21 novembre 2024

Formalità querela ai fini della sua esistenza.

 

 

Per la quinta sezione della Corte di cassazione, la querela priva di autentica, per quanto depositata da un avvocato esplicitamente delegato al deposito e che abbia firmato digitalmente al fine di procedervi, è inesistente.  

Nel caso di specie, l'avvocato, non difensore, era stato delegato al deposito e vi aveva proceduto a mezzo pec, apponendo la sua firma digitale. Tuttavia tale procedura non integra una forma di autentica, non provenendo da un difensore e pertanto la querela risultava recapitata in violazione delle regole di cui all'art. 337 comma 1, secondo cui ai fini del recapito della querela è necessaria la sottoscrizione autenticata (sentenza al link).    

20 novembre 2024

L'informatica, la modernità e la passione per la ceralacca

 


Pubblichiamo la (corretta) sentenza della Corte di Cassazione che ha annullato con rinvio una pronuncia che aveva dichiarato erroneamente la inammissibilità dell'appello per questioni informatiche.

Ci vuol poco a supporre cosa sia accaduto nel caso di specie: il solerte cancelliere, visto l'atto di appello privo di coccarda (era firmato in Cades con estensione p7m) lo aveva segnalato al giudice che, altrettanto solertemente, aveva dichiarato l'inammissibilita dell'appello.

E' dovuta intervenire la Corte di Cassazione per ricordare che:

<< ... il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Catania dichiarava inammissibile l'appello per ritenuta mancanza della sottoscrizione dell'atto, presentato telematicamente nell'interesse di Giuseppe Di Bella, avverso il provvedimento di proroga della misura di sicurezza emesso dal Magistrato di sorveglianza di Catania
2. Giuseppe Di Bella ricorre per cassazione, tramite rituale ministero difensivo, affidandosi a un unico motivo. Con tale motivo, il difensore dell'interessato denuncia la violazione di legge in relazione all'art. 24, comma 6-sexies, lett. a), d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, avuto riguardo alla ritenuta mancanza di sottoscrizione digitale dell'atto che, invece, sarebbe stata regolarmente apposta come verificabile dal nome del documento trasmesso telematicamente in formato *.pdf nativo avente il suffisso certificativo dell'estensione informatica del file quale *.p7m, legalmente sottoscritto in formato digitale mediante sistema Cades-bes come risultante dal relativo certificato rilasciato da ente legalmente riconosciuto in modo conforme alla deliberazione CNIPA 21 maggio 2009, n. 45. 
3. Il Procuratore generale, intervenuto con requisitoria scritta, ha chiesto l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. 
CONSIDERATO IN DIRITTO 
1. Il ricorso è fondato, quindi, meritevole di un accoglimento.  
2. Dall'esame dell'atto impugnato emerge che l'inammissibilità è stata fondata sulla ritenuta mancanza della firma digitale "(o anche di firma autografa)", richiamati gli artt. 24, comma 6-sexies, lett. a), e 3, comma 1, d.l. n. 137 del 2020, nonché il provvedimento del 9 novembre 2020 della Direzione generale dei sistemi informativi e automatizzati. Il messaggio d'invio dell'atto di appello, trasmesso via PEC dall'Avv. Noè all'ufficio preposto alla ricezione degli atti e allegato al ricorso, indica la presenza di un allegato di tipo pdf.p7m. Tale tipo di documento individua i file nativi pdf, recanti firma digitale. L'affermazione del Tribunale di sorveglianza è smentita dalla documentazione allegata al ricorso da parte del difensore, il quale ha dimostrato non solo la natura del file (pdf nativo con sottoscrizione digitale), ma anche l'attendibilità e la validità del certificato della firma in formato Cades-bes. Come correttamente rilevato dal Procuratore generale, solo l'atto - depositato telematicamente - quando risulti privo di firma digitale può essere considerato inammissibile ai sensi dell'art. 24, comma 6-sexies lett. a), legge n. 176 del 2020, non potendosi, in omaggio al principio di tassatività, applicare la sanzione processuale prevista per tale omissione a un'ipotesi non prevista dalla legge, quale è l'atto con firma digitale non riconosciuta. Diversamente, come già affermato da questa Corte con Sez. 4, n. 43976 del 26/09/2023, Rv. 285483, al fine della verifica della sussistenza della firma digitale su un atto di impugnazione, non si richiedono accertamenti ulteriori nel caso in cui risulta che il "file" abbia estensione "pdf.p7m", posto che questa è, di per sé, probante dell'avvenuta firma digitale. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto ammissibile il ricorso, documentato da file avente detta estensione, trasmesso dal difensore a mezzo PEC). 
3. Sulla base delle precedenti considerazioni deriva l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Catania. 
P.Q.M. annulla il provvedimento impugnato con rinvio ... >>.


La sentenza sembra accordare prevalenza alla firma digitale in CAdES, ma noi abbiamo buona memoria e ricordiamo il caso del collega romano che si vide dichiarare la inammissibilità dell'appello, spedito in CAdES, che la cancelleria non era riuscita ad aprire, pregando il difensore di re-inviarlo in formato PAdES (l'invio era avvenuto tardivamente e l'impugnazione era stata dichiarata inammissibile). 
Continuiamo dunque a suggerire il PAdES per l'invio di atti con firma digitale: è più semplice da aprire; è sostanzialmente un pdf e ... reca la coccardina tanto cara ai nostalgici della ceralacca.
Va detto, infine, che l’utilizzo del portale pone al riparo dalle conseguenze qui esaminate: è il sistema che riconosce l’atto firmato digitalmente, quale che sia il formato prescelto dal depositante. 

19 novembre 2024

ESTINZIONE DEL REATO E TERMINI PER LA RIPARAZIONE DEL DANNO






La Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 35, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, nella parte in cui stabilisce che, al fine dell'estinzione del reato, le condotte riparatorie debbano essere realizzate «prima dell'udienza di comparizione», anziché «prima della dichiarazione di apertura del dibattimento».

Il giudice di pace di Forli, nel sollevare la questione, aveva censurato lo sbarramento temporale che imponeva, prima dell'udienza di comparizione, l'adempimento delle condotte risarcitorie e riparatorie del danno conseguente al reato, da lui commesso, deducendo che il predetto limite temporale fosse in sé irragionevole e tale da determinare una disparità di trattamento rispetto agli imputati dei reati di competenza del Tribunale, per i quali la riparazione integrale del danno è ammessa fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 162-ter cod. pen.).

La Corte ha ritenuto fondata la censura sotto il profilo della dedotta violazione del principio di ragionevolezza, osservando, in particolare, l'incoerenza del termine finale previsto dalla disposizione censurata rispetto al peculiare ruolo di "mediatore" del giudice di pace, il quale giudica reati di ridotta gravita, espressivi di conflitti interpersonali a carattere privato e alla finalità di semplificazione, snellezza e rapidità che connota il procedimento che innanzi a lui si svolge.




18 novembre 2024

Riduzione pena sotto i due anni per mancata impugnazione: il giudice dell'esecuzione NON può sospendere la sanzione.

 

Per la prima sezione della Corte, il giudice dell'esecuzione non può riconoscere il beneficio della sospensione della pena, a seguito di rideterminazione della stessa, ai sensi dell'art. 442, comma 2 bis, e 676, comma 3 bis, difettando al riguardo una esplicita previsione di legge. Nè, ad avviso della Corte, al giudice de quo è concesso un generale potere di rivisitazione del punto inerente alla concessione del beneficio della sospensione. 

Con riguardo ad altro aspetto, la Corte ha rilevato che <<l'estinzione degli effetti penali conseguente, ai sensi dell'art. 445, comma 2, cod. proc. pen., all'utile decorso del termine di due o cinque anni (secondo che si tratti di delitto o di contravvenzione), deve intendersi limitata, con riferimento alla reiterabilità della sospensione condizionale, ai soli casi in cui sia stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, con la conseguenza che, ove sia stata applicata una sanzione detentiva, di questa occorre comunque tenere conto ai fini della valutazione, imposta dagli artt. 164, ultimo comma, e 163 cod. pen. circa la concedibilità di un secondo beneficio (Sez. U, n. 31 del 22/11/2000, dep. 2001, Sormani, Rv. 218529 - 01; fra le successive, Sez. 1, n. 47647 del 18/04/2019, Mkarrem El Mostafa, Rv. 277457 - 01; Sez. 6, n. 27589 del 22/03/2019, P., Rv. 276076 - 01)>>.   (sentenza al link)

Tuttavia proprio su questo aspetto si sottolinea che recentemente, (Sez. 1 Num. 15867 Anno 2024), per come segnalato, la medesima prima sezione era addivenuta alla soluzione opposta (nostro post al link).

15 novembre 2024

Correlazione tra imputazione contestata e sentenza e il mutamento del fatto nel delitto di bancarotta fraudolenta

 



In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione. (Fattispecie relativa a contestazione del delitto di bancarotta post-fallimentare qualificato dalla S.C. come bancarotta prefallimentare). (Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010, dep. 13/10/2010).

Corte Suprema di Cassazione - Sezione Seconda Penale - Sentenza n. 39751 del 29 ottobre 2024 al link



14 novembre 2024

❌ULTIM'ORA❌ Nuove cause di incompatibilità (ex addenda art. 34 c.p.p.per incostituzionalità). La sentenza n. 179/2024 della Corte Costituzionale

 


Diamo notizia del deposito della sentenza n. 179/2024 udienza del 15/10/2024, depositata oggi 14/11/2024, della Corte Costituzionale (al link) e relativa all'ennesima decisione additiva della Corte Costituzionale riguardante l'art. 34 c.p.p..

Sebbene siano ormai noti i princìpi - in sintesi: esaurisce la sua imparzialità il giudice che,  nel medesimo procedimento, abbia espresso un giudizio di merito - a seguito della riforma Cartabia, la Corte Costituzionale è stata nuovamente investita della questione di legittimità costituzionale dell'art 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al successivo giudizio dibattimentale il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale che abbia fissato la data dell’udienza dibattimentale davanti ad un giudice diverso, per la prosecuzione del giudizio.

Premesso dunque che il giudizio predibattimentale è di "merito", la Corte Costituzionale ha conseguentemente dichiarato la illegittimità della norma nella parte in cui non prevede l'incompatibilità.

Nell'occasione, la Corte Costituzionale ha esteso la regola di incostituzionalità, e dunque di incompatibilità, al giudice di appello chiamato a pronunciarsi sulla sentenza di non luogo a procedere, ove la medesima persona fisica abbia celebrato l'udienza predibattimentale.

In particolare la Corte:

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale nel caso previsto dall’art. 554-ter, comma 3, cod. proc. pen.;

2) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non può partecipare al giudizio il giudice dell’udienza di comparizione predibattimentale nel caso previsto dall’art. 554-quater, comma 3, cod. proc. pen.

La sentenza n. 179/2024 udienza del 15/10/2024, depositata il 14/11/2024, al link.


Delitti del 570 e del 570 bis c.p.: quando sussiste il concorso formale

 




Nel caso di contestazione avente a oggetto la condotta del genitore separato che fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, omettendo di versare l’assegno di mantenimento, deve ritenersi integrato esclusivamente il reato di cui all’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen., nel quale è assorbita (ex art. 15 cod. pen.) la violazione meno grave prevista dall’art. 570-bis cod. pen., in quanto, alla materia che accomuna entrambe le fattispecie (obbligo di assistenza materiale, quale proiezione del dovere di cura) solo nel primo caso si aggiunge l’elemento specializzante dello stato di bisogno, correlato alla mancanza di mezzi di sussistenza. (Sez. 6, n. 45103 del 10/10/2023; Sez. 6, n. 9065 del 08/02/2023). Si è, infatti, precisato che non può ravvisarsi il concorso formale eterogeneo, quando il fatto storico - valutato in tutti i suoi elementi costitutivi relativi alla condotta omissiva e al bene giuridico protetto dalle norme incriminatrici che vengono in rilievo - è il medesimo e non sono individuabili, sul piano naturalistico, elementi ulteriori che possano implicare la necessità dell’autonoma sussistenza del reato di cui all’art. 570-bis cod. pen., oltre a quello della omessa prestazione dei mezzi di sussistenza dei figli minori in violazione degli obblighi di assistenza imposti al genitore con il provvedimento del giudice.

Corte Suprema di Cassazione - Sezione Prima Penale - Sentenza n. 39715 del 29 ottobre 2024 al link



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