14 gennaio 2025

❌Attenzione❌ Le caselle PEC depositoattipenali: una sentenza della cassazione cambia il pacifico orientamento e forza l’interpretazione del dato letterale della norma



Le caselle PEC depositoattipenali, che continuano ad utilizzarsi per i depositi presso la Corte d’appello sino al 31.12.2025 (qui il vademecum) sono fonte di rischio e, laddove possibile, anche per la Corte d’appello, secondo l’interpretazione che forniamo nel vademecum, è meglio utilizzare il portale.

Tuttavia, se ritenete di utilizzare la pec, prestate attenzione a questa sentenza che stravolge il pacifico orientamento del giudice di legittimità. L’avvertenza è: inviate a tutti gli indirizzi pec assegnati dal DGSIA!

Vi segnaliamo infatti la sentenza n. 47557/2024, al link e in foto in calce, perché è la dimostrazione plastica di come una norma - assolutamente chiara in italiano - possa essere interpretata, persino dalla Cassazione, ben oltre i suoi confini e in contrasto con tutte le precedenti sentenze (qui la sentenza 654/2025, sempre della prima sezione, conforme al consolidato e diverso orientamento), solo perché non se ne comprende il significato sul piano giuridico e sistematico. 

Il caso è questo: il difensore deposita il ricorso in Cassazione a mezzo PEC, inviandolo all'indirizzo 'depositoattipenali' assegnato alla sezione della Corte d'appello che ha emesso la decisione. 

La cancelleria, ricevuta la PEC, non trasmette l'atto all'ufficio impugnazioni: probabilmente, perché ritiene di non essere competente a riceverla.

In quella Corte, infatti, il Presidente ha, con un provvedimento di carattere organizzativo interno, assegnato all'ufficio impugnazioni - attenti qui - una casella depositoattipenali diversa da quella attribuita alla sezione della Corte. La 3 per il primo, la 2 per la seconda. 

Investita della questione, la Cassazione, superando il proprio orientamento pacifico per il quale - semplifico - è sufficiente che il difensore invii la PEC a uno qualsiasi delle caselle assegnate dal D.G.S.I.A. a quell'ufficio, essendo irrilevante la ripartizione interna decisa dal suo Dirigente, fa dire una cosa alla norma che la norma non dice. 

Secondo la Corte, l'articolo 87 richiede infatti, a pena di inammissibilità, che l'atto di impugnazione venga inviato a quello specifico indirizzo depositoattipenali assegnato "dal D.G.S.I.A" all'ufficio impugnazioni e, se diverso, non a quello attribuito alla sezione che ha emesso il provvedimento. 

La norma però non dice questo. La norma dice che l'atto di impugnazione è inammissibile se  inviato a un indirizzo "diverso da quelli assegnati con provvedimento del D.G.S.I.A. all'ufficio". Questo è il significato in italiano. 

Il significato giuridico è che la inammissibilità consegue solo all'invio a un indirizzo che non rientra tra quelli previsti dal D.G.S.I.A.: cioè a una PEC diversa da quelle depositoattipenali (es. cortedappellodipaperino@giustiziacert.it)

La norma si interpreta necessariamente così, qui è l'errore ancora più grave, perché il provvedimento del D.G.S.I.A. che nel 2020 istituì le caselle depositoattipenali, contrariamente a quello che si legge testualmente nella sentenza, non ha stabilito alcuna assegnazione interna - la n. 2 alla sezione, la n. 3 all'ufficio impugnazioni -,  demandandola invece al Dirigente dell'ufficio.

È la prima sentenza della Cassazione in questo senso, tutte le altre sono di segno contrario. Però, per il futuro, se dovete depositare una impugnazione a mezzo PEC, suggerisco di inviarla a tutte le PEC assegnate all'ufficio.

Nel frattempo, la decisione impugnata è diventata definitiva, una persona è andata in carcere e il funzionario della cancelleria che ha omesso di trasmettere l'atto ai colleghi dell'ufficio impugnazioni, al 23 del mese, riceverà ancora il suo stipendio.







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