Prosegue sul nostro blog il dibattito sulla Riforma Cartabia. Dopo gli interventi dei professori Giorgio Spangher (link), Bartolomeo Romano (link), Paolo Ferrua (link) e il confronto tra Cataldo Intrieri (link) e Marco Siragusa (link), oggi pubblichiamo l'intervento di Daniele Livreri, già edito su Il Dubbio dell'8 agosto 2021 (link), al quale va il nostro ringraziamento per la concessione della pubblicazione anche sul nostro blog.
Per una valutazione completa della c.d. riforma Cartabia si dovranno
senz’altro attendere le concrete declinazioni delle deleghe conferite
all’esecutivo. Tuttavia alcune differenze di fondo con il c.d. progetto
Bonafede si possono vedere sin d’ora.
Anzitutto può rilevarsi che la riforma c.d. Bonafede pretendeva di
assicurare il rispetto dei tempi di durata del processo e delle indagini
attraverso sanzioni disciplinari, lì dove però la violazione dei termini
previsti configurasse una negligenza inescusabile. Si trattava all’evidenza di
un mero flatus vocis: al di là delle difficoltà di qualificare come
inescusabile la negligenza, le sorti del meccanismo previsto dall’art. 124
c.p.p. sembrano dimostrare che affidare il rispetto di norme processuali alla
prospettiva di sanzioni disciplinari non funziona e comunque non ha gran
rilievo per il prevenuto.
Il progetto Cartabia mira invece ad assicurare il rispetto dei termini
attraverso rimedi endoprocessuali. Al riguardo ci si riferisce non soltanto al
noto meccanismo dell’improcedibilità, ma anche alla previsione, a fronte della
stasi del procedimento dopo che sono spirati i termini delle indagini, di un
intervento, la cui definizione è delegata al Governo, del giudice per le
indagini preliminari.
Sul tema merita una riflessione la tesi, autorevolmente sostenuta, secondo
cui si sarebbero potuti configurare rimedi diversi dalle sanzioni disciplinari,
ma pur sempre esoprocessuali, come quelli indennitari. Francamente non pare che
in tal senso la legge Pinto abbia dato grande prova di sé. Ed inoltre meccanismi
di tal fatta rischiano di far permanere l’interessato in un nuovo circuito
giudiziario. Neppure l’ipotesi di una riduzione di pena in favore del
condannato, trattenuto a giudizio oltre i termini previsti, sembra convincente,
perché varrebbe per il solo condannato, penalizzando paradossalmente l’assolto.
Sullo specifico tema poi dell’improcedibilità, pare opportuno procedere a
dei brevi rilievi:
1 - in linea di
principio la previsione di termini di durata del processo e quindi la certezza
sui tempi dello stesso, prescindendo dalla prescrizione sostanziale, a parere
di chi scrive è condivisibile, perché si può rimanere assoggettati ad una
pubblica potestà per tempi limitati e predeterminati. In tal senso sembra
apprezzabile che l’istituto riguardi impugnazioni per reati commessi dall’
01.01.2020, cioè da quando è entrata in vigore la riforma che abolisce la
prescrizione dopo il primo grado di giudizio;
2 - piuttosto non
persuade la concreta declinazione dell’istituto. Far operare i termini
processuali dell’improcedibilità a seconda della contestazione di un reato
piuttosto che di un altro finisce per moltiplicare irrazionalmente i multipli
binari del processo italico. E tutto ciò al netto di ogni problematica in
ordine all’eventuale riqualificazione della contestazione. In secondo luogo
sono previsti tali meccanismi di proroga dei termini e tali deroghe alla regola
dell’improcedibilità che si rischia di frustrare l’intento della riforma;
3 - con riguardo alla paventata “strage dei
processi” lamentata da taluni, a quanto già illustrato, deve aggiungersi che la
rinnovazione dibattimentale in appello non rientra nel conteggio dei termini
affinché scatti l’improcedibilità;
Ma proseguiamo nelle accennate differenze progettuali.
La c.d. riforma Bonafede cercava di assicurare la celerità del giudizio,
prevedendo che le notifiche, successive alla prima, si effettuassero presso il
difensore del prevenuto. In sintesi si introduceva un domicilio legale,
prescindendo dal tema dell’assenza.
Diversamente il progetto c.d. Cartabia ben coglie la stretta connessione
tra i due temi, prevedendo che l’imputato conservi il diritto alle notifiche
con cui si introduce il giudizio, anche d’appello. Il tutto in un contesto in
cui il Governo è chiamato ad ampliare la possibilità di rimedi successivi a
favore dell'imputato e del condannato giudicato in assenza senza avere avuto
effettiva conoscenza della celebrazione del processo. Tuttavia sul punto mi
pare che il progetto dell’attuale ministro erri nel prevedere l’abrogazione
della notifica dell’estratto della sentenza in favore dell’assente, giudicato
con il giudizio abbreviato. Quel meccanismo, proprio per evitare di travolgere l’intero
processo, andava confermato ed esteso anche al giudizio ordinario.
In tema di dibattimento, il c.d. progetto Cartabia, delegando il Governo,
seppur con dei limiti, a riformare la disciplina sulla riassunzione della prova
dichiarativa in caso di mutamento del giudice, può aprire importanti spiragli
per rimediare a SS.UU. Bajrami, che ha trasformato le trascrizioni da un mero strumento
di ausilio alla memoria del giudice del dibattimento ad un mezzo di valenza euristica
per il giudice che non ha mai partecipato all’assunzione della prova.
Merita infine segnalarsi che, in tema di giudizi di impugnazione, il nuovo
progetto respinge il tentativo di restringere l’area della collegialità e
tuttavia si assiste ad un regresso in tema di oralità e pubblicità del giudizio
di impugnazione, poiché la trattazione scritta diventa il modello processuale
del gravame, salvo diversa richiesta dell’interessato.