, ex art. 79 lett. c) D.P.R. n. 115/2002, ovvero – come nel caso di specie – l’omessa comunicazione di tutte quelle «variazioni rilevanti» sotto il profilo della capacità economica del beneficiario, ai sensi della lettera d) dell’art. 79 del medesimo testo normativo. ​


(*) Fabrizio Guercio: è Magistrato Ordinario con funzioni giudicanti penali presso il Tribunale di Marsala dal novembre del 2020. Laureato nel marzo del 2014 con il massimo dei voti in tutte le discipline e con la valutazione finale di 110/110, con lode, menzione al curriculum studiorum, nonché alla tesi di laurea, redigendo un elaborato di tipo sperimentale, nelle discipline della deontologia del diritto e del diritto processuale penale, dal titolo ‘‘L’imparzialità come virtù del giudice: un approccio all’etica professionale nella prospettiva dell’agente e delle sue qualità’’. Nel corso dell’anno accademico 2012/2013 ha svolto, nell’ambito del progetto ‘‘Erasmus’’, un periodo di studi della durata di alcuni mesi presso la ‘‘Kozminski University’’ di Varsavia (Polonia).


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