La corretta individuazione del tempo in cui il reato è commesso riguarda questioni sia di carattere processuale, che sostanziale.
Sotto il profilo processuale, il tempo di commissione del reato rileva ai fini della decorrenza del termine di prescrizione ed individua il dies a quo di decorrenza di tale termine.
Sotto il profilo sostanziale, il tempus commissi delicti pone peculiari problematiche nell’ipotesi di successione di leggi penali nel tempo e nei reati caratterizzati dalla discrasia temporale fra momento consumativo e momento perfezionativo.
Quanto al rapporto fra tempus commissi delicti e la successione di leggi penali nel tempo, il problema che si è posto è quello degli effetti intertemporali destinati a prodursi in seguito alla successione normativa.
La disciplina generale in materia di successione di leggi penali è regolata da due principi: il principio di irretroattività della legge penale ed il principio di retroattività della legge penale più favorevole.
Il principio di irretroattività della legge penale trova il suo fondamento nell’articolo 2 codice penale e risponde al principio secondo cui nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato. E’ principio mutuato anche dall’ordinamento sovranazionale (art. 7 CEDU e articolo 49 della Carta di Nizza) di carattere cogente, fondamentale e, soprattutto, inderogabile.
Il principio di retroattività della legge penale più favorevole, invece, trova il suo fondamento indiretto nell’articolo 3 Cost. ed anche dall’articolo 7 CEDU. Nel rispetto del principio di uguaglianza, il principio di retroattività è destinato ad operare nell’eventualità in cui la legge posteriore, rispetto a quella vigente nel momento in cui fu commesso il reato, è più mite. Tale principio, come pacificamente riconosciuto anche dalla giurisprudenza costituzionale, non ha carattere inderogabile e l’eventuale deroga è soggetta al sindacato di costituzionalità sotto il profilo del rispetto del principio di ragionevolezza.
Circa il regime giuridico applicabile nelle ipotesi di successione di norme penali, l’articolo 2 del codice penale, in tema di successione di leggi penali nel tempo, distingue fra l’ipotesi di “mutatio criminis” ed “abolitio criminis”.
La prima ipotesi, contemplata dal comma 4 dell’articolo 2 cp, stabilisce che, nell’eventualità in cui la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.
In caso di abolitio criminis invece, il comma 2 del medesimo articolo dispone che se vi è stata condanna per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.
Si tratta, quindi, di stabilire se il legislatore, qualora sia intervenuto per modificare il precetto penale, abbia provveduto all’abolitio della norma previgente e all’entrata in vigore di una nuova norma incriminatrice, ovvero abbia modificato il precetto penale, con conseguente applicazione del regime giuridico previsto dal comma 2 o dal comma 4 dell’articolo 2 del codice penale.
Per stabilire l’applicabilità del comma 2 o del comma 4 dell’articolo 2, secondo una prima tesi, deve aversi riguardo al fatto concreto posto in essere dal reo.
In altre parole, se la condotta punibile nella previgente formulazione della norma è punibile anche a seguito della vicenda successoria, allora si è di fronte ad una ipotesi di successione normativa e si applica il comma 4 dell’articolo 2 cp. Qualora, invece, la riformulazione del precetto priva di rilevanza penale la condotta del reo, allora si tratta di un’abolitio criminis, con conseguente applicabilità del comma 2 del medesimo articolo.
La seconda tesi, invece, accolta dalla giurisprudenza pressoché pacifica, richiede di porre a raffronto, in astratto, le fattispecie penali oggetto di successione.
Si tratta, in definitiva, di stabilire in quale momento il reato è stato commesso.
Una premessa è d’obbligo e concerne la distinzione fra momento perfezionativo dal momento consumativo del reato.
Il momento perfezionativo del reato, secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza, coincide con il momento in cui il reo pone in essere tutti gli elementi essenziali della fattispecie criminosa.
Il momento consumativo del reato, invece, coincide con il momento in cui termina l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma e cessa l’integrazione del reato.
Da qui la distinzione fra reati istantanei, nei quali momento perfezionativo e consumativo coincidono, e reati ad evento differito e reati di durata.
Il problema che pone l’individuazione del tempus commissi delicti nei reati istantanei non è tanto quello di stabilire quando il reato è stato commesso. Tale verifica appare piuttosto agevole attesa la coincidenza fra momento perfezionativo e consumativo del reato. In tal caso, con l’esaurimento della condotta criminosa perpetrata dal reo, si perfeziona il reato.
Per cui l’individuazione del tempo di commissione del delitto coinciderà con il momento di consumazione della condotta.
Sotto tale profilo, il problema che si è posto è invece quello di verificare gli effetti della successione di norme penali in relazione al reato già perfezionato. Si devono distinguere due ipotesi e cioè il caso in cui il fatto di reato si sia verificato in epoca pregressa o in epoca concomitante l’entrata in vigore della norma penale più favorevole e/o più grave.
Nella prima ipotesi, se il fatto è commesso nella vigenza della norma penale più mite, che è stata poi riformulata dal legislatore e sottoposta ad un trattamento sanzionatorio più grave, allora troverà applicazione il regime giuridico di cui all’articolo 2, comma 4 del codice penale con la conseguenza che il reo sarà sottoposto al trattamento sanzionatorio della norma più favorevole. E ciò trova il suo fondamento anche nel rispetto dei principi di prevenzione generale e speciale atteso che al reo non possono imputarsi le conseguenze sanzionatorie di un reato che, al momento in cui l’ha commesso, erano previste in misura meno grave.
Nella seconda ipotesi, se il fatto è commesso nella vigenza della norma penale che impone l’irrogazione di un determinato trattamento sanzionatorio più grave rispetto a quello che è stato poi successivamente previsto dal Legislatore, allora si rientra nell’ambito di applicazione del principio di retroattività della legge penale più favorevole. Il reo sarà sottoposto al trattamento penale più mite mediante un’applicazione retroattiva della norma più favorevole entrata in vigore in epoca successiva alla commissione del fatto di reato, salvo che tale retroattività non sia esclusa da ragioni di politica criminale, sindacabili, come sopra dedotto, nell’ottica del rispetto del principio di ragionevolezza.
Maggiori sono le problematiche poste con riferimento alle ipotesi in cui la successione di norme penali insista su fattispecie di reato caratterizzate da uno iato temporale fra momento perfezionativo e consumativo del reato.
E ciò si verifica con riferimento ai reati ad evento differito e nell’ambito dei cd. reati di durata.
Con riferimento ai reati ad evento differito, una premessa è d’obbligo. Si tratta di fattispecie di reato nelle quali la condotta, omissiva o commissiva, si è perfezionata in epoca antecedente alla verificazione dell’evento dannoso o pericoloso; evento che può verificarsi, come nell’ipotesi di danni cd. lungolatenti, anche a distanza di molti anni dalla commissione della condotta.
La tematica è destinata ad avere importanti conseguenze anche sul piano processuale, in tema di individuazione del dies a quo del termine prescrizionale, nonché ai fini della competenza territoriale.
Tralasciando la problematica relativa all’accertamento del nesso eziologico fra condotta ed evento differito verificatosi, sul tema della individuazione del tempo di commissione del reato si sono contrapposte due tesi.
La prima tesi, cd. dell’evento, ritiene che nei reati ad evento differito, ai fini della individuazione del tempus commissi delicti, debba farsi riferimento al momento di verificazione dell’evento dannoso o pericolo, traslando, di fatto, il momento perfezionativo in epoca anche molto successiva a quello di integrazione della condotta criminosa.
La seconda tesi, cd. della condotta, ritiene invece che non possa essere assunto a criterio quello della verificazione dell’evento differito ma deve aversi invece esclusivo riguardo a quello della commissione della condotta dannosa e/o pericolosa. La seconda tesi in commento appare più persuasiva nella parte in cui fornisce all’interprete un più agevole e certo criterio di individuazione del tempus commissi delicti.
Con riferimento, invece, ai reati di durata, si deve distinguere fra reati abituali e reati permanenti.
I reati abituali si perfezionano con la reiterazione nel tempo, per un numero di volte determinato, della condotta tipica prevista dalla fattispecie penale. Si pensi al reato di atti persecutori (cd. stalking) previsto dall’articolo 612bis del codice penale che prevede, ai fini dell’integrazione del reato, la reiterazione delle condotte di minaccia o molestia e la verificazione alternativa di uno dei tre eventi previsti dalla norma e cioè un perdurante stato di ansia o di paura, un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto, ovvero l’alterazione delle abitudini di vita.
Il tempus commissi delicti va individuato nell’ultima condotta abituali posta in essere dal reo ed offensiva del bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice.
I reati permanenti, invece, si perfezionano nel momento in cui è integrata la condotta prevista dalla fattispecie incriminatrice e si perfezionano nel momento in cui si esaurisce l’offesa al bene giuridico protetto dalla norma penale. Si pensi all’ipotesi del reati di sequestro di persona previsto dall’art. 605 codice penale. Il reato permane finché la condotta della privazione della libertà personale non si esaurisca.
In tal caso, il tempus commissi delicti va individuato nell’ultima condotta posta in essere prima della desistenza del reo.
Si è posto il problema di stabilire, ai fini della determinazione del tempus commissi delicti in caso di successione di leggi penali, se l’abitualità e/ la permanenza vadano verificate solo tenendo in considerazione le condotte poste in essere dal momento di entrata in vigore della nuova norma incriminatrice, ovvero se vadano considerate anche le condotte criminose abituali/permanenti poste in essere nella vigenza della precedente norma incriminatrice.
La tesi accolta dalla giurisprudenza e dalla dottrina maggioritarie, previa verifica in astratto delle fattispecie in successione e del rapporto fra le norme incriminatrici succedutesi, ritengono che l’abitualità/permanente va verificata tenendo conto delle condotte poste in essere dal momento di entrata in vigore della nuova norma incriminatrice in poi, specie se più grave. Se l’abitualità/permanenza della condotta persiste nella vigenza della nuova fattispecie incriminatrice più grave, allora nulla osta affinché al reo possa addebitarsi la commissione del reato di nuova introduzione, anche se in concreto soggetto ad un trattamento sanzionatorio aggravato.
Per quanto attiene il concorso di persone, è necessario richiamare l’art. 110, il quale può ritenersi a tutti gli effetti una norma incriminatrice, in quanto consente di estendere la punibilità di determinati fatti di reato per cui di regola è prevista l’esecuzione mono-soggettiva a tutti i casi in cui si riscontra una pluralità di soggetti attivi. Senza di esso, alla stregua dell’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, il quale stabilisce che “Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”, moltissime norme incriminatrici sarebbero applicabili soltanto nel caso di realizzazione mono-soggettiva. L’analogia è quel procedimento mediante il quale si estende la disciplina prevista dalla legge ai casi simili, da quest’ultima trascurati (analogia legis), o mediante cui si risolvono gli stessi attraverso i principi generali del diritto (analogia iuris). Pertanto, anche nel caso di concorso di persone, deve tenersi conto ai fini della individuazione delle legge penale applicabile della c.d. teoria della condotta, la quale, considera il reato commesso nel momento in cui si realizza l’azione o l’omissione. La ratio della predetta teoria trova fondamento proprio nella condotta, ovvero, il momento in cui il soggetto mette in atto il proposito criminoso, si tratta di un frangente temporale decisivo anche rispetto alla funzione di prevenzione generale connessa alla sanzione punitiva.
(*) Mariangela Miceli: Avvocato del Foro di Trapani. Già dottoranda di ricerca in diritto commerciale e docente a contratto presso l'Università di Roma Unitelma Sapienza. Autrice di pubblicazioni scientifiche. Contributor per il blog Econopoly24 del Sole24ore