La terza sezione della Corte di Cassazione (Cass. sez. III, 06.10.2021 n.36227) smentisce il suo precedente arresto, reso pochi mesi or sono, secondo cui <<l'omessa statuizione dell'ordine di demolizione rappresenta un error in iudicando, emendabile soltanto attraverso l'impugnazione della sentenza>> (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 12950 del 25/01/2021 Ud., dep. 06/04/2021, Rv. 281240), affermando invece che <<l'omissione, in sentenza, di statuizioni obbligatorie a carattere accessorio e a contenuto predeterminato come la demolizione di immobili abusivi o la rimessione in pristino dello stato dei luoghi per le violazioni paesaggistiche, non attenendo ad una componente essenziale dell'atto non integra una nullità, o un errore in iudicando, ed e', pertanto, emendabile con il procedimento di correzione dell'errore materiale ex art. 130 c.p.p. dal giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna o dal giudice dell'impugnazione ove questa non sia inammissibile, tranne la sussistenza di presupposti impeditivi alla demolizione non valutati dal giudice della cognizione che devono essere prospettati in sede di impugnazione>>.
Val la pena rammentare che nel precedente smentito dalla sentenza che si annota, la Corte, dopo aver premesso che <<la procedura della correzione dell'errore materiale, ... opera unicamente laddove si tratti, come ESPRESSAMENTE ENUNCIATO dall'art. 130 c.p.p. di correggere errori od omissioni che non determinano nullità e la cui eliminazione non comporta una modificazione essenziale dell'atto>>, aveva reso un'ampia ricostruzione dei precedenti a Sezioni Unite sul concetto di "errore materiale".
Al riguardo il Massimo consesso di legittimità aveva rilevato che <<il doveroso rispetto dell'immodificabilità di una pronuncia, allorquando questa non presenti vizi così radicali da renderla inesistente, é esso stesso un valore altamente positivo tutelato, e con appropriato rigore, dall'ordinamento processuale>> (Sez. U, n. 8 del 18/05/1994, dep. 29/09/1994, Armati, Rv. 198543).
Successivamente le medesime Sezioni Unite avevano considerato che l'errore rimediabile con la procedura di cui all' art. 130 c.p.p. consiste <<nella sostanza, nel frutto di una svista, di un lapsus espressivo, da cui derivano il divario tra volontà del giudice e materiale rappresentazione grafica della stessa e difformità tra il pensiero del decidente e l'estrinsecazione formale dello stesso, senza alcuna incidenza sul processo cognitivo e valutativo da cui scaturisce la decisione>>. (Sez. Un., 27 marzo 2002, n. 16103, Basile).
Nondimeno, nella sentenza n. 12950 si dava poi conto di una terza pronuncia del Massimo consesso di legittimità con cui si affrontava la questione della emendabilità ex art. 130 della pronuncia di "patteggiamento", ove il Giudice avesse omesso di condannare l'imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile (Sez. U, n. 7945 del 31/01/2008, dep. 20/02/2008, Boccia). Nel caso di specie le Sezioni Unite hanno stabilito che <<la omissione di una statuizione obbligatoria di natura accessoria e a contenuto predeterminato non determina nullità e non attiene a una componente essenziale dell'atto, onde ad essa può porsi rimedio con la procedura di correzione di cui all'art. 130 c.p.p.>>.
Così ricostruiti gli interventi delle Sezioni Unite, la terza sezione escludeva la ravvisabilità di un mero errore materiale giacché:
1) in primo luogo, l'applicazione dell'ordine di demolizione presuppone comunque un'attività ricognitiva da parte del giudice di merito. <<Invero, al fine di decidere se disporre o meno l'ordine di demolizione, il giudice deve verificare, ad esempio, se il manufatto non sia stato già demolito, eventualmente in esecuzione del relativo ordine impartito dall'autorità amministrativa, ovvero se esso non sia stato acquisito al patrimonio comunale in forza di una delibera che abbia dichiarato la sussistenza di prevalenti interessi pubblici>>;
2) <<l'ordine di demolizione impartito mediante la procedura prevista per la correzione di errore materiale implica la MODIFICA DI UN ELEMENTO ESSENZIALE della sentenza, quale é quello della destinazione del corpo del reato, produttivo di effetti pregiudizievoli nella sfera giuridica dell'imputato>>.
Di talché, i Giudici di legittimità concludevano affermando che <<l'omessa statuizione dell'ordine di demolizione rappresenta perciò un error in iudicando, emendabile soltanto attraverso l'impugnazione della sentenza>>.
Nondimeno <<può prefigurarsi un errore materiale solo quando il giudice di primo grado abbia disposto, in motivazione, l'ordine di demolizione, che invece non compare nel dispositivo, come nel caso di cui si é occupata Sez. 3, n. 40340 del 27/05/2014, (dep. 30/09/2014, Bognanni, Rv. 260421), la quale ha giudicato corretta la sentenza di appello che, pronunciandosi all'esito del giudizio di impugnazione, aveva proceduto alla correzione di errore materiale della sentenza di primo grado laddove questa aveva impartito l'ordine di demolizione di un manufatto abusivo solo nella motivazione e non anche nel dispositivo di condanna>>.
La più recente sentenza n.36227 della medesima sezione semplice sovverte le conclusioni dell'arresto fin qui descritto, con argomentazioni che tuttavia non appaiono persuasive.
Nell'incipit del "considerato in diritto" la Corte invoca il CARATTERE COSTANTE della giurisprudenza che ammette il ricorso alla procedura correttiva ex art. 130, pur dando atto nell'elencazione dei precedenti richiamati che in senso contrario si era pronunciata l'illustrata sentenza n. 12950.
Ma al di là di ciò, la Corte, implicitamente avversando l'argomento sub n. 2 del precedente, ha citato l'arresto di Sez. 3, n. 40340 del 27/05/2014 secondo cui "l'omissione, in sentenza, di statuizioni obbligatorie a carattere accessorio e a contenuto predeterminato come la demolizione di immobili abusivi o la rimessione in pristino dello stato dei luoghi per le violazioni paesaggistiche, non attenendo ad una componente essenziale dell'atto non integra una nullità ed e', pertanto, emendabile con il procedimento di correzione dell'errore materiale ex art. 130 c.p.p. dal giudice che ha pronunciato la sentenza di condanna o dal giudice dell'impugnazione ove questa non sia inammissibile, con esclusione del giudice dell'esecuzione giacché carente di competenza quanto alla statuizione omessa".
Riguardo all'attività cognitiva dispiegata dal Giudice del merito, invocata dalla sentenza n. 12950, la Corte ha osservato che seppure è vero che <<a volte l'applicazione dell'ordine di demolizione presuppone ...un'attività ricognitiva da parte del giudice di merito (verifica della demolizione, acquisizione al patrimonio comunale con dichiarazione di pubblico interesse ecc.)>>, è altrettanto vero che tale attività ricognitiva e di valutazione <<non sempre ricorre e, quindi, compete al ricorrente allegare i relativi presupposti>>.
Si è già detto che l'argomentare della sentenza che si annota non appare del tutto persuasivo.
Anzitutto, con riguardo alla pretesa costanza dell’indirizzo propugnato nella sentenza che si annota, deve rilevarsi che sebbene in anni recenti esso risulti prevalente, anche l'esegesi opposta annovera diversi precedenti.
Così ad esempio Cassazione penale sez. III, 04/07/2006, (ud. 04/07/2006, dep. 10/10/2006), n.33939, sostiene che <<questa Corte ha già correttamente statuito che alla mancata inclusione nella sentenza dell'ordine di demolizione di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 7, u.c., (ora D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9) non si può rimediare attraverso la procedura di correzione dell'errore materiale, ma esclusivamente a mezzo di impugnazione proposta dal pubblico ministero (Sez. 3^, n. 21022 del 24.4.2004, Alberti e altro, rv. 229039). E ciò perchè la correzione di errori materiali che inficiano la sentenza, ai sensi dell'art. 130 c.p.p., è ammessa solo quando la correzione non comporti una modificazione essenziale della sentenza stessa, mentre l'omesso ordine di demolizione integra un vitium in iudicando rettificabile solo dal giudice della impugnazione ritualmente investito da una parte processuale (Sez. 1^, n. 4455 del 21.9.1998, Mancasi, rv. 211601)>>. Ad analoghe conclusione è pervenuta Cass. III, 30.09-19.11.02 n. 38744- Pres. Papalia; Ric. Spitalieri in Guida al Diritto 08.03.03 pag. 81 ss.).
Dunque la più recente pronuncia, a fronte di un riacutizzato contrasto, avrebbe dovuto invocare un intervento dirimente delle Sezioni Unite.
Ma al di là di ciò, non convince l'affermazione, tralaticiamente riportata, secondo cui inserire in una sentenza <<statuizioni obbligatorie a carattere accessorio e a contenuto predeterminato come la demolizione di immobili abusivi o la rimessione in pristino dello stato dei luoghi per le violazioni paesaggistiche>> non incide su una componente essenziale dell'atto.
Al rigaurdo pare piuttosto cogliere nel segno l'arresto della sentenza n. 12950, e prim' ancora Sez. III, 25.05.1992 ric. Pergola, secondo cui integra componente essenziale della sentenza ciò che <<incide sull’onere giuridico complessivo dell’imputato ed in particolare nella sfera giuridico patrimoniale>> (Sez. III, 25.05.1992 ric. Pergola, in Arch. Nuova Proc.pen. n.192, 755, conforme anche I Sez., 21.09.1998, dep. 23.10.98, Ricorrente- Mancasi in Giurisprudenza Italiana, 2000, n.133).
Del resto sul tema dell'errore materiale il risalente principio espresso dalla tradizione romanistica, secondo cui: <<actorum verba emendare, tenore sententiae perseverante, non est prohibitum>>(cfr. Dig. 42.1.46, Hermogenianus 2 iuris epit), sembra averne definitivamente scolpito l'esatta portata.
Per altri versi, sullo sfondo di tutto ciò resta la questione del valore del dispositivo reso all'esito della udienza, che invero anche la pronuncia n. 12950 cit. vorrebbe "cedevole", ove la successiva motivazione dovesse contenere l'ordine di demolizione.
Tuttavia deve osservarsi che <<il dispositivo della sentenza pronunciata all’esito del dibattimento è l’atto con il quale il Giudice manifesta la propria volontà in ordine alla applicazione della legge al caso concreto, di guisa che lo stesso, in un momento successivo alla sua lettura in dibattimento, non può subire modifiche, integrazioni o sostituzioni>> (Cfr. Cass.pen., I Sez., 21.09.1998, dep. 23.10.98, Ricorrente- Mancasi in Giurisprudenza Italiana, 2000, n.133).
Infatti, la motivazione svolge una funzione servente della decisione, resa pubblica con la lettura del dispositivo, e non ha una funzione precettiva, tanto che secondo l’insegnamento del Supremo collegio <<il contenuto precettivo delle sentenze pronunciate a conclusione del dibattimento, deve essere individuato con esclusivo riferimento al dispositivo>> (Cfr. Cass. pen. 24.04.1987, Labbellarte, in Riv.pen. 1988, 315 e conformerete, Cass. III, 22.06.1999, n.11353, Procopio, Cass.pen. 2000,3390).
Quanto sopra consente di cogliere gli ulteriori dubbi che la sentenza che si annota suscita con riguardo all'omessa attivazione del contraddittorio ai fini della correzione in parola.
Invero, il ricorrente aveva pure lamentato che la procedura di correzione era stata adottata de plano, sì integrando una nullità (invero esplicitamente prevista ex art. 127 c.p.p.).
Nondimeno la Corte ha rigettato la censura considerando che <<il ricorso in cassazione non specifica l'interesse a partecipare alla camera di consiglio, per allegare fatti o situazioni decisivi per la correzione>>. Al riguardo i Giudici nomofilattici hanno richiamato taluni precedenti, secondo cui <<è inammissibile il ricorso per cassazione avverso un provvedimento di correzione di errore materiale emesso dal giudice con procedura "de plano", invece che ritualmente, previa celebrazione di camera di consiglio, se il ricorrente non deduce un concreto interesse a partecipare alla camera di consiglio per allegare fatti o situazioni decisive, direttamente incidenti sul provvedimento impugnato" (Sez. 4, n. 39523 del 15/06/2016 -dep. 23/09/2016, P.M. in proc. Passaquindici, Rv. 26833801; vedi anche Sez. 6, n. 42622 del 18/09/2015 - dep. 22/10/2015, Rinaldi, Rv. 26494601)>>.
La tesi propugnata dal Decidente non persuade.
Anzitutto col ricorso in Cassazione, il ricorrente ha contestato la stessa natura di errore materiale dell'omessa statuizione dell'ordine di demolizione. Di talchè egli aveva un interesse concreto e attuale a partecipare alla camera di consiglio intesa a emendare il presunto errore materiale. A nulla vale al riguardo la circostanza che la Corte regolatrice dissenta (in questo caso) dalla prospettazione difensiva in ordine alla natura dell'omessa statuizione, perchè l'accertamento di un interesse a contraddire non coincide con la fondatezza degli argomenti spesi nel contraddittorio.
Ma ciò che non convince è la filosofia di fondo dell'arresto cui dà continuata la Corte.
Vi è invero che il Legislatore ha già stabilito a monte quale siano le conseguenze dell'omessa attivazione del contradditorio per procedere alla correzione dell'errore materiale: si verifica una nullità, giusta il combinato disposto degli artt. 127 e 130 c.p.p.
Tale previsione non può essere calibrata dalla giurisprudenza in ragione dei vantaggi di cui di volta in volta il ripristino del contraddittorio sarebbe capace, per come sembra invece pretendere Cass. pen. sez. I, 18.11.2020 n.36130, finendo per trasformare una sanzione processuale in una mera irregoalrità imporduttiva di conseguenze.
Del resto esiste altra giurisprudenza che a fronte dell'intervenuta violazione di legge dedotta sic et simpliciter ha rilevato la nullità del provvedimento di correzione (cfr. per la sua brevitas Cassazione penale sez. III, 03/12/2008, n.1460).