L'imputato, un magistrato, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, che, riformando quella del Tribunale, con cui era stato condannato per due reati di induzione indebita ex art. 319-quater, cod. pen., aveva riqualificato le condotte come reati di millantato credito, consumato e tentato, dichiarandone l’estinzione per prescrizione.
Il ricorrente deduce anzitutto di avere interesse ad impugnare, trovandosi tutt’ora sottoposto a procedimento disciplinare per gli stessi fatti oggetto del presente processo e, perciò, potendo a lui derivare, nell’àmbito di quel diverso giudizio, effetti deteriori dalla ricostruzione dei fatti contenuta in sentenza e che egli contesta.
La Corte di Cassazione, sesta penale, sentenza 8 luglio 2024, n. 26935 al link, riconosce l'interesse.
Si legge in sentenza:
<<1. Va riconosciuto l’interesse ad impugnare dell’imputato. Proprio in tema di procedimento disciplinare dei magistrati, le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che l’accertamento dei fatti contenuto nella sentenza penale di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, pur non essendo vincolante, deve essere necessariamente valorizzato dal giudice disciplinare, quando le pronunce rese in sede penale siano giunte a conclusioni conformi in ordine alla prova delle condotte contestate all’Incolpato (Sez. U, n. 18923 del 05/07/2021, Rv. 661655). Da tanto consegue indiscutibilmente l’interesse dell’imputato, prosciolto per l’estinzione del reato contestatogli, a contestare il merito dell’accusa rivoltagli, nella prospettiva della possibile rilevanza di quei fatti nel giudizio disciplinare a suo carico.
2. Vanno tuttavia riaffermati, per altro verso, i limiti della cognizione del giudice penale in presenza di una causa di estinzione del reato: ovvero che l’assoluzione, a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., può pronunciarsi soltanto nel caso in cui le circostanze idonee ad escludere la rilevanza penale della condotta emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione ictu oculi, che a quello di "apprezzamento" e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274)>>.