15 ottobre 2024

Frode in pubbliche forniture: qual è il momento consumativo ? La Corte sposta in avanti il tempo della perpetrazione e ripete il suo dictum sul 521 c.p.p.


La Corte di cassazione, investita della questione del momento consumativo del reato di cui all'art. 356 c.p., ha <<rammentato che la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che il momento consumativo del reato di cui all'art. 356 cod. pen., nel caso di prestazioni complesse e progressive, coincide con il momento in cui la P.A. è messa in condizione di compiere le attività di verifica e controllo (Sez. 6, n. 9081 del 23/11/2017, dep. 2018, Rv. 272384). Il momento consumativo presuppone infatti il compimento di una attività di verifica svolta dal contraente pubblico in grado di disvelare il mancato adempimento del contratto nei suoi profili essenziali, che viene fatto coincidere con la contestazione di specifici vizi o inadempienze all'appaltatore, non essendo sufficiente una qualsiasi difformità nell'esecuzione della prestazione o la mera interlocuzione fra le parti (Sez. 6, n. 38346 del 15/05/2014, Rv. 260269)>>. (sentenza al link)

La sentenza si segnala inoltre per avere ribadito la posizione, invero scarsamente garantisca della giurisprudenza di legittimità, in tema di violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza ex art. 521 c.p.p.. Infatti la Corte ha affermato che  <<l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051)>>. 

Si tratta di una affermazione largamente diffusa in giurisprudenza, ma nienete affatto condivisibile. Sul tema rimettiamo alle osservazioni svolte nel convegno "L'imputazione in cerca di una fisionomia", (trascrizione al link), limitandoci a rilevare che la difesa si estrinseca nella sua pienezza attraverso una serie di scelte operate sulla scorta della "imputazione contestata" (così la rubrica dell'art. 521 c.p.p.), se la nozione di imputazione coincide con ciò che emerge nel processo, salvo il limite di trasformazioni radicali, non vi è nessuna reale scelta difensiva.       

14 ottobre 2024

Separazione delle carriere: ma davvero il numero di proscioglimenti confuta la necessità della riforma ?

 


Tra coloro che avversano la riforma delle carriere dei magistrati, alcuni invocano l’alto numero dei proscioglimenti.

La tesi è stata propugnata recentemente dal professor Mitja Gialuz in un articolo pubblicato su Sistema penale[1]. L’accademico sostiene che <<la percentuale di assoluzioni pronunciate in prime cure sembra sconfessare in modo oggettivo il denunciato appiattimento del giudice sul PM: nel 2019, il 50% delle pronunce del tribunale monocratico è dato da proscioglimenti, di cui 39% di assoluzioni nel merito; nel collegiale i proscioglimenti (sempre nello stesso anno) sono stati il 35%>>[2]. Si tratta di un dato statistico già riportato nella monografia “Giustizia per nessuno[3] e ripreso, in questo blog, dal Presidente della sezione distrettuale dell’ANM, dr. Giuseppe Tango. 

Personalmente ritengo il riferimento alle percentuali di prosciolti e condannati privo di una qualche forza persuasiva rispetto al tema che ci impegna, verosimilmente dovendosi collegare i dati statistici al concreto assetto delle varie tipologie processuali, soprattutto ai riti alternativi ampiamente intesi. Del resto nella citata monografia si spiegava lo scarso numero di proscioglimenti in Francia, dato oggi menzionato per avversare la riforma, richiamando anche il significativo successo di "schemi accelerati consensuali" che quasi mai terminano con un esito liberatorio [4].

Ma, in ogni caso, a volere sostenere che la percentuale di prosciolti rivesta una qualche valenza  euristica rispetto alla separazione delle carriere, non pare  che il dato statistico conforti le posizioni di chi avversa la riforma.  

Anzitutto il dato richiamato dal prof, Gialuz si riferisce agli esiti del solo processo ordinario[5].Ma al di là di ciò, proprio leggendo la monografia prima citata, ci si può accorgere che la percentuale di condanne definitive dal 1987 al 1993 crebbe di ben 43 punti percentuali, passando dal 35 al 78%[6] e mantenendosi su tali livelli per almeno 3 anni[7]. Si noti peraltro che il residuo 22% riguardava tutte le formule di proscioglimento, sicchè il numero di assoluzioni risultava ancora minore.

Allora, ad allargare lo sguardo ad altre annualità rispetto a quella citata dal professor Gialuz, si dovrebbe concludere come periodicamente ricorra il “denunciato appiattimento”, per riprendere il sintagma impiegato dall'accademico. Sarebbe peraltro interessante analizzare come mai il consistente incremento di condanne prima riportato si sia verifcato in una stagione particolare della nostra storia giudiziaria, come quella dei primi anni '90.

E’ necessario poi svolgere un’ulteriore considerazione. Se gli esiti definitori del primo grado di giudizio costituiscono la cartina tornasole dell’indipendenza dei giudici, l’unico esito che si dovrebbe richiamare è quello assolutorio e non certamente i proscioglimenti in generale.  

Al riguardo nell’articolo pubblicato su Sistema Penale si indica che nel 2019, a fronte del 50% di proscioglimenti innanzi al Tribunale monocratico, le assoluzioni ne costituivano il 39%, diversamente per il Tribunale collegiale si riporta il solo dato aggregato dei proscioglimenti. Tuttavia i dati mancanti si possono ricavare proprio dalla citata monografia, ove può rilevarsi come innanzi al Tribunale collegiale le assoluzioni nel 2019 rappresentavano il 30% dei proscioglimenti e innanzi alla Corte di assise appena il 21% di questi.

Ora, è agevole cogliere che, nell’anno preso in considerazione dal professor Gialuz, le assoluzioni ex art. 530 c.p.p. erano pur sempre inferiori al 20% di tutti gli esiti definitori. 
Davvero sono percentuali così rilevanti da potere confutare in modo oggettivo e definitivo gli argomenti dei riformatori, per come preteso dai detrattori della riforma?
 
In sintesi, se si dovesse aderire alla prospettiva che il numero dei proscioglimenti abbia un valore nel tema che ci occupa, lo rivestirebbero a sostegno della riforma e non contro di essa.  



[1] M. GialuzOtto proposizioni critiche sulle proposte di separazione delle magistrature requirente e giudicante”, in Sistema penale, 30.09.2024.

[2] M. GialuzOtto proposizioni critiche sulle proposte di separazione delle magistrature requirente e giudicante”, in Sistema penale, 30.09.2024.

[3] M. Gialuz – J. Della Torre, “Giustizia per nessuno”, p. 149.

[4] M. Gialuz – J. Della Torre, “Giustizia per nessuno”, p. 153.

[5] Lo si ricava combinando le tabelle n. 30 e 31 riportate rispettivamente a pag. 147 e 149 della citata monografia.

[6] Cfr. M. Gialuz – J. Della Torre, “Giustizia per nessuno”, p. 146.

[7] La tabella riportata nel testo citato si arresta al 1995, seguendo poi altra tabella a far data dal 2010.    

11 ottobre 2024

Giudice esecuzione - pluralità di provvedimenti-rileva data istanza

 La Corte di cassazione ha precisato che ai fini della individuazione del giudice competente, per il caso di esecuzione di più provvedimenti emessi da giudici diversi,  la competenza funzionale del giudice dell'esecuzione a provvedere <<si radica al momento della presentazione della domanda e non subisce mutamenti per effetto del successivo passaggio in giudicato di altra sentenza di condanna, in ossequio al principio della perpetuatio iurisdictionis>>.   (provvedimento al link)

10 ottobre 2024

Separazione delle carriere: 5 domande al Presidente di ANM Palermo- dr. Giuseppe Tango*-.



In conformità allo spirito di questo blog, abbiamo cercato di comprendere le ragioni altrui in ordine alla separazione delle carriere. A tal fine abbiamo posto alcuni quesiti al Presidente della sezione distrettuale dell'ANM di Palermo.


Presidente Tango, muoviamo da una domanda preliminare: ANM è contraria a questa proposta governativa di riforma costituzionale (n.1917 A.C.) oppure alla separazione delle carriere ex se

R: Come magistratura associata non possiamo che mostrare tutta la nostra ferma contrarietà e non per entrare in logiche di gratuita contrapposizione, ma perché la riforma assume una tale gravità che non possiamo non pronunciarci a difesa dei valori costituzionali – primo fra tutti di uguaglianza del cittadino di fronte alla legge- che verrebbero certamente intaccati.

In altre parole, ogni volta che sono in pericolo la nostra Carta Costituzionale, i valori ivi consacrati e le libertà di tutti i cittadini, l’ANM non può non intervenire, esercitando il diritto, riconosciuto dalla Costituzione, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nell’ovvio rispetto della potestà legislativa del Parlamento.


Presidente, ma per voi l’ordinamento giudiziario può rimanere indifferente al tipo processuale adottato, soprattutto dopo la riforma dell’art. 111 Cost. ? 

R: La domanda semmai è un’altra: la separazione delle carriere è necessaria per attuare il modello accusatorio o comunque imposta dall’art. 111 Cost.?

Fermo restando che un modello accusatorio “puro” è assai difficile da riscontrare anche nelle esperienze concrete comparatistiche (e quello statunitense, con il quale si guarda con tanta simpatia, presenta degli elementi ad oggi incompatibili con il nostro sistema, quale la esistenza di una giuria, il trattarsi di una “giustizia negoziata” e non di processi, ecc.), l’art. 111 Cost., laddove parla di un giudice “terzo ed imparziale”, utilizza un’endiadi che indica la neutralità del giudice rispetto alla “res iudicanda”, scevro da interessi propri e sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia su cui pronunciarsi.

La verità è che tale rischio va ridimensionato attraverso il rafforzamento delle garanzie processuali, mentre non c’entra nulla lo status ordinamentale. Infatti, l’effettiva terzietà del giudice dipende da dinamiche interne al procedimento: dalla disciplina della competenza e dai presidi sanzionatori delle incompatibilità; dall’effettività del contraddittorio; dalla qualità della motivazione; dalla fisionomia dei controlli in sede di impugnazione.

Detto altrimenti: ci si illude che intervenendo sull’ordinamento si rafforzi il giudice, il quale, finirà, al contrario, per essere indebolito.

A fronte dei paventati timori di soggezione del Pubblico Ministero al potere esecutivo, non è un argine sufficiente la previsione costituzionale dell’art. 104 Cost., che rimarrà invariata, secondo cui “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”?

R: Lo sarebbe nell’immediato, ma cosa accadrà con la creazione di un CSM della magistratura requirente?

In tal senso un’analisi lucidissima è stata compiuta in tempi non sospetti da Vittorio Grevi, il quale metteva in guardia dal «pericolo di un corpo separato di magistrati del pubblico ministero. Un corpo di magistrati privi di cultura giurisdizionale e fortemente aggregati, in sintonia con la mentalità dominante presso gli organi di polizia giudiziaria, nell’ottica di un ruolo di “avvocati dell’accusa” pressoché aprioristicamente indirizzati verso l’obiettivo accusatorio».

A quel punto è facile preconizzare che l’accresciuto ruolo e peso della magistratura requirente costringerà il potere politico (e non mi sto riferendo necessariamente all’attuale compagine governativa) ad intervenire nuovamente, per ricondurre la corporazione dei PM al circuito democratico, verosimilmente sottoponendola all’esecutivo.

 

Un altro rischio che viene spesso invocato contro la separazione delle carriere è quello della trasformazione cui andrebbe incontro il Pubblico Ministero, perdendo la cultura giurisdizionale. Al riguardo Le chiedo un chiarimento: siamo sicuri che attualmente non possa esserci un rischio opposto, cioè un’attrazione del Giudice nella cultura dell’inquisitorietà del requirente?

R: I magistrati, per espressa volontà dei nostri saggi padri costituenti, appartengono allo stesso ordine giudiziario e condividono la medesima cultura della giurisdizione.

Si tratta di un modello che ci invidiano anche all’estero e che è sicuramente garanzia di maggiore qualità della giustizia e tutela per il cittadino.

Ritenere che pubblico ministero ed avvocato ad oggi non abbiano lo stesso peso davanti al giudice è una considerazione assolutamente errata. 

Si tratta di un’argomentazione, che – se letta in buona fede – non tiene conto del diverso ruolo che l’avvocato ed il pubblico ministero esercitano: l’avvocato è chiamato a difendere gli interessi di una parte e cercare la soluzione più conveniente per il suo cliente (a prescindere dalla colpevolezza o meno), mentre il PM deve in ogni caso ricercare la verità dei fatti. Se quest’ultimo nel corso delle indagini o addirittura a processo avviato, si rende conto che non ci sono elementi per sostenere validamente l’accusa, dovrà chiedere rispettivamente l’archiviazione o l’assoluzione.

Se addirittura letta in mala fede, si sarebbe indotti a pensare che l’autore della riforma sospetti che un giudice possa farsi condizionare nel suo libero convincimento dal rapporto di colleganza che ha con il PM: il che oltre ad essere estremamente offensivo nei confronti di chi ha giurato sulla Costituzione, è all’evidenza smentito dai numerosi procedimenti conclusisi con una assoluzione (nel 2019, per esempio, si è registrato il 50% delle pronunce di proscioglimento del tribunale monocratico e il 35% di quelle collegiali; molto più di quanto non abbiano fatto i giudici francesi, che pur non sono colleghi in senso stretto del PM).

Peraltro, queste considerazioni dovrebbero a maggior ragione valere per il giudice dell’impugnazione, che rimarrà collega del giudice di primo grado anche dopo la separazione delle carriere: la loro colleganza ha mai inficiato l’imparzialità e la terzietà del giudice del controllo? Anche in questo caso un’analisi accurata dei dati statistici ci restituisce una realtà ove i giudici di appello non si fanno scrupoli a riformare le sentenze dei colleghi di primo grado.

La parità tra le parti da garantire – ribadisco- deve essere semmai quella endoprocessuale attraverso le regole del processo. 

 

In ogni caso, anche se il Pubblico Ministero dovesse trasformarsi in un “avvocato dell’accusa”, la sua dimensione pubblica non integrerebbe una garanzia contro la violazione dell’imparzialità?

R: Questo ragionamento è agevolmente ribaltabile. Anche adesso è innegabile la dimensione pubblica del Pubblico Ministero, eppure i fautori della riforma sostengono che ciò non sia sufficiente come garanzia contro la (presunta) violazione dell’imparzialità.

In realtà, il rischio è quello di creare un corpo autoreferenziale di “superpoliziotti”, scevro da qualsiasi potere ed imbevuto di cultura poliziesca: questo potrebbe essere un problema per la tenuta democratica del Paese. Basti pensare al caso “Costa”, avvenuto l’anno scorso in Portogallo, proprio uno dei pochissimi Paesi in Europa ad aver adottato un modello con due CSM (analogo a quello proposto con la riforma in questione). In particolare, il premier portoghese si è dimesso in seguito ad un’indagine, salvo poi scoprire che la Procura portoghese aveva commesso un errore di trascrizione nelle intercettazioni. È davvero questo il modello che si vuole seguire, a fronte di raccomandazioni del Consiglio di Europa a favore dell’unicità della carriera?

In sintesi, laddove in concreto è stato adottato il modello delineato dalla riforma (con l’istituzione di due CSM) non si è registrato un risultato significativo in termini di miglioramento della qualità della giustizia o dei rapporti magistratura-politica.

Il paradosso è che mentre la comunità internazionale viaggia verso il nostro modello ordinamentale, da noi invece viene messo in discussione e rischiamo di disperderlo.

 

 * Il Dr. Giuseppe Tango è Presidente della sezione distrettuale dell'ANM di Palermo e Giudice del lavoro presso il Tribunale di Palermo.

 


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