08 novembre 2025

Separazione delle carriere: alcune domande ad Ettore Grenci*.




Il collega Ettore Grenci, del foro di Bologna, ha recentemente sottoscritto, congiuntamente ad altri Avvocati di cultura progressista, un appello a tutta la politica, ma in particolare alle forze di opposizione, a non alimentare l'equivoco che i fautori della separazione delle carriere siano nemici della magistratura e della Costituzione e comunque strenui sostenitori dell'attuale maggioranza di Governo, auspicando che si moltiplichino le occasioni di confronto sul merito della Riforma. Abbiamo raccolto l'auspicio dei colleghi, ponendo ad Ettore, che ringraziamo, alcune domande.        


1     1) Ettore, perché sei favorevole alla separazione delle carriere?

Anzitutto grazie per questa occasione di confronto.

La risposta, per quanto mi riguarda, è semplice: per dare concreta e piena attuazione al sistema accusatorio introdotto con il codice di rito dell’88 ed alle garanzie che esso prevede per tutti coloro che si trovano a subire un processo penale. Non è un caso se in tutti i paesi in cui vige un sistema autenticamente accusatorio è sempre prevista una netta separazione tra organo inquirente ed organo giudicante. E non è un caso se questo era anche la prospettiva - non potutasi realizzare in quel frangente - di uno dei padri del nostro codice, Giuliano Vassalli.

     2)  I sostenitori del NO paventano il rischio che il PM perderebbe la cultura giurisdizionale, fin qui condivisa col Giudice, trasformandosi in un “superpoliziotto”. Ravvisi il rischio di una deriva del genere?

La risposta è in qualche modo collegata a quella precedente. Anzitutto dovremo sforzarci di comprendere che questa riforma non ha al suo centro il PM, ma il Giudice. In buona sostanza, non dobbiamo chiederci cosa potrebbe diventare il PM, che ne sarà della sua cultura giurisdizionale, ma cosa porterà alla cultura giurisdizionale dell’unico organo che deve esercitare la giurisdizione, ovvero il Giudice. Non sarà un effetto immediato, ma sono ragionevolmente convinto che nel tempo si realizzerà un ulteriore rafforzamento della cultura giurisdizionale della nostra magistratura giudicante, con l’auspicabile effetto che – così definite le rispettive posizioni processuali - anche la magistratura requirente si “contamini” di questa cultura per realizzare, con maggiore efficacia ed effettività, le proprie funzioni ed i propri scopi.

Aggiungerei, per concludere, che quel rischio che in molti paventano non esiste nella misura in cui il Pubblico Ministero agisce nell’ambito dei poteri tassativamente definiti dalle regole del codice di rito e dalla Costituzione, il cui rispetto è di per sé garanzia contro ogni forma di potenziale degenerazione inquisitoria.  

       3) Non ti pare che l’insistenza su una cultura condivisa tra PM e Giudice, in controluce manifesti una qualche impronta inquisitoria?

Ribadisco: l’unica cultura che deve essere condivisa è quella del rispetto della Legge e delle garanzie, che unisce non solo Giudici e PM ma anche l’Avvocatura. Il perimetro entro il quale si giudica un imputato è quello dettato dal codice di rito e dalle sue regole, nel rispetto dei diritti dei cittadini, punto.

Ma non mi voglio sottrarre alla tua domanda: sono convinto che tanto più si insiste sull’idea di  “necessaria vicinanza” tra organo inquirente e organo giudicante, tanto più ci si allontana dall’idea di sistema accusatorio a cui si ispirava il Legislatore sia nel 1988, con il nuovo codice processuale, sia nel 2001 con l’introduzione dell’art. 111 nella nostra Costituzione.

4) Restiamo ai lamentati rischi della revisione costituzionale: si sostiene che la separazione delle carriere sarebbe inutile, sia perché l’elevato numero di assoluzioni dimostrerebbe l’indipendenza dei Giudici, sia perché riformare i rapporti tra le due autorità giudiziarie non inciderebbe sui veri mali della giustizia. Che ne pensi ?

Chi sposta il piano dell’attenzione sui c.d. “mali della giustizia” lo fa nella consapevolezza di distogliere l’attenzione dal tema centrale della riforma, che non è, non può e non vuole essere quello di “curare” tutti i mali che affliggono il sistema giudiziario italiano, ma di garantire a tutti i cittadini un Giusto processo davanti ad un Giudice terzo ed imparziale. Se riusciremo in questo intento, avremo semplicemente dato concretezza ed attuazione ad un principio previsto dalla nostra Costituzione, che già di sé mi pare essere un nobile obiettivo, e dunque un “bene” per la Giustizia nella sua più alta accezione.

Quanto al numero delle assoluzioni, potrei obiettare che oggi esso è potrebbe essere il frutto di indagini condotte in maniera non efficace, ovvero dalla mancanza di una efficace verifica delle stesse nel momento in cui ci si trova al bivio tra la scelta di esercitare l’azione penale o chiedere l’archiviazione.

Ma potremmo anche immaginare che in un futuro, con un Giudice nettamente separato dal pubblico ministero, e dunque con una maggiore enfatizzazione della sua terzietà, le assoluzioni potrebbero essere ancora superiori ai numeri attuali. Ma siamo nel campo delle ipotesi, e dunque da prendere con tutte le cautele del caso, soprattutto per il rispetto che dobbiamo alle migliaia di persone oggi sottoposte a processi penali, magari detenute, tutte presunte innocenti, sulle cui speranze non è consentita alcuna forma di speculazione.

Voglio però aggiungere che le stesse cautele andrebbero prese da chi invece propone come verità assolute scenari futuri che non solo sono tutti ancora da dimostrare, ma che non sono neanche ipotizzabili sulla base di quanto scritto oggi nel testo della riforma, come ad esempio il tanto paventato rischio di “scivolamento” del PM sotto il controllo dell’esecutivo.

5) Guardiamo ad uno specifico aspetto della riforma. L’articolo 104 della Costituzione revisionato prevede che i componenti togati dei due organi di autogoverno siano estratti a sorte, secondo le procedure previsti dalla legge. Vorrei chiederti se condividi il ricorso al sorteggio quale metodo di scelta dei componenti del doppio “CSM”.  

Come sai, la proposta di Legge costituzionale di iniziativa popolare sulla quale l’UCPI ha raccolto oltre 70.000 firme, non prevedeva il sorteggio come modalità di scelta dei componenti togati dei due organi. D’altra parte, però, non vedo nulla di particolarmente sovversivo nella previsione di un sorteggio, per alcune semplici ragioni.

Anzitutto mi stupisco delle critiche da parte dell’ ANM su questo sistema, atteso che esso valorizza e qualifica la figura di tutti i magistrati italiani, le cui capacità, preparazione e competenza sono considerati tali da garantire di per sé la loro migliore rappresentanza.

Va poi chiarito un punto, che purtroppo pare sfuggire nel dibattito pubblico e soprattutto nella narrazione proveniente proprio dalla magistratura associata: il CSM è un organo di rilevo costituzionale, non è un organo politico rappresentativo, come appunto l’ANM. La differenza è fondamentale per comprendere come in questi anni si sia venuta a creare all’interno del CSM quella degenerazione correntizia i cui scandali hanno leso l’immagine non solo del Consiglio ma di tutta la magistratura italiana, minando fortemente la fiducia dei cittadini per essa.

 Forse il sorteggio non annullerà del tutto i rischi che tali degenerazioni si possano verificare nuovamente in futuro, ma certamente li limiterà significativamente. E questo credo sia un bene per tutti, in primis  per la stessa magistratura.

6) Ettore, recentemente, con altri colleghi, hai reso manifesta la tua cultura politica, perché trovi sbagliato il riferimento operato da alcuni oppositori della revisione ad una riforma di destra?

C’è una larga parte di Avvocatura che si ispira ad ideali politici di sinistra e che non intende assistere passivamente alla narrazione per cui questa sarebbe una “riforma di destra”, o di questa destra, o un regalo postumo a Berlusconi, fino ad arrivare a chi vaneggia della realizzazione del Piano di rinascita democratica P2 di Licio Gelli.

Se solo questo Paese avesse un po' di memoria storica – e, in questo caso, se ne avesse il principale partito della sinistra italiana oggi all’opposizione - dovrebbe ricordare, ad esempio, che il partigiano socialista Giuliano Vassalli era favorevole ad una netta distinzione delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti, come lo era d’altra parte anche Giovanni Falcone.

Dovrebbe anche ricordare che l’art. 111 Cost. nacque da una proposta unitaria dell’allora PDS e di Forza Italia, ed in particolare dai Senatori Cesare Salvi e Marcello Pera. Ed è proprio Cesare Salvi a ricordare, in una recente intervista, che nel referendum abrogativo sulla responsabilità dei giudici del 1987 il PCI si schierò per il sì, aggiungendo al ricordo una frase di Aldo Tortorella, dirigente della sinistra comunista: “Dobbiamo affrontare la questione della giustizia non come diritto di un ceto ma come tutela del cittadino”.

Ecco, credo che sia questo l’ideale che dovrebbe oggi indurre anche la sinistra ad una posizione favorevole sulla riforma.

Permettimi anche di dire che trovo molto grave – e anche per questo ho inteso manifestare il mio pensiero in quel documento che citavi - che si utilizzi la Carta costituzionale come clava propagandistica per colpire chi ha posizioni diverse sulla riforma, additandoli a “nemici della Costituzione”, in una assurda divisione tra chi ne è vero tutore è chi non lo è.

 Come avvocati sappiamo bene cosa vuol dire difendere la nostra Costituzione: lo facciamo ogni volta che entriamo in un’aula d’udienza per difendere la presunzione d’innocenza, la libertà personale, lo stesso diritto di difesa, magari nella difesa d’ufficio di qualcuno che non vedremo mai, oppure che non ha altri che noi a tutelarlo da un abuso di potere o a garantirgli un ultimo brandello di dignità davanti all’autorità dello Stato.

Quindi sì, una cultura di sinistra non è affatto contraddittoria rispetto alla convinzione che si possa, anzi si debba, riformare l’ordinamento giudiziario con una chiara e netta distinzione tra chi giudica e chi accusa, salvaguardandone sempre l’autonomia e l’indipendenza.

7) In un’intervista pubblicata su “Il Dubbio” del 10 ottobre scorso, il prof. Giorgio Spangher ha lamentato il pericolo, in caso di vittoria del “NO”, di una legittimazione politica della magistratura. Che ne pensi ?  

Su questi temi le parole del Prof. Spangher vanno sempre ascoltate e considerate con attenzione, non solo perché a pronunciarle è uno tra i più grandi studiosi contemporanei del processo penale, ma anche per la profonda conoscenza del nostro ordinamento giudiziario che gli deriva anche dall’aver rivestito il ruolo di componente laico del CSM.

Quello che personalmente mi preoccupa - e mi preoccuperebbe maggiormente se fossi un magistrato - è che, al di là di scenari futuri, vedo questo pericolo affacciarsi sempre più nell’attualità.

Ingaggiare oggi una battaglia politica (o, peggio, ideologica) non solo contro questa riforma ma anche contro chi la propone, proporre l’idea di una divisione in tifoserie di amici e nemici della Costituzione, prefigurare scenari apocalittici di possibili derive autoritarie qualora vincesse il “si” al referendum, e magari avvicinandosi pericolosamente a posizioni e strategie di partiti politici che ne sono oppositori, sono di per sé scelte e comportamenti che, inevitabilmente, comportano un concreto rischio di delegittimazione. Non si può infatti non scorgere il pericolo che, così facendo, si finisce per accreditare l’idea di una magistratura che si trasforma essa stessa in partito politico, con un inevitabile pregiudizio non solo alla sua immagine davanti ai cittadini, ma soprattutto a quella indipendenza ed autonomia che con così tanta forza proprio la magistratura invoca quali principi irrinunciabili che la riforma metterebbe in pericolo.

Parimenti intollerabile, a parti invertite, è la delegittimazione della Magistratura da parte della Politica, magari quando si è al cospetto di una sentenza non gradita. Su questo l’Avvocatura ha sempre fatto sentire la propria voce, pretendendo il rispetto dei ruoli e delle funzioni, e anche manifestando solidarietà a singoli magistrati talvolta coinvolti in campagne mediatiche denigratorie.

In questo senso, credo si imponga, per la stessa tenuta democratica del Paese, uno sforzo comune per riaffermare la centralità e l’importanza del principio della separazione dei poteri, e dunque per orientare in questa direzione le scelte e i comportamenti delle parti che li rappresentato.

Partendo da questa fondamentale premessa, occorre poi urgentemente riportare la discussione su questa riforma su un piano tecnico, certamente anche con il linguaggio semplice della politica, ma sfrondandola da qualsiasi strumentalizzazione ideologica o propagandistica. Se non sarà così, finiremo per snaturare lo strumento referendario ed il suo significato di straordinaria occasione di democrazia diretta. E a quel punto la delegittimazione riguarderà tutti, perché riguarderà la stessa idea di democrazia. 


 (*) Ettore Grenci: Avvocato del Foro di Bologna, Referente della "Commissione diritti umani e carcere" del COA di Bologna, Componente dell’osservatorio Corte Costituzionale UCPI, responsabile della scuola territoriale della CP di Bologna.

Ultima pubblicazione

Separazione delle carriere: alcune domande ad Ettore Grenci*.

Il collega Ettore Grenci, del foro di Bologna, ha recentemente sottoscritto, congiuntamente ad altri Avvocati di cultura progressista, un ap...

I più letti di sempre