
Gli Autori esaminano la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale monocratico di Padova
(ce ne siamo occupati al link, pubblicando l’ordinanza di rimessione) riguardo all'applicabilità del procedimento di sospensione con messa alla prova per il delitto di cui all'art. 73, comma V, del DPR 309/1990. La questione, che sarà esaminata dalla Corte Costituzionale nei prossimi mesi (11 giugno prossimo), verte sulla possibile violazione degli articoli 3 (uguaglianza) e 27 (rieducazione della pena) della Costituzione, a causa dell'esclusione di tale reato dall'elenco delle fattispecie per cui è ammessa la messa alla prova.
1. Contesto normativo:
- Il D.L. 123/2023 ha innalzato a 5 anni la pena massima per il reato di cui all'art. 73, comma V, DPR 309/1990 (detenzione di sostanze stupefacenti), senza modificare l'art. 550, comma II, c.p.p., che regola l'accesso alla messa alla prova. Ciò preclude automaticamente l'utilizzo del rito per tale reato, anche in casi di lieve entità.
2. Violazione dei principi costituzionali:
- Il Tribunale di Padova ritiene irragionevole l'esclusione di questo reato dalla messa alla prova, soprattutto perché reati più gravi (come l'art. 82 DPR 309/1990, istigazione all'uso di stupefacenti) sono invece inclusi. Ciò creerebbe una disparità di trattamento contraria al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.).
3. Effetti della recente riforma:
- La modifica del 2023 ha aggravato la situazione, rendendo impossibile l'accesso alla messa alla prova per un reato con pena massima di 5 anni, mentre la misura è concessibile per reati con pene inferiori. Il Tribunale critica questa scelta come arbitraria e incoerente con la politica criminale dello Stato.
4. Richieste e implicazioni:
- Il Tribunale chiede alla Corte Costituzionale di emettere una sentenza "additiva" per includere il reato di cui all'art. 73, comma V, DPR 309/1990 tra quelli ammissibili alla messa alla prova. Una decisione favorevole avrebbe impatti significativi, specialmente per imputati giovani, incensurati e con condotte di lieve entità.
Conclusione:
La pronuncia della Corte Costituzionale sarà cruciale per garantire coerenza nel sistema penale e tutelare i diritti degli imputati, soprattutto in casi di minore gravità. La questione solleva importanti riflessioni sul bilanciamento tra giustizia penale e principi costituzionali di uguaglianza e rieducazione.
Approfondimento (di Benedetto Ruggirello e Salvatore Rapisardi)
Sarà decisa dalla Consulta, nei prossimi mesi (11 giugno 2025), una rilevantissima questione che attiene all’esperibilità del procedimento di sospensione con messa alla prova nel caso di imputazione per il delitto di cui all’art. 73, comma V, d.p.r. 309/1990.
In data 24.05.2024, difatti, il Tribunale monocratico di Padova, chiamato a giudicare un imputato per la fattispecie delittuosa sopra delineata, compulsato all’uopo dalla difesa dell’imputato decideva di sollevare questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dagli art. 168 bis c.p., 550 c.p.p. e 73, comma V, DPR 309/1990, con riferimento agli art. 3 e 27 Cost.
Più nello specifico, il Tribunale, convalidato l’arresto in flagranza e chiamato a pronunziarsi sulla richiesta di ammissione al rito speciale della messa alla prova, sulla scia anche dell’eccepita illegittimità costituzionale dell’art. 168 bis c.p. che, nell’attuale formulazione, priverebbe l’imputato dell’accesso al rito, riteneva ammissibile e fondata l’eccezione, sulla scia delle seguenti considerazioni.
Rilevava il Tribunale che la modifica operata dal D.L. 123/2023 all’art. 73, comma V, DPR 309/1990, avendo elevato a 5 anni il limite massimo di pena per detta ipotesi delittuosa avrebbe precluso all’imputato l’adesione al predetto rito, dato che, contestualmente, non era stato modificato il comma II dell’art. 550 c.p.p., che, come è noto, enuclea tutte le ipotesi in cui l’azione penale deve essere esercitata con citazione diretta a giudizio.
Ed invero, la mancata inclusione della fattispecie delittuosa di cui all’art. 73, comma V, DPR 309/1990 tra le ipotesi di citazione diretta a giudizio, unita al già delineato limite massimo edittale, funge da preclusione assoluta per l’accesso al rito, anche in ipotesi di condotte di detenzione particolarmente lievi.
In ordine al requisito della non manifesta infondatezza, il Tribunale patavino osservava che risulterebbe violato il principio di uguaglianza e ragionevolezza, dato che il D.LGS. 150 del 2022 aveva notevolmente ampliato il novero dei reati per i quali era prevista l’astratta possibilità di adire il procedimento di cui all’art. 168 bis c.p.
Tra detti reati era stato annoverato anche quello di cui all’art. 82 DPR 309/1990, ossia la pubblica istigazione o il proselitismo all’uso illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, condotta questa punita dal legislatore con pena da uno a sei anni e con la multa.
Notava il Tribunale remittente come, innanzi a condotte lesive dello stesso bene giuridico, di cui la seconda era considerata ancor più grave di quella di cui all’art. 73, comma V, DPR 309/1990, appare irragionevole l’esclusione dall’elencazione di cui all’art. 550, comma II, c.p.p. del delitto sanzionato meno severamente, pur in presenza, al contrario, di un reato dallo stesso legislatore ritenuto più grave.
Concludeva, inoltre, che era stata proprio la novella legislativa del 2023 (successiva alla riforma Cartabia del 2022) a produrre l’effetto preclusivo, in conseguenza dell’innalzamento del massimo edittale ad anni 5, in misura, pertanto, superiore alla pena massima per cui la misura sarebbe concedibile.
Per il Tribunale veneto trattasi di scelta arbitraria e non discrezionale e, comunque, denotativa di mancanza di omogeneità in tema di politica criminale dello Stato.
In buona sostanza, parrebbe che il Tribunale remittente abbia invocato l’emissione di una sentenza additiva al Giudice delle leggi, in modo da includere nella lettera C) dell’art. 550 c.p.p.anche la fattispecie di cui all’art. 73, comma V, DPR 309/1990.
Il pronunciamento della Corte, che dovrebbe avvenire a breve, rivestirà importanza rilevantissima data la frequenza di imputazioni per il titolo di reato previsto e punito da quest’ultima disposizione normativa.
Gli effetti potrebbero essere rilevantissimi, specialmente in casi di imputati giovanissimi, incensurati e con condotte addebitate di particolare tenuità.
Conseguita la maturità classica presso il liceo Leonardo Ximenesdi Trapani, si laurea presso l’Università di Palermo nell’anno 2005 e si specializza in professioni legali nell’anno 2007 presso il medesimo ateneo.
Al termine del biennio di pratica forense, consegue, nel 2008, l’abilitazione all’esercizio della professione forense e si iscrive all’albo degli avvocati di Trapani nel gennaio 2010.
Dal 2024 è abilitato all’esercizio presso le giurisdizioni superiori e si occupa, quotidianamente, di tematiche afferenti, tanto il diritto civile, quanto il penale
Salvatore Rapisardi -Conseguita la maturità scientifica presso il liceo Vincenzo Fardella di Trapani, si laurea presso l’Università di Palermo nell’anno 2012. Al termine del biennio di pratica forense, consegue, nel 2015, l’abilitazione all’esercizio della professione forense e si iscrive all’albo degli avvocati di Trapani nel gennaio 2016.
Si occupa, quotidianamente, di tematiche afferenti, tanto il diritto civile, quanto il penale.