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13 aprile 2025

❌ ❌ Attenzione: sono cambiati i termini per l'APPELLO di prevenzione ❌ ❌

 

Dal 12.04.25, in forza del d.l. 48/25, sono stati estesi i termini per proporre appello avverso la decisione dei Giudici di prevenzione . Infatti l'art. 7 del provvedimento di urgenza dispone che "al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, sono apportate le seguenti modificazioni: 

    a) all'articolo 10, comma 2, primo  periodo,  le  parole:  «dieci giorni» sono sostituite dalle seguenti: «trenta giorni».

La novella si applica anche all’appello avverso le decisioni  in tema di misure di prevenzione reale, in forza del richiamo operato dall'art. 27 al citato art. 10.

Diversamente non muta il comma 3 dell’art. 10 D.l.vo 159/2011 e quindi non variano i termini per proporre ricorso per cassazione (testo del decreto al link). 


24 febbraio 2025

Separazione delle carriere quali spunti possono trarsi dalla disciplina EPPO ? Un paio di domande a Amedeo Barletta*

A margine del convegno svoltosi a Trapani, il 06.02.2025, dal titolo "La Procura Europea: questioni applicative e garanzie difensive" e prendendo spunto dalla sua relazione, abbiamo chiesto al collega Amedeo Barletta qualche considerazione in tema della c.d. separazione delle carriere. 

Ringraziamo Amedeo, per essersi prestato a intervenire sul nostro blog.  


 Caro Amedeo, a Tuo avviso la normativa sulla Procura europea può offrirci qualche spunto di riflessione per il dibattito domestico sulla c.d. separazione delle carriere ? 


Il modello prescelto dalla UE per la creazione della Procura Europea (EPPO) deve sicuramente molto al sistema italiano, soprattutto quanto alla previsione di un Procuratore effettivamente a capo delle indagini e con un ben garantito statuto di indipendenza.
Tale inquadramento del resto è assolutamente coerente anche con la giurisprudenza elaborata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea che, pronunciandosi a proposito del rispetto dello stato di diritto, ha in piú occasioni riaffermato l'importanza di un ordine giudiziario indipendente e l'opportunitá di assicurare un particolare statuto di indipendenza sia esterna che interna anche per la magistratura requirente.
Tale indipendenza però può coniugarsi in modi diversi e del resto la stessa Procura europea introduce, nello stesso ordinamento italiano, un PM che ha uno statuto parzialmente diverso dal suo collega pienamente inquadrato nell'ordinamento giudiziario interno.
Il Procuratore europeo, e gli stessi procuratori europei delegati, hanno infatti uno status peculiare.
La posizione giuridica e disciplinare degli stessi é infatti, nel corso del mandato europeo, sottratta alla piena competenza del CSM. Il regime disciplinare applicabile è autonomo, cosí come il rapporto gerarchico con il vertice di EPPO che é strutturato in maniera sicuramente diversa rispetto al modello gerarchico in vigore nel sistema nazionale.
Il Regolamento UE prevede sostanzialmente un piú ampio margine per scelte di prioritá quanto all'esercizio dell'azione penale.
Il Regolamento UE 1939 del 2017 che disciplina EPPO prevede inoltre che il Procuratore capo renda conto annualmente delle proprie attivitá al Parlamento europeo. Si tratta di una previsione questa in linea con i principali ordinamenti costituzionali che prevedono che l'autoritá pubblica renda sempre conto alla assemblea rappresentativa dei popoli europei della propria atttivitá e del modo in cui vengono utilizzate le risorse pubbliche, non intaccando tale obbligo di rendicontazione l'indipendenza della istituzione. Si tratta però di una previsione assolutamente inedita per il nostro sistema costituzionale nazionale.
Il Regolamento prevede, inoltre, che sulla rimozione del Procuratore capo europeo e dei procuratori europei decida la Corte di giustizia UE su richiesta del Parlamento europeo, del Consiglio o della Commissione. Sulla base del Regolamento UE è possibile rimuovere dall’incarico il procuratore capo europeo  qualora si riscontri che questi non è più in grado di esercitare le proprie funzioni o che ha commesso una colpa grave.Lo stesso puó avvenire per i procuratori europei.

 

Al di là di ciò, qual è il tuo giudizio sul concreto profilo della separazione delle carriere disegnato dal progetto di riforma costituzionale al vaglio delle Camere ? 

La riforma dell'ordinamento giudiziario e della Costituzione finalizzata alla introduzione della separazione delle carriere rappresenta una naturale evoluzione del nostro ordinamento giudiziario al fine di allineare lo statuto del PM con la riforma costituzionale ormai ultraventennale dell'art. 111 e con il sistema processuale adottato con la riforma del codice di rito di fine anni '80.
Questo riallineamento non puó che passare attraverso una distinzione delle carriere e del sistema disciplinare tra Giudici e PM, oltre che attraverso una riforma del sistema di autogoverno necessaria anche alla luce delle distorsioni del sistema rappresentativo correntizio, che ha vissuto, almeno negli ultimi decenni, chiare ed innegabili degenerazioni corporative, al contempo dimostrando di non sapere garantire una piena indipendenza dei propri membri.
A tal proposito se il diritto UE generalmente vede con favore una maggioranza di togati nei consigli giudiziari, la nomina degli stessi puó seguire diverse modlaitá e vi sono sistemi quale quello spagnolo in cui tutti i membri del consiglio sono di nomina parlamentare, secondo una impostazione che sarebbe peró chiaramente incompatibile con la nostra Costituzione.
La riforma può anche consentire di recuperare un modello di giustizia disciplinare efficiente e responsabilizzante, anche alla luce dello stesso statuto di indipendenza della magistratura e dei complessi meccanismi che regolano la responsabilità anche civile dei membri dell'ordine giudiziario. A tal proposito sarebbe auspicabile estendere tale nuovo modello disciplinare anche alle altre magistrature repubblicane.

Il  modello italiano prevede  una magistratura autonoma ed indipendente, con un grado di indipendenza esterna assolutamente avanzato anche rispetto ai sistemi costituzionali degli altri paesi europei, ma con un sistema di indipendenza interna che ha evidenziato alcune criticità.
La sottoposizione delle carriere di magistrati giudicanti e requirenti a influenze reciproche quanto alle progressioni in carriera ed alla responsabilitá disciplinare, insieme al modello correntizio affermatosi negli ultimi 30/40 anni, produce  degli effetti perversi che la separazione dei consigli, la riforma della composizione degli stessi ed il nuovo modello disciplinare dovrebbe, nelle intenzioni del legislatore costituzionale, attenuare, al contempo favorendo, si spera, il rafforzamento di un'autentica cultura della tutela dei diritti in capo alla magistratura giudicante che troppo spesso, invece, appare attratta da logiche di prevenzione generale e speciale che poco le si attagliano.

Amedeo Barletta: Avvocato penalista. Esperto in materia penale ed in cooperazione giudiziaria europea ed internazionale. Attualmente co responsabile dell'Osservatorio Europa dell'Unione delle Camere Penali Italiane e Vice Presidente della European Criminal Bar Association.

31 gennaio 2025

"Favorevoli e contrari, hanno tutti ragione. E allora, uniamoci tutti!". Una proposta semiseria sulla separazione delle carriere. Di Guido Todaro*


Questo scritto vuole essere un intervento divertito e - si spera - divertente sul tema della separazione delle carriere.
Scriverne in modo serio è infatti esercizio ozioso e pericoloso: ozioso perché ne hanno scritto e detto tutti; pericoloso perché, ove si prenda posizione, il rischio è di sembrare partigiano, tifoso di una delle due "squadre" che, a suon di argomenti tecnici e politici, si contendono il campo.
 E allora, ecco l'idea: parlarne in modo scherzoso.
Si potrebbe obiettare che le facezie mal si addicono a una tematica così importante ove campeggiano la Costituzione, valori di civiltà democratica, la conformazione del processo penale, l'equilibrio di poteri, il benessere dei cittadini.
Ma, si sa, il confine tra serio e faceto è spesso labile: come ammoniva il marchese del Grillo, "quando si scherza, bisogna essere seri". Senza dimenticare Winston Churchill: "gli italiani perdono le guerre come se fossero partite di calcio e le partite di calcio come se fossero guerre".
Proviamo dunque ad abbozzare, per burla, una proposta originale: al più, per dirla con Sanial-Dubay, "chi cerca di parere originale, se non sempre vi riesce, è sicuro per lo meno di riuscire ridicolo", obiettivo programmatico di queste righe.

Così, mentre viene approvato dalla Camera dei deputati il 16 gennaio 2025, in sede di prima deliberazione, il testo della legge costituzionale contenente "Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare", mentre le toghe requirenti e giudicanti, ad onta della ventilata separazione, sfilano insieme in segno di protesta durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario sotto l'egida dell'ANM, mentre l'Unione delle Camere penali a suon di pamphlet stigmatizza la presa di posizione dei magistrati, mentre l'art. 111 Cost. è richiamato come un mantra da ambo i lati, mentre il magistero di Giovanni Falcone viene scandagliato in profondità per cercarne conferme o smentite, sorge un dubbio: e se avessero tutti ragione?

Chi vuole la separazione, ha argomenti forti, con radici robuste, che sembrano affondare, in effetti, nella legge fondamentale e nel modello accusatorio che caratterizza - almeno nelle sue linee essenziali - il nostro sistema processuale: ogni processo deve svolgersi nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale.
 La comune carriera di pubblici ministeri e giudici, l'essere altro dall'avvocato, sembra contraddire l'assunto: pubblici ministeri e giudici non sono uguali, ma sono più uguali di quanto non siano giudici e avvocati.
L'idea che un giudice possa acriticamente avallare l'iniziativa dell'organo requirente è strisciante: "non è vero, ma ci credo", per riprendere una nota commedia del Teatro Napoletano.
D'altra parte, è chiaro che l'equidistanza del giudice, riflesso di imparzialità, appare meglio assicurata se vi fosse uno iato secco tra organo giurisdizionale e attore istituzionale.
Un giudice, già in passato pubblico ministero, potrebbe essere portato a ricercare nel dibattimento prove, piste investigative, elementi d'accusa.
Un pubblico ministero, già giudice, potrebbe essere portato a pensare che gli atti d'indagine preliminare, tutti da verificare nel dibattimento nella dialettica tra le parti, siano già prove certe, che non ammettono repliche, e che la richiesta di rinvio a giudizio sia una sentenza.

Chi è contro la riforma e vuole mantenere l'attuale assetto, vanta argomenti altrettanto forti: separare le carriere non ha senso, si rischia di allontanare il pubblico ministero dalla cultura della giurisdizione, trasformandolo in un super poliziotto. Peggio: si indebolisce la magistratura, finendo col porre le premesse del controllo del pubblico accusatore da parte dell'esecutivo, incrinando l'equilibrio dei poteri e annacquandone l'indipendenza. Una involuzione della giustizia, insomma.

Per la verità, l'attuale riforma preserva l'indipendenza: in nuce, si rimarca che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, solo specificandosi che “è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente” (art. 3 del d.d.l., che sostituisce l’art. 104, co. 1, Cost.).
Nell’art. 107, co. 3 Cost., si introduce il principio delle “distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti”, la cui concreta declinazione risulta demandata alla legge ordinaria sia con riguardo alla disciplina del concorso (un unico concorso o due diversi?) sia in ordine alla competenza per la formazione dei magistrati (un’unica Scuola Superiore della Magistratura o due?).
Infine, all’unico organo di autogoverno della magistratura, il CSM, succedono tre nuovi organi: due CSM ed un’Alta Corte disciplinare.
Insomma, più che di minorata indipendenza, quest'ultima ne esce forse rafforzata e raddoppiata.

Ma... non è questo il punto.
Abbiamo detto che hanno tutti ragione, giusto?

E allora, volemose bene.
Anziché separare giudici e pubblici ministeri, uniamoci tutti: avvocati, magistrati giudicanti e requirenti in un unico ordine.
Scriviamo in Costituzione che facciamo tutti parte di un unico apparato, servente rispetto a ideali di giustizia.
Scriviamo in Costituzione che siamo tutti indipendenti e, nell'ambito delle rispettive funzioni, perseguiamo la verità e lottiamo per la libertà.
E, in questo utopico disegno, prevediamo un unico accesso, concorso o esame di Stato poco importa: un'unica carriera, quella di giurisperito, in cui si possa liberamente passare dal ruolo di avvocato a quello di giudice o requirente, e viceversa.
Un'unica anima in tre corpi diversi.
Ma, andiamo oltre - dopotutto, è un gioco - prevediamo che, non solo a livello ordinamentale, ma pure nell'ambito dello stesso processo, si possa passare da un ruolo ad un altro. Si pensi ad un pubblico ministero che, ad un certo punto, debba spogliarsi della veste dell'accusa e indossare la toga d'avvocato: forse, le sue granitiche certezze sulla colpevolezza dell'imputato lascerebbero lo spazio a tesi alternative, forse penserebbe che in realtà, tutto sommato, mica sono prove ma solo elementi di mero sospetto, forse l'innocenza gli sembrerebbe non meramente presunta ma certa.
Si pensi ad un avvocato che d'un tratto diventi accusatore: forse l'innocenza sembrerebbe meno importante quale valore da tutelare, forse, tutto sommato, diventerebbe prioritario salvaguardare la collettività e tutelare la vittima del reato, forse gli argomenti della difesa gli sembrerebbero, ora, meri esercizi teorici, suggestiva arte oratoria e nulla più.
E poi, il giudice che diventa avvocato: tutte le eccezioni rigettate a suo tempo, forse, potrebbero apparirgli lesive della funzione difensiva. Forse, il modo di condurre l'esame dei testi, effettuato dal nuovo organo giurisdizionale, fatto di reiterazione di domande, anche suggestive, lo porterebbe a pensare: però, perché a me non è permesso?
E avvocati che divengono giudici...
E così, a seguire, in un gioco di ruoli interscambiabili a cadenze asincrone, governato dal caos o, perché no, da indecifrabili algoritmi dell'intelligenza artificiale.
Del resto, Calamandrei osservava: “bisognerebbe che ogni avvocato, per due mesi all'anno, facesse il giudice; e che ogni giudice, per due mesi all'anno, facesse l'avvocato. Imparerebbero così a comprendersi e a compatirsi e reciprocamente si stimerebbero di più”.
A quel punto, in questa unione e commistione casuale di ruoli, l'imputato anelerebbe solo alcune cose: l'onestà intellettuale e la capacità di tutti gli attori.

E allora, uniamoci tutti, con onestà intellettuale e capacità, separandondoci da chi non coltiva l'onestà e lo studio. Separiamoci dagli incapaci.
Ecco, uniamo i capaci e separiamoli dagli incapaci: forse, saremo tutti d'accordo, e, certamente, così, si migliorerebbe la giustizia.

Ma siamo sicuri che saremo tutti d'accordo?
Forse sulla carta sì, ma vai a capire come decidere chi sia capace e chi non lo sia... ma questa è un'altra storia!

(*) Guido Todaro: Avvocato del Foro di Bologna, Cassazionista, Specialista in Diritto Penale, è Dottore di Ricerca in Diritto e Processo Penale presso l’Università di Bologna, nonché Professore a contratto di Procedura Penale presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali afferente alla medesima Università.
È componente del Comitato di Gestione della Scuola Territoriale della Camera Penale di Bologna “Franco Bricola”, nonché membro della Redazione della Rivista Cassazione penale e Caporedattore della Rivista La Giustizia Penale.
È Autore di oltre 60 pubblicazioni in riviste scientifiche, nonché coautore del libro “La difesa nel procedimento cautelare personale”, Giuffrè, 2012, e con-curatore del Volume “Custodia cautelare e sovraffollamento carcerario”, Studi Urbinati, v. 65, n. 1, 2014.

 

 

29 novembre 2024

Separazione delle carriere: il sì convinto del Professor Ludovici*

 

Professore, al di là dei contenuti del disegno di legge costituzionale 1917 A.C., Lei è in linea di principio favorevole o contrario alla separazione delle carriere?

Sono senz’altro favorevole alla separazione delle carriere perché, in un assetto processuale imperniato sulla separazione delle funzioni, è quantomai incongrua l’idea che giudicanti e requirenti restino invece perfettamente uniti sul piano ordinamentale.

Taluni lamentano che la riforma sia estranea ai problemi della giustizia. Ma non si potrebbe obiettare che essa abbia a che fare con le garanzie processuali e quindi con la stessa nozione di giustizia?

Bisogna essere chiari. Quella sulla separazione delle carriere è una battaglia di civiltà giuridica perché un giudice non potrà mai essere o comunque apparire realmente terzo ed imparziale come impone la Costituzione – specialmente agli occhi dei cittadini che si trovano a dover entrare in contatto con il circuito giudiziario - fino a quando continuerà a condividere con una parte processuale tutto ciò che lo riguarda al di fuori del processo, dalla preparazione e partecipazione al concorso, alle attività formative, alla gestione e alla valutazione delle carriere, fino al momento cruciale del controllo disciplinare.   

Guardiamo adesso al disegno di legge del Governo: si prevede l’introduzione di due CSM i cui membri saranno estratti a sorte. Tale modalità di formazione dei consigli superiori la convince?

Si tratta di una modalità che, pur mortificando il principio democratico, si presta se non altro a superare le criticità e i rischi che hanno dimostrato di annidarsi negli interstizi e nelle fragilità dell’assetto vigente.

Con specifico riguardo alla “gemmazione” del CSM è possibile che un CSM di soli requirenti galvanizzi la componente meno garantista dei pubblici ministeri?

Questa preoccupazione la trovo totalmente infondata. Per formazione culturale e per ruolo istituzionale, il pubblico ministero persegue l’interesse pubblico la cui realizzazione passa necessariamente attraverso il rigoroso rispetto delle garanzie processuali che la legge, in attuazione della Carta costituzionale, riconosce all’imputato. Su questo punto, la struttura e la composizione dell’organo di autogoverno non possono e non devono incidere in alcun modo.

Il D.d.l. prevede la separazione dei consigli, ma assegna ad un organo unitario - l’Alta Corte- la competenza disciplinare per giudicanti e requirenti, concorda con questa soluzione?

Francamente, al netto di comprensibili esigenze semplificatorie, mi sembra una soluzione disallineata rispetto allo spirito generale della novella, dal sapore sostanzialmente compromissorio.

L’art. 106 cost. riformato affida al CSM giudicante la nomina dei consiglieri di cassazione, ponendo sullo stesso piano magistrati requirenti e avvocati. Potrebbe mutare qualcosa nella cultura della Cassazione?

E’ il logico svolgimento della separazione ordinamentale delle due carriere. Quello che però auspico è che la riscrittura dell’art. 106 Cost. possa in qualche modo fare da volano per una maggiore transizione degli avvocati nei ruoli della magistratura di legittimità: come i padri costituenti avevano felicemente intuito, la Corte di Cassazione, per assolvere al meglio alla sua funzione di organo di vertice della giurisdizione, ha bisogno di poter attingere alle sensibilità di tutti gli studiosi e operatori del diritto, compresi naturalmente gli esponenti della classe forense, quali insostituibili conoscitori della dimensione umana delle norme e del peso esistenziale della giustizia.

(*) Luigi Ludovici: c.v. al link (per il c.v. clicca qui)

14 ottobre 2024

Separazione delle carriere: ma davvero il numero di proscioglimenti confuta la necessità della riforma ?

 


Tra coloro che avversano la riforma delle carriere dei magistrati, alcuni invocano l’alto numero dei proscioglimenti.

La tesi è stata propugnata recentemente dal professor Mitja Gialuz in un articolo pubblicato su Sistema penale[1]. L’accademico sostiene che <<la percentuale di assoluzioni pronunciate in prime cure sembra sconfessare in modo oggettivo il denunciato appiattimento del giudice sul PM: nel 2019, il 50% delle pronunce del tribunale monocratico è dato da proscioglimenti, di cui 39% di assoluzioni nel merito; nel collegiale i proscioglimenti (sempre nello stesso anno) sono stati il 35%>>[2]. Si tratta di un dato statistico già riportato nella monografia “Giustizia per nessuno[3] e ripreso, in questo blog, dal Presidente della sezione distrettuale dell’ANM, dr. Giuseppe Tango. 

Personalmente ritengo il riferimento alle percentuali di prosciolti e condannati privo di una qualche forza persuasiva rispetto al tema che ci impegna, verosimilmente dovendosi collegare i dati statistici al concreto assetto delle varie tipologie processuali, soprattutto ai riti alternativi ampiamente intesi. Del resto nella citata monografia si spiegava lo scarso numero di proscioglimenti in Francia, dato oggi menzionato per avversare la riforma, richiamando anche il significativo successo di "schemi accelerati consensuali" che quasi mai terminano con un esito liberatorio [4].

Ma, in ogni caso, a volere sostenere che la percentuale di prosciolti rivesta una qualche valenza  euristica rispetto alla separazione delle carriere, non pare  che il dato statistico conforti le posizioni di chi avversa la riforma.  

Anzitutto il dato richiamato dal prof, Gialuz si riferisce agli esiti del solo processo ordinario[5].Ma al di là di ciò, proprio leggendo la monografia prima citata, ci si può accorgere che la percentuale di condanne definitive dal 1987 al 1993 crebbe di ben 43 punti percentuali, passando dal 35 al 78%[6] e mantenendosi su tali livelli per almeno 3 anni[7]. Si noti peraltro che il residuo 22% riguardava tutte le formule di proscioglimento, sicchè il numero di assoluzioni risultava ancora minore.

Allora, ad allargare lo sguardo ad altre annualità rispetto a quella citata dal professor Gialuz, si dovrebbe concludere come periodicamente ricorra il “denunciato appiattimento”, per riprendere il sintagma impiegato dall'accademico. Sarebbe peraltro interessante analizzare come mai il consistente incremento di condanne prima riportato si sia verifcato in una stagione particolare della nostra storia giudiziaria, come quella dei primi anni '90.

E’ necessario poi svolgere un’ulteriore considerazione. Se gli esiti definitori del primo grado di giudizio costituiscono la cartina tornasole dell’indipendenza dei giudici, l’unico esito che si dovrebbe richiamare è quello assolutorio e non certamente i proscioglimenti in generale.  

Al riguardo nell’articolo pubblicato su Sistema Penale si indica che nel 2019, a fronte del 50% di proscioglimenti innanzi al Tribunale monocratico, le assoluzioni ne costituivano il 39%, diversamente per il Tribunale collegiale si riporta il solo dato aggregato dei proscioglimenti. Tuttavia i dati mancanti si possono ricavare proprio dalla citata monografia, ove può rilevarsi come innanzi al Tribunale collegiale le assoluzioni nel 2019 rappresentavano il 30% dei proscioglimenti e innanzi alla Corte di assise appena il 21% di questi.

Ora, è agevole cogliere che, nell’anno preso in considerazione dal professor Gialuz, le assoluzioni ex art. 530 c.p.p. erano pur sempre inferiori al 20% di tutti gli esiti definitori. 
Davvero sono percentuali così rilevanti da potere confutare in modo oggettivo e definitivo gli argomenti dei riformatori, per come preteso dai detrattori della riforma?
 
In sintesi, se si dovesse aderire alla prospettiva che il numero dei proscioglimenti abbia un valore nel tema che ci occupa, lo rivestirebbero a sostegno della riforma e non contro di essa.  



[1] M. GialuzOtto proposizioni critiche sulle proposte di separazione delle magistrature requirente e giudicante”, in Sistema penale, 30.09.2024.

[2] M. GialuzOtto proposizioni critiche sulle proposte di separazione delle magistrature requirente e giudicante”, in Sistema penale, 30.09.2024.

[3] M. Gialuz – J. Della Torre, “Giustizia per nessuno”, p. 149.

[4] M. Gialuz – J. Della Torre, “Giustizia per nessuno”, p. 153.

[5] Lo si ricava combinando le tabelle n. 30 e 31 riportate rispettivamente a pag. 147 e 149 della citata monografia.

[6] Cfr. M. Gialuz – J. Della Torre, “Giustizia per nessuno”, p. 146.

[7] La tabella riportata nel testo citato si arresta al 1995, seguendo poi altra tabella a far data dal 2010.    

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