Prosegue sul nostro blog il dibattito sulla Riforma Cartabia (il piano completo al link). Dopo gli interventi di Giorgio Spangher (link), Bartolomeo Romano (link), di Paolo Ferrua (link), il confronto tra Cataldo Intrieri (link) e Marco Siragusa (link), e gli interventi di Daniele Livreri (link) Michele Passione (link), Daniele Carra (link) di Filippo Giunchedi (link), di Aldo Casalinuovo (link), di Luigi Tramontano (link), ospitiamo con vero piacere l'intervento della Professoressa Francesca Ruggieri, che si pone in ideale dialogo con Filippo Giunchedi e Daniele Livreri.
Gli interventi dei colleghi Livreri e Giunchedi aprono importanti spunti di riflessione a proposito delle novità in tema di impugnazioni contenute nella delega articolata dalla commissione Cartabia e attualmente in discussione al Senato (n. 2353).
Le puntuali osservazioni di Giunchedi in tema di contraddittorio specificano in parte anche l’ampia categoria della “pubblicità” di cui discute Livreri. Entrambi si interrogano sulla legittimità di una disciplina che sia nel giudizio di merito di secondo grado sia in quello di legittimità subordina alla volontà della parte privata l’esplicarsi dei principi caratterizzanti di regola il giudizio.
Come è noto, e come ricorda l’avv. Livreri, il principio della pubblicità, non espressamente costituzionalizzato nella nostra Carta fondamentale, trova una certa copertura convenzionale (attivabile ex art. 117 c. 1 Cost).
In tale quadro la Consulta, in particolare, ha ritenuto illegittima l’esclusione della pubblicità nel caso delle misure di prevenzione (sent. n. 93/2010), di cui sono stati censurate le relative disposizioni che all’epoca ne disciplinavano il procedimento di applicazione nella parte in cui non consentivano che, su istanza degli interessati, il procedimento si svolgesse nelle forme dell’udienza pubblica davanti al tribunale e alla corte d’appello. Secondo la Consulta, benchè manchi un espresso riferimento in costituzione «la pubblicità del giudizio, specie di quello penale, costituisce principio connaturato ad un ordinamento democratico fondato sulla sovranità popolare, cui deve conformarsi l’amministrazione della giustizia, la quale – in forza dell’art. 101, primo comma, Cost. – trova in quella sovranità la sua legittimazione». Tale valore deve essere riconosciuto tanto più si tratti di esprimere un giudizio di merito, volto a incidere su beni dell’individuo a rilevanza costituzionale, quali, in particolare la libertà personale o il patrimonio.
Tale approccio, nel rispetto di quanto più volte affermato dalla giurisprudenza di Strasburgo, può non essere seguito solo a proposito dei giudizi di impugnazione, ove scema la rilevanza della ricostruzione del fatto e, con esso, l’importanza della fase istruttoria: «la valenza del controllo immediato del quisque de populo sullo svolgimento delle attività processuali, reso possibile dal libero accesso alla sala d’udienza (…), si apprezza, difatti (…), in modo specifico quando il giudice sia chiamato ad assumere prove, specialmente orali-rappresentative, e comunque ad accertare o ricostruire fatti; mentre si attenua grandemente allorché al giudice competa soltanto risolvere questioni interpretative di disposizioni normative>> (Corte Cost. n.80/2011).
Seguendo la stessa logica, il Giudice delle leggi ha censurato altresì il procedimento per l’applicazione delle misure di sicurezza di fronte al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, anche in tal caso nella parte in cui non prevede la possibilità di un’udienza pubblica su richiesta dell’interessato (cfr. Corte cost., n. 135/2014 e n. 97/2015).
Di recente, infine, in occasione della discussione della legittimità della esclusione degli imputato di un delitto punito con l’ergastolo dal rito abbreviato, la Corte ha sintetizzato la sua giurisprudenza inquadrando la pubblicità del giudizio come un diritto dell’imputato («quanto poi alla lamentata violazione del diritto di difesa “in relazione” al diritto alla dignità e alla riservatezza dell’imputato, non v’è dubbio che la pubblicità delle udienze sia concepita dall’art. 6 c. 1, CEDU, dall’art. 47, c. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’art. 14, c.1 1, del Patto internazionale dei diritti civili e politici come una garanzia soggettiva dell’imputato.») , che tuttavia ha un contenuto più esteso, a presidio dello Stato di diritto (« la dimensione di diritto fondamentale riconosciuta alla pubblicità dei processi dalle carte internazionali … non esaurisce la ratio del principio medesimo, che nel suo nucleo essenziale costituisce altresì – sul piano oggettivo-ordinamentale – un connotato identitario dello stato di diritto, in chiave di «garanzia di imparzialità ed obiettività» di un processo che «si svolge sotto il controllo dell’opinione pubblica», quale corollario sia del principio secondo cui «[l]a giustizia è amministrata in nome del popolo» (art. 101, primo comma, Cost.), sia della garanzia di un «giusto processo» (art. 111, primo comma, Cost.) (sentenza n. 373 del 1992).»). Con specifico riguardo al giudizio speciale oggetto di scrutinio la Consulta ha quindi ribadito che la garanzia «appare di particolare significato nei processi relativi ai reati più gravi, “che maggiormente colpiscono l’ordinata convivenza civile” (ancora, sentenza n. 373 del 1992) e addirittura ledono il nucleo dei diritti fondamentali delle vittime, a cominciare dalla loro stessa vita», escludendo che, in tale particolare ipotesi, «il mero consenso dell’imputato [sia sufficiente] fondare un suo diritto costituzionale – opposto, e anzi speculare, al suo diritto alla pubblicità delle udienze – alla celebrazione di un processo “a porte chiuse”, al riparo del controllo dell’opinione pubblica» (Corte Cost. n. 260/2020).
Alla luce di questi orientamenti, che non scartano la possibilità di bilanciare la pubblicità con altri interessi, in particolare le esigenze deflattive come è accaduto proprio in occasione del giudizio abbreviato e in sede di impugnazioni, non pare che le scelte del governo in tema di appello, pure nella scarna formulazione di una legge delega, possano essere ritenute illegittime.
Il contemperamento che il legislatore può legittimamente effettuare tra i valori in gioco, della pubblicità del giudizio da un lato, e del principio della ragionevole durata dall’altro, trovano composizione nella facoltà riconosciuta all’imputato di poter partecipare al giudizio.
Semmai l’art. 1, c. 13 lett. g) del disegno di legge n. 2363 (atti senato) desta perplessità perché, parlando di partecipazione all’udienza, non sembra implicarne necessariamente la pubblicità ad un pubblico più vasto. E la disposizione, comunque la si intenda, costituisce il perno di una legislazione tesa a ricondurre il giudizio di appello entro ambiti estremamente circoscritti, che vedono l’estensione del concordato in appello (l’art. 1, c. 13 lett. h) disegno cit. elimina le preclusioni di cui all’art. 599bis c. 2 c.p.p.), la riscrittura dell’art. 603bis c.p.p. (l’art. 1, c. 13 lett. l) disegno cit. prevede la rinnovazione istruttoria in appello solo per i casi di prove dichiarative assunte in udienza nel corso del giudizio di primo grado) e dell’art. 581 c.p.p. (cfr. l’art. 1, c. 13 lett. i) disegno cit.).
La contrazione del controllo di merito in secondo grado può trovare una specifica giustificazione (come del resto accade nei sistemi accusatori di tradizione anglosassone) nella misura in cui il giudizio di primo grado, a sua volta modificato dal disegno di legge anche nella declinazione dei riti speciali, sia in grado di assicurare un efficace processo giusto in quella sede. E’ questa la sfida della riforma.
(*) Francesca Ruggieri: Magistrato della Repubblica (Giudice e pubblico ministero, già Professore a contratto ex art. 25 DPR n.382/1980 all'interno dell'insegnamento ufficiale di procedura penale presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Trento e Professore associato in procedura penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università dell'Insubria (Como), dal 2004 è Professore straordinario di diritto processuale penale alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università dell'Insubria, Como e dal 2007 è Professore ordinario di diritto processuale penale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università dell’Insubria (sede di Como). Titolare della cattedra di diritto processuale penale (corsi in diritto processuale penale, responsabilità delle persone giuridiche, giudizio minorile diritto processuale penale comparato, e in tema di mediazione e traduttologia").E' stata componente della Commissione per la riforma del Codice di Procedura Penale penale (presieduta dal prof. Giuseppe Riccio e istituita presso il Ministero della Giustizia).
E' stata componente dell’Editorial board di diritto penale contemporaneo ed è revisore (peer review) per le riviste Legislazione penale, Rivista italiana di diritto e procedura penale, la collana di procedura penale dell'editore Giappichelli.