Durante il mese di agosto ci siamo occupati più volte dell'aspetto più controverso della riforma Cartabia, la improcedibilità (al link tutti i contributi).
Riteniamo utile al dibattito rilanciare il documento con il quale cinque fra i maggiori processual- penalisti italiani contestano la norma (fonte Il Dubbio al link).
Quando il Consiglio dei ministri dell’8 luglio ha ritenuto di affiancare alla prescrizione sostanziale, già operante in primo grado, la prescrizione ‘ processuale’ con termini di durata massima per i giudizi di appello e di cassazione, fissati a pena di ‘ improcedibilità’, abbiamo espresso alcune riserve, auspicando la sostituzione della prescrizione ‘ processuale’ con quella ‘ sostanziale’ come causa estintiva del reato. Abbiamo evidenziato dubbi di legittimità costituzionale e ragioni di inopportunità derivanti da tale impostazione (link).
Il successivo Consiglio dei ministri del 29 luglio ha ritenuto di confermare la scelta della ‘ improcedibilità’, modificando però il sistema delle proroghe e della decorrenza dei termini; il medesimo testo è stato poi approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 3 agosto.
Il testo approvato da un ramo del Parlamento ai primi di agosto conferma i dubbi già espressi nel nostro documento di fine luglio. In aggiunta, nel documento qui di seguito riportato, segnaliamo ulteriori criticità del ddl governativo, in vista dell’imminente esame da parte del Senato.
I sottoscritti Marcello Daniele, Paolo Ferrua, Renzo Orlandi, Adolfo Scalfati, Giorgio Spangher, richiamato quanto già espresso nel precedente documento del 27 luglio sulle perplessità che la disciplina della improcedibilità suscita in rapporto ai principi costituzionali di uguaglianza, di obbligatorietà dell’azione penale e di impegno alla durata ragionevole dei processi, visto il testo approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 3 agosto 2021, osservano che il potere assegnato ai giudici di disporre proroghe dei termini fissati a pena di improcedibilità implica una impropria assunzione di responsabilità, tale da renderli arbitri della scelta se precludere o consentire la prosecuzione dell’azione penale; che affidare ai giudici una scelta destinata a ripercuotersi sulla concreta perseguibilità dei reati equivale a consegnare alla giurisdizione scelte di politica criminale in evidente contrasto con il principio di separazione dei poteri; che i termini di prescrizione processuale, affiancandosi ai termini di durata delle indagini preliminari, di custodia cautelare e di prescrizione sostanziale, rischiano di creare un regime temporale privo di coordinamento fra la fase anteriore al dibattimento, il giudizio di primo grado e la fase delle impugnazioni, incapace di assicurare in modo uniforme la ragionevole durata; che la prescrizione processuale, in particolare, contiene un implicito invito a chiudere innanzitutto i procedimenti relativi a reati meno gravi, ponendosi così in antinomia con i criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, ispirati al preferenziale perseguimento di reati gravi con termini di prescrizione lunghi o addirittura imprescrittibili; che la disciplina della improcedibilità appare sotto diversi aspetti incerta, non essendo chiaro, ad esempio, se sia consentita la riapertura del procedimento dopo la sentenza irrevocabile, quando sopravvenga la condizione di procedibilità; come potrebbe accadere a seguito di una diversa e più grave qualifica del reato che implichi termini prescrizionali più estesi: auspicano che nel prosieguo dell’iter parlamentare sia presa in seria considerazione l’esigenza di uniformare la disciplina al modello della prescrizione sostanziale, causa estintiva del reato, come già contemplata sino al primo grado di giudizio.