Per la rubrica "La Riforma del Processo Penale", ora nella partizione "Il processo che verrà" del nostro blog, ospitiamo l'intervento sul progetto di riforma del giudizio monocratico con quattro domande al Docente, Maria Elena Castaldo e all'Avvocato Emanuele Nagni .
1. L’art. 8 del disegno di legge introduce la procedibilità a querela per il reato di lesioni stradali gravi, condivide questa riforma e se sì non le pare un’occasione mancata per estendere a molti altri reati tale condizione di procedibilità?
Ad avviso degli scriventi, il principio direttivo della delega di cui alla lett. a) dell’art. 8 del disegno di legge A.C. 2435 sembrerebbe ragionevolmente conformarsi ai propositi di revisione dell’esecutivo, per quanto in modo prudente. Come noto, stando alla Relazione illustrativa della riforma, l’obiettivo principale consiste nel ripristinare una risposta più veloce ed efficiente del processo penale, garantendo efficacemente il bilanciamento fra l’azione giudiziaria e il rispetto dei diritti di difesa. Pertanto, un intervento in termini di procedibilità a querela per il delitto di lesioni personali stradali gravi, previsto dal 1° comma dell’art. 590-bis c.p., è da ritenere certamente auspicabile. Ciò risulta ancor più evidente se si pone mente alla sentenza n. 223 del 25 settembre 2019, in cui la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale del D. Lgs. 10 aprile 2018, n. 36 (emesso in attuazione della delega contenuta all’art. 1, 16° comma, lett. a) e b) della L. 23 giugno 2017, n. 103), sollevata, in riferimento all’art. 76 Cost., dal Tribunale ordinario di La Spezia con l’ordinanza dell’8 ottobre 2018. Atteso che la Consulta non ha accolto una simile modifica additiva, tenendo salva la procedibilità d’ufficio del 1° comma dell’art. 590-bis c.p., appare doverosa un’iniziativa del Governo che torni sul punto, guardandosi bene dall’inserire nel correttivo anche le lesioni gravissime. Chiaramente, la procedibilità a querela avrebbe potuto investire anche diverse altre fattispecie di reato, ma non stupisce che l’esecutivo al momento circoscriva il suo intervento ad impedire l’instaurazione di procedimenti non certo poco costosi e tantomeno sporadici nel nostro Paese. È inutile nascondere che le perizie intraprese per una necessaria ricostruzione del sinistro stradale oggi gravano molto – non solo in termini di tempo, ma anche di costi – sul carico processuale. In effetti, un simile aggravamento non può più certo ammettersi se la persona offesa non dimostri il proprio interesse di procedere all’istanza punitiva dell’autore del fatto
La proposta di cui all’art. 8, 1° comma, lett. c) del disegno di legge, per quanto sia di fondamentale rilevanza per ottemperare alle esigenze di semplificazione e speditezza del processo penale, appare però molto lontana dal suscitare un sentimento di stupore in chi scrive. La direttiva del delegante si caratterizza in modo certamente funzionale ad assicurare la volontà seria e concreta della persona offesa di portare avanti l’istanza punitiva perseguita in sede di querela, ma la portata della nuova disciplina non sembra possa assumere una connotazione rivoluzionaria. Invero, prevedere la remissione tacita della querela nell’ipotesi di ingiustificata mancata comparizione del querelante all’udienza dibattimentale in cui assume l’ufficio di testimone non rappresenta altro che un’estensione positiva e, dunque, vincolante di un principio di diritto già diffusamente applicato nella prassi processuale. In effetti, secondo quanto disposto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31668 del 23 giugno 2016, qualificare come incompatibile con la volontà di persistere nella querela l’eventuale assenza all’udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice era ormai, da alcuni anni e in ottica giurisprudenziale, una consuetudine già consolidata nelle aule di giustizia.
3. L’art. 9 riduce il criterio di ragguaglio tra le pene detentive e quelle pecuniarie dagli attuali 235 euro al giorno a 180 euro. Non le pare un tasso di conversione troppo alto, se si aspira davvero a “deflazionare, incassando”?
In realtà, sembrerebbe solo secondo un’analisi ictu oculi della proposta normativa che l’art. 9 del disegno di legge possa remare contro il principio “deflazionare, incassando”. A parere degli scriventi, la correzione nel ragguaglio fra pene pecuniarie e detentive della sostituzione con un importo «non superiore a 180 euro» dell’attuale criterio di 250 euro per ogni giorno di pena detentiva non risulta proprio una contraddizione delle istanze di contrasto all’ingente mole di lavoro che quotidianamente intasa la macchina della giustizia. Effettivamente, una simile previsione promuoverebbe ancor di più il ricorso alle sanzioni sostitutive che, come noto, non perseguono alcuna finalità di risocializzazione del reo, avendo invece il precipuo scopo di frenare – attraverso la tipica ‘vis’ retributiva – la desocializzazione che spesso si presenta a seguito dell’esecuzione di una pena limitativa della libertà personale di breve durata. Del resto, del medesimo avviso si è recentemente dimostrata anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 15 dell’11 febbraio 2020, in cui il legislatore è stato sensibilizzato alla restituzione di una pena pecuniaria sempre più effettiva, non solo nel superamento degli obsoleti strumenti di esecuzione forzata, ma anche intervenendo con misure di conversione di pene detentive. Inoltre, un ritocco di tal sorta potrebbe persino agevolare il ricorso ai riti alternativi come l’applicazione della pena su richiesta delle parti. D’altronde, è ormai di pubblica diffusione – oltre che suffragato da numerose risultanze statistiche – il sospetto che il congestionamento senza sosta del carico giudiziario italiano sia dovuto anche allo scarso successo che i riti alternativi consensuali ogni giorno riscuotono nella pratica. Tuttavia, il maggior dubbio suscitato dalla direttiva dell’art. 9 scaturisce dalle ragioni che possano aver spinto l’esecutivo a precisare solamente una soglia massima dell’importo di conversione, prefigurando quindi il concreto rischio di un’eccessiva discrezionalità nel delegato in punto di precisazione della soglia minima.
4. La successiva disposizione prevede nuove cause estintive delle contravvenzioni. Condivide la riforma e se sì non le pare però troppo timida: dalla lettura della lett. a) dell’art. 10 pare che la riforma non interessi le contravvenzioni punite con sola penadetentiva, si escludono le contravvenzioni connesse a delitti (lett. b), e per quest’ultimi non si è minimamente pensato a cause estintive.
La timidezza della riforma non è da ritenere, a questo punto, un grande segreto. Un progetto così esteso e articolato non sembra adeguatamente supportato da un programma sistematico sufficientemente edificato sul binomio inscindibile fra le criticità tecniche del processo e le lacune economiche e organizzative. Lo scopo dell’art. 10 proposto consiste evidentemente nell’introdurre una nuova causa di estinzione del reato contravvenzionale e non è un caso che l’esecutivo si riferisca espressamente alla fase delle indagini preliminari. Secondo gli scriventi, infatti, la modifica non può considerarsi sorprendentemente innovativa, ma non rappresenta altro che un disperato tentativo di inserire nell’ordinamento nazionale una parvenza di archiviazione condizionata. Spesso, si attribuisce tale connotazione a quegli espedienti giuridici che consentono il mancato esercizio dell’azione penale ovvero l’estinzione dell’imputazione dopo che sia stata formulata, nelle circostanze in cui la persona sottoposta alle indagini realizzi tempestivamente dei prescritti comportamenti positivi nei confronti della generalità dei consociati, al punto da renderla meritevole di beneficiare dell’esito liberatorio. Non è un caso che proprio nell’ordinamento processuale tedesco, anch’esso caratterizzato dall’obbligatorietà dell’azione penale, l’istituto dell’archiviazione meritata abbia avuto un esito più che positivo nello smaltimento del carico presente nelle aule di giustizia. Chiaramente, emulare il modello della Germania è un’opera a prima vista ambiziosa, ma certo non lo è fino in fondo se il bacino applicativo delle fattispecie a cui rivolgersi è così ristretto. Nel nostro ordinamento, per le ipotesi contravvenzionali già esistono i rimedi disciplinati dagli artt. 162, 162-bis e 162-ter c.p. Pertanto, ci si sarebbe aspettati una manovra sicuramente più audace, che potesse investire – con tutte le cautele del caso – anche talune fattispecie delittuose, senza aver timore di introdurre un’interpretazione dell’art. 112 Cost. che potesse far fronte, una volta per tutte, alle richieste di aiuto invocate dal nostro sistema processuale.
Maria Elena Castaldo: Avvocato del Foro di Roma ammesso al patrocinio dinanzi la Corte di Cassazione e le altre Giurisdizioni Superiori. È componente della Commissione Diritti Umani del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma. È Procuratore Nazionale dello Sport presso la Procura Generale dello Sport del CONI.Coordinatore del Corso di Studi in Giurisprudenza presso la Scuola di Ateneo per le attività undergraduate e graduate dell’Università degli Studi di Roma Link Campus University, da giugno 2018. Professore incaricato di Diritto Penale Avanzato, Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza, Università degli Studi di Roma Link Campus University, a.a. 2016 – 2017; a.a. 2017 – 2018, a.a. 2018 – 2019, a.a. 2019 – 2020, a.a. 2020 – 2021 a.a. 2021 – 2022. Professore incaricato di Diritto Penale, Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza, Università degli Studi di Roma Link Campus University, a.a. 2021 – 2022. Autrice di numerose pubblicazioni scientifiche.Esperta di diritto penale economico, fa consulenza stragiudiziale regolarmente sui profili penali di M&A, di diritto dei servizi pubblici, e di operazioni societarie e acquisizioni anche nel settore delle utilities. Si occupa di assistenza e consulenza stragiudiziale in ordine alla corretta gestione sul piano giuridico delle attività di Società nazionali e internazionali. Si occupa regolarmente del settore dei modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/2001, in merito al quale cura la elaborazione, realizzazione, implementazione e revisione di compliance program e codice etico.
Emanuele Nagni: Avvocato del Foro di Roma, si è laureato in Giurisprudenza presso l'Università LUISS Guido Carli, discutendo una tesi in Diritto Comparato dal titolo "La responsabilità degli enti: un’analisi comparatistica fra il Bribery Act 2010 e il D. Lgs. n. 231 del 2001”. Come cultore della materia delle cattedre di Diritto Penale, Criminologia (Link Campus University) e Diritto dello Sport (LUISS Guido Carli), si occupa di collaborazione alla didattica e organizzazione di convegni e processi simulati, anche con interventi di docenza in Master di 1° e 2° livello.
Attualmente, è dottorando di ricerca in “Nuove tecnologie e nuove frontiere del diritto, dell’economia e della società” presso la Link Campus University