Il vigente art. 420 quater c.p.p. prevede che se non vi sono le condizioni per procedere in assenza, il Giudice pronunci sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato, disponendo che la persona nei cui confronti è stata emessa la sentenza sia ricercata dalla polizia giudiziaria, fino a quando per tutti i reati oggetto di imputazione non sia superato il termine previsto dall’articolo 159, ultimo comma, del codice penale, cioè fino a quando non sia raggiunto un termine pari al DOPPIO del tempo necessario a prescrivere, ex art. 157 c.p..
La norma si applica, giusta la previsione dell'art. 89 della riforma, ai reati commessi post 18.10.2021.
Orbene, mercé il congegno appena descritto, i tempi di prescrizione rischiano di dilatarsi in modo notevolissimo. Per esemplificare, ipotizzando una contestazione per un reato punito con la reclusione fino a 10 anni, il processo nei confronti dell'imputato ignaro della sua pendenza potrebbe essere sospeso per 20 anni, sicché in concreto la prescrizione per una bancarotta la cui dichiarazione di fallimento sia intervenuta il primo gennaio 2023 potrebbe prescriversi il primo luglio del 2055 (10 anni termine ordinario, 2 anni e 6 mesi termine prorogato ex art. 161 c.p., cui sarebbero da aggiungere 20 anni a titolo di sospensione). Se poi il reato contestato dovesse rientrare tra quelli per i quali l'art. 157 c.p. prevede il raddoppio del termine ordinario di prescrizione si dovrebbero considerare 20 anni quale termine di prescrizione ordinaria, più 40 anni di sospensione, più 5 anni per l'atto interruttivo. Dunque la prescrizione potrebbe maturare nel 2088.
E' evidente che tale disciplina rivesta contorni onirici, né convince la legittimazione, pur autorevolmente accordatale nella relazione dell'Ufficio del Massimario della Suprema Corte, secondo cui la previsione di un termine che può in concreto essere "anche molto lungo" <<si giustifica al fine di evitare che l’interessato si sottragga maliziosamente allo svolgimento del processo>>. Infatti, al di là di ogni retropensiero, l'unico dato processualmente certo è che l'imputato nel caso di sentenza ex art. 420 quater sia IGNARO DELLA PENDENZA DEL PROCESSO. Si noti che la sentenza non riguarda il caso di latitanza, perché in tale ipotesi si procederà comunque in assenza.
La legittimità costituzionale di una tale disciplina ci pare dubbia.
A tal proposito si osservi che la Corte costituzionale, con riferimento alle cause di sospensione processuali Covid, ha considerato che <<il rispetto del principio di legalità – nella misura in cui è predeterminata la regola che vuole che alla sospensione del procedimento o del processo penale in forza di una «particolare disposizione di legge» si associ anche la sospensione del decorso del tempo di prescrizione del reato – non esclude, ma anzi si coniuga ... alla possibile verifica di conformità sia al canone della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.), sia al principio di ragionevolezza e proporzionalità (art. 3, primo comma, Cost.), a confronto dei quali sarà sempre possibile il sindacato di legittimità costituzionale della stessa sospensione dei procedimenti e dei processi penali, nonché, più specificamente, della conseguente sospensione del termine di prescrizione>>. Con riguardo alla fattispecie all'epoca sottoposta al suo scrutinio il Giudice delle leggi ritenne che <<la BREVE durata della sospensione del decorso della prescrizione è pienamente compatibile con il canone della ragionevole durata del processo>> (Cfr. Corte cost. 278/2020 al link ).
Ben altra è all'evidenza la consistenza della sospensione ex artt. 159 c.p. - 420 quater c.p.p., tale da impattare sullo stesso diritto di difesa, posta l'ovvia difficoltà di reperire prove per un soggetto il cui giudizio si celebrerà a decenni di distanza dai fatti.
Ulteriori argomenti a sostegno della incostituzionalità della attuale disciplina possono ricavarsi da una pronuncia di legittimità intervenuta con riferimento alla disciplina della sospensione ante L. 134/2021.
Nel frangente la Corte ripudiò l'esegesi della procura generale ricorrente, a mente della quale la previsione ex art. 159 u.c. c.p., secondo cui la durata della sospensione della prescrizione non poteva superare i termini previsti dal secondo comma dell'art. 161 c.p., andava intesa nel senso che la massima estensione della sospensione sarebbe stata pari al termine ordinario di prescrizione aumentato ex art. 161 c.p.: di talchè la sospensione avrebbe avuto durata pari al termine di estinzione del reato. A fronte di tale interpretazione la Corte osservò che la stessa non era soltanto infondata sul piano letterale, ma avrebbe anche comportato <<il risultato di differire in misura MACROSCOPICA (raddoppiandone letteralmente la durata) il termine prescrizionale applicabile ai singoli reati solo in funzione della circostanza non determinata da una condotta ascrivibile ad una libera scelta dell'imputato posto che, diversamente, si sarebbe potuto procedere in sua assenza ai sensi dell'art. 420-bis c.p.p., comma 2, - che questi non era stato in condizione di partecipare al processo a suo carico, rendendo, in tal modo, la sua posizione ingiustificatamente deteriore rispetto a quella del prevenuto che abbia assicurato la sua presenza ovvero si sia deliberatamente disinteressato di partecipare al giudizio>> (Cassazione penale sez. III, 17/11/2020, (ud. 17/11/2020, dep. 15/03/2021), n.9943).
E' evidente che tali considerazioni si attaglino perfettamente alla vigente previsione dell'art. 159 c.p. che ha introdotto una causa di sospensione della prescrizione pari al doppio dei termini ex art. 157 u.c..
Ci pare ci siano sufficienti argomenti per dubitare della legittimità costituzionale della previsione de qua.