La sesta sezione della Corte ha annullato senza rinvio una sentenza nella parte in cui condannava l'imputato per il delitto di cui all'art. 615 ter c.p., giacché l'accesso al sistema informatico era stato operato in un contesto giurisprudenziale in cui non era ancora ritenuto reato. Infatti la Corte ha così osservato:
<<il fatto contestato all'imputato che, al momento in cui fu commesso, non costituiva reato in ragione della regola fissata dalle Sezioni unite "Casani" nel 2011- cinque anni prima- ha assunto invece rilievo penale nel maggio del 2017, a seguito di un mutamento della giurisprudenza>>. Di talchè , <<l'imputato, al momento in cui i fatti furono commessi, poteva fare affidamento su una regola stabilizzata che escludeva la rilevanza penale della propria condotta e non vi erano concreti, specifici, "segnali" che inducessero a prevedere che, dopo cinque anni dalla sentenza "Casani", le Sezioni unite della Corte avrebbero in seguito attribuito a quella condotta rilievo penale, rivedendo in senso "peggiorativo" il precedente orientamento>>. Ne segue che nel caso di specie non si può formulare <<un giudizio di colpevolezza- rimproverabilità soggettiva>>. (sentenza al link)