1) 1) Andrea, sei stato tra gli accademici che più hanno
sostenuto l’esigenza di una riforma del delitto di abuso di ufficio, coordinando anche un team di ricerca per la
riforma dell’art. 323 c.p. e avanzando proposte di riforma, che giudizio
esprimi della recente novella che ha riformato l’abuso di ufficio?
La riforma va nella giusta
direzione di circoscrivere la fattispecie penale attraverso una migliore
definizione del fatto tipico. Così, la sanzione penale recupera il ruolo di extrema ratio, censurando i comportamenti
realmente offensivi, residuando per gli altri i rimedi di natura civile o
disciplinare.
Permane tuttavia qualche
perplessità sulla combinazione tra la corposa ‘sforbiciata’ operata sulla
condotta e il mantenimento dei precedenti requisiti strutturali, in particolare
il dolo intenzionale.
Se da un lato, infatti, l’art. 23
del D.L. “cd. Semplificazioni” propone la sostituzione della locuzione “di
norme di legge o di regolamento” dell’art. 323 c.p. con le parole “di specifiche
regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di
legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”, dall’altro
lascia invariati, invece, l’evento e l’elemento soggettivo.
Con la Commissione da me
presieduta si era addivenuti ad una proposta di riforma tale da consentire al
pubblico ufficiale, costantemente preoccupato dal pericolo di incorrere in una
violazione avente rilevanza penale, di agire liberamente e serenamente. Il
timore infatti genera i fenomeni della fuga dal potere di firma,
dell’amministrazione difensiva e, conseguentemente, della scarsa efficienza
della Pubblica Amministrazione.
2 2) Ti pare che anche altri delitti dei pubblici
ufficiali andrebbero riformati per una migliore efficienza della pubblica
amministrazione?
Migliorare la performance della Pubblica
Amministrazione è un tema a me molto caro. A mio modo di vedere è opportuno
scindere interventi legislativi con finalità meramente repressive da quelli
aventi come scopo la reale risoluzione, o quanto meno l’attenuazione, del
fenomeno della maladministration.
La legge n. 3 del 9 gennaio 2019
“cd. Spazzacorrotti” ha orientato la lotta al fenomeno corruttivo latu sensu verso l’aspetto repressivo
con l’inasprimento sanzionatorio sic et
simpliciter. Basti pensare all’inserimento di alcuni delitti contro la p.a.
nel catalogo dei reati sottoposti al regime di cui all’art. 4-bis, co. 1 ord.
penit. Tale disposizione, come è noto, prevede l’esclusione dall’accesso ai
benefici penitenziari per coloro che abbiano commesso i reati ivi elencati.
Tuttavia, numerosi dati ed
indicatori hanno dimostrato l’effetto solo temporaneo e insoddisfacente della
mera “repressione”.
Con la precedente L. 190/2012,
“cd. Severino”, sembrava, invece, essersi invertito il trend promuovendo una strategia di prevenzione. E così anche le
successive riforme. Cito, a mo’ di esempio, il d.l. 97 del 2016 intervenuto per
incentivare la trasparenza amministrativa e il processo di “eticizzazione”
della P.A., rafforzando la protezione del whistleblower.
3 3) Da accademico che esercita anche la professione
forense ti pare che la giurisprudenza talora tenda a interpretazioni delle
norme nell’ottica di “tenuta del sistema”?
Consentimi di fare una doverosa
premessa. Il “mestiere” di avvocato è un ottimo banco di prova e una
formidabile palestra per un approccio concreto, direi pragmatico, alle numerose
criticità che affliggono il sistema penale e soprattutto quello processuale.
Proprio da tale osservatorio
privilegiato, siamo in grado di verificare come la giurisprudenza abbia
assunto, non da poco, un ruolo vicariale o correttivo dell’intervento
legislativo. Mi riferisco ad interpretazioni disinvolte che sembrano premiare
una giustizia declinata secondo parametri di equità più che di rigida
applicazione della legge. Un trend
che diventa particolarmente preoccupante laddove avvenga a scapito del divieto
di analogia in materia penale.
4 4) Hai una vasta esperienza processuale in altri
stati, soprattutto di lingua tedesca, cogli una tendenza europea per la quale
il Giudice, più del Legislatore, è diventato il signore del diritto?
È quello che osservavo prima.
In Germania, dove mi capita, come avvocato iscritto al Foro
di Monaco di Baviera, di esercitare la professione, il “mondo” giudiziario non
è comparabile, né per numero di procedimenti penali, né per qualità, né per
durata alla realtà italiana. Per quanto riguarda le riforme penalistiche, sono
molto limitate e ispirate ad una linea di politica criminale più coerente in
termini di razionalità.
In linea di massima, comunque, e semplificando non poco, in
ogni ordinamento, maggiore è la porosità del tessuto testuale delle fattispecie
penali d’avamposto, in quanto cerniera dello specifico sistema repressivo (come
nel caso dell’abuso d’ufficio), maggiore sarà la discrezionalità e
l’interpretazione creativa della giurisprudenza.
Seppure ci troviamo in un sistema di Civil Law, la prassi giudiziaria, se consolidata, può assumere
senza dubbio una portata legiferatrice, idonea, talvolta, a creare più che ad
interpretare.
5 5) In queste esperienze fuori dai confini italiani cogli
un ruolo diverso dell’avvocatura rispetto all’Italia?
Trovo che il diritto penale conservi, per fortuna, la
solennità e il rispetto che gli è proprio. Non ho avuto al di fuori dei confini
italiani la percezione di un ruolo diverso dell’avvocatura. Fare di tutta
l’erba un fascio, tuttavia, è sempre sbagliato e le generalizzazioni al
contempo lo sono.
Purtroppo penso che un problema serio, in Italia, sia quello
del numero eccessivo di avvocati, che produce non soltanto conseguenze negative
sul piano reddituale, ma anche sulla qualità del professionista e, non da
ultimo, tende a determinare uno scadimento delle relazioni interpersonali con
gli altri “attori” del processo penale, quali il Pubblico Ministero ed il
Giudice.