28 novembre 2020

Inammissibilità e statistiche. Le riflessioni di Daniele Livreri in un’uggiosa domenica palermitana


In un’uggiosa domenica pomeriggio palermitana, un collega mi invita alla lettura di una sentenza della Corte di cassazione. Complice il cattivo tempo e la limitata possibilità di circolazione, inizio la lettura della pronuncia e la mia attenzione viene colpita dalla circostanza che il Procuratore generale avesse chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso, mentre la Corte, ritenendolo fondato, aveva disposto l’annullamento del sentenza impugnata. Nulla di strano si potrebbe dire, rientrando nella fisiologia del processo che una parte formuli una richiesta non accolta. Tuttavia, ciò che mi inquieta è che la inammissibilità consegue la ricorrenza di cause formali o sostanziali che dovrebbero essere di immediata manifestazione. Allora le ipotesi in cui la parte pubblica versi in errore in ordine alla ricorrenza di una causa di inammissibilità dovrebbe costituire rara avis. Nondimeno appartiene all’esperienza di ciascun lettore delle pronunce nomifilattiche che così non sia. 

Ma quanto è frequente una diversa valutazione tra Procura generale e Corte di cassazione in tema di inammissibilità del ricorso? Abbandonata la lettura della sentenza rimessa dal collega, mi sono messo alla ricerca di statistiche ufficiali, ma senza esito. Così ho provveduto ad una sorta di statistica fai da te: avuto accesso al sito della Cassazione ho svolto un’indagine sulle ultime pronunce di ciascuna delle sezioni ordinarie, selezionandone 10 per ciascuna di esse, in cui almeno uno tra il PG o la Corte avesse ravvisato l’inammissibilità del ricorso, per poi verificare in quanti casi questo giudizio fosse unanime.

Sebbene mi renda conto che questo approccio potrebbe non rivestire particolare valenza, i suoi risultati mi paiono comunque degni di attenzione. Su un totale di 60 sentenze visionate soltanto in 23 casi l’inammissibilità del ricorso è stata ritenuta simultaneamente dal Procuratore generale e dai Giudici. Si tratta di una percentuale appena maggiore del 38%. Peraltro nella mia personalissima statistica la media è innalzata dalla seconda sezione della Corte, giacché nel campione di sentenze di questa sezione in ben 7 casi su 10 il requirente e i Giudici convergevano sulla inammissibilità dell’impugnazione. Peraltro, a conferma della tutt’altro che manifesta natura della causa di preclusione del rapporto processuale, colpisce che in un caso il PG abbia richiesto rigettarsi il ricorso di un imputato e dichiarare inammissibile quello di un correo, lì dove la Corte ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite (Cass. pen. Sez. I n. 32262/2020) A ciò si aggiunga che l’eventuale causa di inammissibilità nei 60 casi di ricorso era sfuggita all’Ufficio spoglio, che aveva avviato le impugnazioni alle sezioni ordinarie.

Mi chiedo allora se, attese le conseguenze di una declaratoria di inammissibilità, non sia il caso di rimeditare l’insegnamento delle Sezioni Unite Piepoli del 1999 che, nel richiamare le SS.UU. Crespi del 1994, in tema di inammissibilità per manifesta infondatezza, avevano considerato come <<l'attività cognitiva occorrente per rilevare che i motivi sono manifestamente infondati, oltre a comportare un esame degli atti processuali non sempre agevole, potrebbe essere fonte di notevole perplessità per il giudice, messo di fronte ad una scelta talvolta opinabile>>. Ad uno sguardo attento non pare che quei dubbi siano stati fugati da lodevoli tentativi di precisare le regole dell’inammissibilità almeno per manifesta infondatezza (Cassazione penale sez. II, ud. 19/12/2017, dep. 02/03/2018, n.9486).

L’uggioso pomeriggio domenicale non viene irradiato dal sole del diritto.

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