Il collega Ettore Grenci, del foro di Bologna, ha recentemente sottoscritto, congiuntamente ad altri Avvocati di cultura progressista, un appello a tutta la politica, ma in particolare alle forze di opposizione, a non alimentare l'equivoco che i fautori della separazione delle carriere siano nemici della magistratura e della Costituzione e comunque strenui sostenitori dell'attuale maggioranza di Governo, auspicando che si moltiplichino le occasioni di confronto sul merito della Riforma. Abbiamo raccolto l'auspicio dei colleghi, ponendo ad Ettore, che ringraziamo, alcune domande.
1 1) Ettore,
perché sei favorevole alla separazione delle carriere?
Anzitutto grazie per questa
occasione di confronto.
La risposta, per quanto mi
riguarda, è semplice: per dare concreta e piena attuazione al sistema
accusatorio introdotto con il codice di rito dell’88 ed alle garanzie che esso
prevede per tutti coloro che si trovano a subire un processo penale. Non è un
caso se in tutti i paesi in cui vige un sistema autenticamente accusatorio è
sempre prevista una netta separazione tra organo inquirente ed organo
giudicante. E non è un caso se questo era anche la prospettiva - non potutasi
realizzare in quel frangente - di uno dei padri del nostro codice, Giuliano
Vassalli.
2) I sostenitori del NO paventano il rischio che il
PM perderebbe la cultura giurisdizionale, fin qui condivisa col Giudice,
trasformandosi in un “superpoliziotto”. Ravvisi il rischio di una deriva del
genere?
La risposta è in qualche modo
collegata a quella precedente. Anzitutto dovremo sforzarci di comprendere che
questa riforma non ha al suo centro il PM, ma il Giudice. In buona sostanza, non
dobbiamo chiederci cosa potrebbe diventare il PM, che ne sarà della sua cultura
giurisdizionale, ma cosa porterà alla cultura giurisdizionale dell’unico organo
che deve esercitare la giurisdizione, ovvero il Giudice. Non sarà un effetto
immediato, ma sono ragionevolmente convinto che nel tempo si realizzerà un ulteriore
rafforzamento della cultura giurisdizionale della nostra magistratura
giudicante, con l’auspicabile effetto che – così definite le rispettive
posizioni processuali - anche la magistratura requirente si “contamini” di
questa cultura per realizzare, con maggiore efficacia ed effettività, le
proprie funzioni ed i propri scopi.
Aggiungerei, per concludere, che
quel rischio che in molti paventano non esiste nella misura in cui il Pubblico
Ministero agisce nell’ambito dei poteri tassativamente definiti dalle regole
del codice di rito e dalla Costituzione, il cui rispetto è di per sé garanzia
contro ogni forma di potenziale degenerazione inquisitoria.
3) Non ti pare che l’insistenza su una cultura condivisa tra PM e Giudice, in controluce manifesti una qualche impronta inquisitoria?
Ribadisco: l’unica cultura che deve
essere condivisa è quella del rispetto della Legge e delle garanzie, che unisce
non solo Giudici e PM ma anche l’Avvocatura. Il perimetro entro il quale si
giudica un imputato è quello dettato dal codice di rito e dalle sue regole, nel
rispetto dei diritti dei cittadini, punto.
Ma non mi voglio sottrarre alla tua
domanda: sono convinto che tanto più si insiste sull’idea di “necessaria vicinanza” tra organo inquirente
e organo giudicante, tanto più ci si allontana dall’idea di sistema accusatorio
a cui si ispirava il Legislatore sia nel 1988, con il nuovo codice processuale,
sia nel 2001 con l’introduzione dell’art. 111 nella nostra Costituzione.
4) Restiamo
ai lamentati rischi della revisione costituzionale: si sostiene che la
separazione delle carriere sarebbe inutile, sia perché l’elevato numero di
assoluzioni dimostrerebbe l’indipendenza dei Giudici, sia perché riformare i
rapporti tra le due autorità giudiziarie non inciderebbe sui veri mali della
giustizia. Che ne pensi ?
Chi sposta il piano
dell’attenzione sui c.d. “mali della giustizia” lo fa nella consapevolezza di
distogliere l’attenzione dal tema centrale della riforma, che non è, non può e non
vuole essere quello di “curare” tutti i mali che affliggono il sistema
giudiziario italiano, ma di garantire a tutti i cittadini un Giusto processo
davanti ad un Giudice terzo ed imparziale. Se riusciremo in questo intento,
avremo semplicemente dato concretezza ed attuazione ad un principio previsto
dalla nostra Costituzione, che già di sé mi pare essere un nobile obiettivo, e
dunque un “bene” per la Giustizia nella sua più alta accezione.
Quanto al numero delle
assoluzioni, potrei obiettare che oggi esso è potrebbe essere il frutto di indagini
condotte in maniera non efficace, ovvero dalla mancanza di una efficace
verifica delle stesse nel momento in cui ci si trova al bivio tra la scelta di esercitare
l’azione penale o chiedere l’archiviazione.
Ma potremmo anche immaginare che
in un futuro, con un Giudice nettamente separato dal pubblico ministero, e
dunque con una maggiore enfatizzazione della sua terzietà, le assoluzioni
potrebbero essere ancora superiori ai numeri attuali. Ma siamo nel campo delle
ipotesi, e dunque da prendere con tutte le cautele del caso, soprattutto per il
rispetto che dobbiamo alle migliaia di persone oggi sottoposte a processi
penali, magari detenute, tutte presunte innocenti, sulle cui speranze non è
consentita alcuna forma di speculazione.
Voglio però aggiungere che le
stesse cautele andrebbero prese da chi invece propone come verità assolute
scenari futuri che non solo sono tutti ancora da dimostrare, ma che non sono
neanche ipotizzabili sulla base di quanto scritto oggi nel testo della riforma,
come ad esempio il tanto paventato rischio di “scivolamento” del PM sotto il
controllo dell’esecutivo.
5) Guardiamo
ad uno specifico aspetto della riforma. L’articolo 104 della Costituzione
revisionato prevede che i componenti togati dei due organi di autogoverno siano
estratti a sorte, secondo le procedure previsti dalla legge. Vorrei chiederti
se condividi il ricorso al sorteggio quale metodo di scelta dei componenti del
doppio “CSM”.
Come sai, la proposta di Legge costituzionale
di iniziativa popolare sulla quale l’UCPI ha raccolto oltre 70.000 firme, non
prevedeva il sorteggio come modalità di scelta dei componenti togati dei due
organi. D’altra parte, però, non vedo nulla di particolarmente sovversivo nella
previsione di un sorteggio, per alcune semplici ragioni.
Anzitutto mi stupisco delle
critiche da parte dell’ ANM su questo sistema, atteso che esso valorizza e
qualifica la figura di tutti i magistrati italiani, le cui capacità,
preparazione e competenza sono considerati tali da garantire di per sé la loro
migliore rappresentanza.
Va poi chiarito un punto, che
purtroppo pare sfuggire nel dibattito pubblico e soprattutto nella narrazione
proveniente proprio dalla magistratura associata: il CSM è un organo di rilevo
costituzionale, non è un organo politico rappresentativo, come appunto l’ANM.
La differenza è fondamentale per comprendere come in questi anni si sia venuta
a creare all’interno del CSM quella degenerazione correntizia i cui scandali
hanno leso l’immagine non solo del Consiglio ma di tutta la magistratura
italiana, minando fortemente la fiducia dei cittadini per essa.
Forse il sorteggio non annullerà del tutto i
rischi che tali degenerazioni si possano verificare nuovamente in futuro, ma
certamente li limiterà significativamente. E questo credo sia un bene per
tutti, in primis per la stessa
magistratura.
6) Ettore, recentemente, con altri colleghi, hai reso manifesta la tua cultura politica, perché trovi sbagliato il riferimento operato da alcuni oppositori della revisione ad una riforma di destra?
C’è una larga parte di
Avvocatura che si ispira ad ideali politici di sinistra e che non intende
assistere passivamente alla narrazione per cui questa sarebbe una “riforma di
destra”, o di questa destra, o un regalo postumo a Berlusconi, fino ad arrivare
a chi vaneggia della realizzazione del Piano di rinascita democratica P2 di
Licio Gelli.
Se solo questo Paese avesse un
po' di memoria storica – e, in questo caso, se ne avesse il principale partito
della sinistra italiana oggi all’opposizione - dovrebbe ricordare, ad esempio,
che il partigiano socialista Giuliano Vassalli era favorevole ad una netta
distinzione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, come lo era
d’altra parte anche Giovanni Falcone.
Dovrebbe anche ricordare che l’art.
111 Cost. nacque da una proposta unitaria dell’allora PDS e di Forza Italia, ed
in particolare dai Senatori Cesare Salvi e Marcello Pera. Ed è proprio Cesare
Salvi a ricordare, in una recente intervista, che nel referendum abrogativo
sulla responsabilità dei giudici del 1987 il PCI si schierò per il sì, aggiungendo
al ricordo una frase di Aldo Tortorella, dirigente della sinistra comunista: “Dobbiamo
affrontare la questione della giustizia non come diritto di un ceto ma come
tutela del cittadino”.
Ecco, credo che sia questo
l’ideale che dovrebbe oggi indurre anche la sinistra ad una posizione
favorevole sulla riforma.
Permettimi anche di dire che
trovo molto grave – e anche per questo ho inteso manifestare il mio pensiero in
quel documento che citavi - che si utilizzi la Carta costituzionale come clava
propagandistica per colpire chi ha posizioni diverse sulla riforma, additandoli
a “nemici della Costituzione”, in una assurda divisione tra chi ne è vero
tutore è chi non lo è.
Come avvocati sappiamo bene cosa vuol dire
difendere la nostra Costituzione: lo facciamo ogni volta che entriamo in
un’aula d’udienza per difendere la presunzione d’innocenza, la libertà personale,
lo stesso diritto di difesa, magari nella difesa d’ufficio di qualcuno che non
vedremo mai, oppure che non ha altri che noi a tutelarlo da un abuso di potere o
a garantirgli un ultimo brandello di dignità davanti all’autorità dello Stato.
Quindi sì, una cultura di
sinistra non è affatto contraddittoria rispetto alla convinzione che si possa,
anzi si debba, riformare l’ordinamento giudiziario con una chiara e netta
distinzione tra chi giudica e chi accusa, salvaguardandone sempre l’autonomia e
l’indipendenza.
7) In
un’intervista pubblicata su “Il Dubbio” del 10 ottobre scorso, il prof. Giorgio
Spangher ha lamentato il pericolo, in caso di vittoria del “NO”, di una
legittimazione politica della magistratura. Che ne pensi ?
Su questi temi le parole del
Prof. Spangher vanno sempre ascoltate e considerate con attenzione, non solo perché
a pronunciarle è uno tra i più grandi studiosi contemporanei del processo
penale, ma anche per la profonda conoscenza del nostro ordinamento giudiziario
che gli deriva anche dall’aver rivestito il ruolo di componente laico del CSM.
Quello che personalmente mi
preoccupa - e mi preoccuperebbe maggiormente se fossi un magistrato - è che, al
di là di scenari futuri, vedo questo pericolo affacciarsi sempre più
nell’attualità.
Ingaggiare oggi una battaglia
politica (o, peggio, ideologica) non solo contro questa riforma ma anche contro
chi la propone, proporre l’idea di una divisione in tifoserie di amici e nemici
della Costituzione, prefigurare scenari apocalittici di possibili derive
autoritarie qualora vincesse il “si” al referendum, e magari avvicinandosi
pericolosamente a posizioni e strategie di partiti politici che ne sono oppositori,
sono di per sé scelte e comportamenti che, inevitabilmente, comportano un
concreto rischio di delegittimazione. Non si può infatti non scorgere il
pericolo che, così facendo, si finisce per accreditare l’idea di una magistratura
che si trasforma essa stessa in partito politico, con un inevitabile pregiudizio
non solo alla sua immagine davanti ai cittadini, ma soprattutto a quella
indipendenza ed autonomia che con così tanta forza proprio la magistratura invoca
quali principi irrinunciabili che la riforma metterebbe in pericolo.
Parimenti intollerabile, a parti
invertite, è la delegittimazione della Magistratura da parte della Politica,
magari quando si è al cospetto di una sentenza non gradita. Su questo
l’Avvocatura ha sempre fatto sentire la propria voce, pretendendo il rispetto dei
ruoli e delle funzioni, e anche manifestando solidarietà a singoli magistrati talvolta
coinvolti in campagne mediatiche denigratorie.
In questo senso, credo si
imponga, per la stessa tenuta democratica del Paese, uno sforzo comune per
riaffermare la centralità e l’importanza del principio della separazione dei
poteri, e dunque per orientare in questa direzione le scelte e i comportamenti
delle parti che li rappresentato.
Partendo da questa fondamentale premessa, occorre poi urgentemente riportare la discussione su questa riforma su un piano tecnico, certamente anche con il linguaggio semplice della politica, ma sfrondandola da qualsiasi strumentalizzazione ideologica o propagandistica. Se non sarà così, finiremo per snaturare lo strumento referendario ed il suo significato di straordinaria occasione di democrazia diretta. E a quel punto la delegittimazione riguarderà tutti, perché riguarderà la stessa idea di democrazia.
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